quaderni Agesci Lombardia Aprile 1996

" P R O G E T T A R E "

Tutto evolve ed evolve rapidamente. Anche il servizio educativo non si sottrae a questa regola. Da qui la necessità di non farci cogliere impreparati, inaffidabili.

Educare è impegnativo e difficile ogni giorno di più. Lo sforzo da compiere è di diventare capi sempre più maturi, capi sempre più capaci, che sanno progettare l'educazione per i propri ragazzi, poiché progettare è necessario se vogliamo che la proposta educativa sia significativa, efficace, importante, credibile.

Progettare è fermarsi un attimo, fare il punto: sapere dove siamo, dove vogliamo andare, come e dove condurre i nostri ragazzi.

Il lavoro che presentiamo e per il quale un particolare ringraziamento va a coloro che, nel comune sentire, ne hanno sostenuto e accompagnato la stesura, ha lo scopo di contribuire a dare ulteriore dignità al "Progetto", un termine che conosciamo bene, ormai, perché è la risposta intelligente all'azione educativa.

IL PROGETTO EDUCATIVO

AMARE QUESTA VITA

Erano uomini senza paura
di solcare il mare
pensando alla riva
barche sotto il cielo
tra montagne e silenzio
davano le reti al mare
vita dalle mani di Dio.

Venne nell'ora più lenta del giorno
quando le reti si sdraiano a riva
l'aria senza vento
si riempì di una voce
mani cariche di sale
sale nelle mani di Dio.

Lo seguimmo fidandoci degli occhi
gli credemmo amando le parole
fu il sole caldo a riva
o fu il vento sulla vela
o il gusto e la fatica di rischiare
e accettare quella sfida?

Prima che un sole più alto vi insidi
prima che il giorno
vi lasci delusi
riprendete il largo
e gettate le reti:
barche cariche di pesci,
vita dalle mani di Dio.

Lo seguimmo fidandoci degli occhi
gli credemmo amando le parole:
lui luce lui notizia
lui strada e lui la meta
lui gioia imprevedibile e sincera
di amare questa vita!

Erano uomini senza paura
di solcare il mare
pensando alla riva.
Anche quella sera,
senza dire parole,
misero le barche in mare:
vita dalle mani di Dio.

INTRODUZIONE

Formulare un progetto educativo scout, attività specifica della Comunità Capi, implica l'apertura su un orizzonte vastissimo dove si stagliano realtà che investono la vita di tutti gli uomini. Prima di decidere, quindi, quale sarà il colore delle tendine del nostro salotto o il tipo di piastrella del bagno al piano superiore, è importante stabilire dove e perché costruire la nuova casa. Nessun quadro può essere bello se le figure non si collocano su un sfondo appropriato. Anche noi prima di proporre una "tecnica" di progettazione ci dedichiamo alla realizzazione di questo sfondo.

1.  Il mondo non è fatto a caso: infatti un sapientissimo progetto divino, che passa anche attraverso di noi, lo sta costruendo momento dopo momento: né la complessità della vita, né i suoi drammi, possono oscurare questo grande disegno. Scopo primo di un progetto educativo è quello di mettersi in sintonia con la progettualità del mondo, aiutando i nostri ragazzi a scoprire il loro cammino personale. L'educazione appare come l'arte di aiutare a scoprire che la vita è finalizzata, è significativa, ha valore, è una chiamata, una vocazione.

2.  La singola persona (nel nostro caso lo scout) costituisce il principale punto di riferimento dell'azione educativa. "Il progetto è per la persona e non la persona per il progetto" il che significa che organizzare una vita di gruppo è una specie di manovra di avvicinamento, di approssimazione, a servizio di una realtà più grande costituita dall'insieme delle singole persone. L'antica e oggi talvolta contestata affermazione secondo cui educare vuoi dire tirar fuori quello che c'è dentro, rettamente compresa, rimane sostanzialmente valida. Aiutare ogni singolo scout a realizzare se stesso, ad esprimere la propria identità personale, a valorizzare i propri talenti, ad affrontare le fasi della propria vita per crescere in "età e grazia", tutto ciò costituisce la mappa di riferimento sulla quale appoggiare la nostra bussola.

3.  L'esperienza educativa del passato sta a fondamento della capacità di vivere in modo pieno il momento presente e di affrontare le grandi sfide educative del futuro. L'esperienza quando è stata positiva o quantomeno maturata nella riflessione permette una sufficiente previsione di quello che potrà accadere. Questo non toglie che il futuro rimane per noi sostanzialmente misterioso: educare significa anche, e soprattutto, coraggio, ottimismo, rischio, fiducia. Una progettazione eccessiva e convulsa, talvolta, maschera ]a sfiducia, l'inesperienza, la paura del rischio, il pessimismo.

4.  Lo scautismo non può e non deve costituire un mondo a sè nel grande mondo reale. Anche qui, "lo scautismo è per l'uomo e non l'uomo per lo scautismo". Ciò significa che il metodo è valido nella misura in cui aiuta gli scout a valorizzare aspetti comuni alla vita di tutti gli uomini. Occorre una sostanziale apertura di mente per praticare la vita scout con impegno, senza pensare che sia l'unica strada possibile. Nasce da qui lo stimolo ad apprezzare altre innumerevoli formule educative. Nessuna stima, comunque, per le improvvisazioni pedagogiche, per le mode ideologiche e per lo stato di abbandono nel quale intere generazioni vengono lasciate.

5.  E' importante, in questa rassegna di principi fondamentali, mettere in luce quali sono gli elementi caratteristici dello scautismo senza dimenticare che la realtà sociale e la cultura hanno conosciuto, in questi anni, signifìcative evoluzioni. Ciò vuoi dire che l'aggiornamento, da non confondersi con il culto della novità, costituisce un'espressione di vitalità e la garanzia di una validità per il futuro. Caratteristica prima del movimento scout è l'impegno per una educazione completa, integrale e armoniosa della persona. Per completa, integrale e armoniosa intendiamo qui il raggiungimento di un equilibrio dinamico tra mente e corpo, sessualità e amore, capacità riflessiva e abilità manuale, autonomia e socializzazione, capacità critica e scoperta della fede, coraggio e tolleranza. Il contatto diretto con la natura, la valorizzazione delle doti personali, il senso del gruppo, l'espressione corporea, la dimensione ludica della vita, la capacità di contemplazione e il servizio rimangono, pur nelle forme più svariate, elementi caratterizzanti lo scautismo. Per certi aspetti lo scautismo ha preannunziato alcuni degli elementi che stanno alla base della grande rivoluzione pedagogica del tempo contemporaneo. Ma anche lo scautismo, come tutti i movimenti che hanno una tradizione, rischia di fossilizzarsi negli stereotipi con la tendenza a privilegiare le forme sui contenuti.

6.  I singoli capi sono implicati psicologicamente in ogni attività riferita ai ragazzi del gruppo e quindi ogni progettazione implica una revisione di vita dei singoli componenti della Comunità Capi. Per una corretta progettazione l'esperienza non basta: occorre cultura e capacità di pensare. La Comunità Capi è in grado di proporre un autentico progetto nella misura in cui la capacità di lavorare insieme è sostenuta dall'apporto critico delle idee.

Quest'apporto implica capacità di ascolto, di dialogo, vaporizzazione dei talenti personali, tempestività nell'esecuzione e senso del limite. Una comunità capi conflittuale o composta da giovani chiusi nel solo recinto dello scautismo o, infine, presenti con fini divergenti rispetto al servizio educativo, è destinata a partorire dei progetti irrealizzabili o a sottoporsi ciecamente al leader di turno. Esperienza e cultura sono elementi freddi se manca il calore e l'entusiasmo degli ideali. Allora, parafrasando la sentenza del Maestro, ... perché non accendiamo il fuoco sulla terra?

7.  La progettazione comune e l'impegno a condurla con realismo e determinazione permettono di sviluppare il valore di una testimonianza collettiva e non soltanto personale dei capi. Ciò costituisce anche un modello politico particolarmente efficace nei confronti dei genitori adulti e nei confronti dei ragazzi che vedono la vita sociale come possibile, positiva e feconda. Anche nell'ambito prettamente spirituale la Comunità Capi è un modo di essere chiesa-comunione e un segno particolarmente vivo dell'azione dello spirito. Si tratta, infine, di vivere e far vivere la vita in pienezza e, con l'aiuto di Dio, lasciare questo mondo migliore di come l'abbiamo trovato.

Se usiamo correttamente la Progressione Personale non dovremmo avere dubbi che il "Lupetto-Coccinella" comincia a farsi questa mentalità progettuale se ha ben presente le tappe che sta percorrendo, così come lo Scout-Guida prende coscienza del concetto di progettualità se viene abituato (ad esempio) a preparare bene l'impresa, a condurla a termine, a documentaria e a farne memoria per i posteri della Squadriglia.

[Una comunità chiusa nel solo recinto dello scautismo è destinata a partorire dei progetti irrealizzabili .. perché non accendiamo il fuoco sulla terra?]

In branca Rover-Scolte, invece, dove la Progressione Personale non è identificabile a gradi di avanzamento, si dovrebbe riconquistare la dimensione della auto-progettazione personale (ad esempio il taccuino personale dove annotare l'ultimo passo compiuto e fissare il successivo).

Solo se si riesce ad avere in Comunità Capi educatori che sappiano progettare, auto-guidare e verificare se stessi (Progetto del Capo) potremo avere garanzie che il Progetto Educativo di Gruppo sarà un qualche cosa di concreto (a partire dall'analisi della situazione, dell'attuazione, del momento della verifica e della successiva rielaborazione).

Ora, a scelta, secondo le tue esigenze, potrai proseguire nella lettura. Nel successivo capitoletto in quattro paragrafi è proposta una sintesi dell'argomento che eventualmente potrai integrare leggendo anche il successivo contributo.

PER UNO SGUARDO GLOBALE

Un progetto educativo potrà esplicarsi nei momenti o fasi che seguono:

  1. Analisi della situazione
  2. Obiettivi
  3. Realizzazione
  4. Verifica

Queste righe non vogliono sostituirsi all'esperienza e alle attività dei diversi gruppi, bensì intendono aiutare all'orientamento della vita di gruppo. Procederemo dunque per sintesi.

1.  Analisi della situazione

a.  L'analisi della situazione prevede un chiaro orientamento e una chiara analisi dell'ambiente in cui il gruppo vive. Noi tutti ormai viviamo m una società complessa. Occorre avvertire dunque che, oltre alla conoscenza della realtà parrocchiale, del quartiere e del paese, è importante la conoscenza della realtà più ampia che preme ormai a livelli imponenti nelle coscienze personali. La nostra società si caratterizza ormai, (e non scendiamo ad analisi scontate e prevedibili), come società consumistica e società dei mass-media, dove accanto agli innegabili effetti positivi dovuti al progresso e al benessere di una società organizzata, si respira ampiamente e in forme talvolta estreme il disagio di vivere.

b.  In secondo luogo l'analisi della situazione prevede l'individuazione dei tratti caratteristici della vita dei ragazzi e una concomitante verifica dell'impegno dei capi e del clima educativo che si respira nell'ambiente in cui i ragazzi vivono.

c.  Dall'analisi emergeranno sia bisogni che opportunità o aspetti da valorizzare, i quali costituiranno la trama degli obiettivi da raggiungere con la programmazione.

2.  Obiettivi

a.  Gli obiettivi costituiranno innanzitutto le priorità per altrettanti bisogni, necessità e problemi che si respirano nell'ambiente.

b.  In secondo luogo gli obiettivi dovranno riguardare le opportunità offerte dall'ambiente stesso, dalle persone concretamente in gioco. In fondo la scommessa educativa nasce da una fiducia sul valore delle persone e non solo da problemi che si devono risolvere.

c.  La Comunità Capi dovrà, in questa fase di individuazione di obiettivi, considerare attentamente il ruolo e il peso del gruppo scout all'interno dell'ambiente in cui è collocato. Il gruppo può costituire un segno, una testimonianza o, se si preferisce, potrebbe essere "sale della terra e luce del mondo".

d.  E' compito delle diverse branche cercare di individuare gli obiettivi che potremmo definire "ristretti", ma è anche importante che ci sia un coordinamento interno e qualitativo, cioè una unanimità nel perseguire in modi diversi e creativi gli identici obiettivi di gruppo.

3.  Realizzazione

a.  Lo scautismo con la sua ricchissima tradizione pedagogica propone agli appartenenti al gruppo un clima educativo forte. Il primo orientamento è quello di fare in modo che lo spirito scout emerga costantemente nella prassi e non soltanto negli enunciati teorici. Questo per dire che negli orientamenti operativi la coscienza dello spirito scout deve essere sempre presente.

b.  La Progressione Personale costituisce un modello particolarmente stimolante di progettazione educativa attenta alla crescita delle singole persone. Sarà molto importante non mitizzare tale progressione trasformandola in una specie di scala iniziatica per pochi neofiti. Progetto vuoi dire gradualità, ma anche senso di inadeguatezza positiva e ironia.

c.  La formazione dei capi, che chiaramente comprende ancora l'autoeducazione, necessita di un costante e vivo orientamento ideale. Questo appare come un progetto nel progetto. La presenza nel gruppo di una animazione di carattere spirituale, lontana dall'essere un espediente magico risolutorio, offre alla Comunità Capi la possibilità per una sua progressione ideale, se non altro ne frena la possibile regressione.

4.  La verifica

Verifica non significa innanzitutto coltivare inutili sensi di colpa e crogiolarsi nella falsa umiltà. Una verifica intelligente si esercita con misura e richiede l'accettazione della realtà così com'è, l'accettazione dei limiti inevitabili, l'analisi puntuale e non tormentata degli insuccessi, la volontà decisa di correggere gli errori. L'autentica umiltà si esprime in una capacita continua e puntuale di valorizzare i talenti: è meglio una sana stima di quello che si è fatto che una falsa umiltà.

Le verifiche possono essere di tre tipi. La verifica parallela è quella che si esercita mentre si agisce e che in fondo più che sui progetti scritti si radica sulla coscienza. La verifica intermedia, è quella che si pratica in momenti cruciali nei quali è possibile valutare il frutto delle attività correggendone opportunamente la direzione. La verifica finale è quella che si intraprende alla fine dell'anno o del triennio di attività previste dal progetto.

Idealmente la verifica dovrebbe iniziare con un delicato mea culpa e terminare con un deciso rendimento di grazie.


PER CHI HA VOGLIA DI APPROFONDIRE

Un progetto educativo potrà esplicarsi nei momenti o fasi che seguono:

  1. ANALISI DELLA SITUAZIONE: definizione dei problemi e dei punti di forza.
    - Dove attingere le informazioni.
    - L'analisi a partire dall'attività scout.
    - I quattro punti di B.P., più uno.
    - L'analisi a partire dai mondi vitali dei ragazzi.
  2. SCELTA DELLE PRIORITA' (da che cosa devo iniziare?)
  3. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI
  4. GLI IMPEGNI DEI CAPI IN UN PROGETTO EDUCATIVO
    - Il coinvolgimento dei genitori.
    - Il compito dei capi gruppo.
    - Il progetto del capo.
  5. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI: per la programmazione e la verifica delle attività di unità
  6. TEMPI E METODO PER LA VERIFICA DEL PROGETTO

1.  ANALISI DELLA SITUAZIONE:
definizione dei problemi e dei punti di forza

Prima di intraprendere qualsiasi lavoro di analisi, è doveroso anzitutto definire quali sono le informazioni che si desiderano ottenere attraverso tale ricerca.

Nel nostro caso si tratta essenzialmente di chiedersi quali sono le informazioni da raccogliere per riuscire ad impostare seriamente il progetto dell'esperienza scout o, se si preferisce, quali sono le situazioni che maggiormente ci interpellano come educatori scout.

I comportamenti del mondo giovanile così come sono generalmente descritti dagli studi degli specialisti possono risultare a volte lontani dalla nostra esperienza e quindi di limitata utilità per la realizzazione di un progetto educativo, così come può verificarsi che altre abitudini da noi annoverate tra le negatività possano tranquillamente passare inosservate se non "indossate" dagli appartenenti al movimento scout.

L'analisi della realtà relativa ai ragazzi osservata attraverso la lente di una Comunità Capi, benché parziale, focalizzerà aspetti o comportamenti molto più pertinenti alla stesura di un progetto finalizzato all'attività scout e insieme consentirà alla Comunità Capi stessa di svolgere un efficace esercizio di approfondimento del metodo. (Quali sono le virtù umane che vogliamo fare acquisire attraverso il metodo scout? La riflessione su interrogativi come questo, nei documenti ufficiali, viene per lo più citato sotto la denominazione dì formazione ricorrente o permanente).

Ad esempio, il fatto che alcuni ragazzi abbiano difficoltà ad usare oltre al linguaggio verbale anche il linguaggio dell'espressione corporea, quello dei gesti, del canto o del silenzio, non costituisce in assoluto un "problema" del mondo giovanile, ma noi sappiamo di quanta ricchezza godiamo quando riusciamo a scoprire e conoscere questi aspetti della nostra natura umana. E se l'attività scout è fatta anche di scenette, bivacchi, cerchi di gioia, veglie, rispetto del silenzio, ..., ne consegue che l'abitudine ai comportamenti stereotipati, l'imitazione dei messaggi o dell'umorismo televisivo, la chiassosità siano da annoverare tra ciò che urgentemente conviene modificare per realizzare una migliore qualità di scautismo.

[Alle difficoltà espressive dei ragazzi conviene ovviare modificando i comportamenti stereotipati.]

E' vero che talvolta una parte di quei ragazzi che al bivacco non riesce ancora ad esprimersi con originalità va anche male a scuola o che ve n'è un'altra che vive in una realtà di particolare disagio, ma noi non saremmo educatori scout se tradissimo la loro richiesta di fare scautismo con una proposta dal sapore di doposcuola, di catechismo o da centro di interesse per l'animazione del tempo libero. E se condividiamo l'idea che lo scautismo non può essere frainteso con l'interezza della vita, e che l'attività non è in grado di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione della persona ed insieme riuscire a consolidare l'acquisizione di ogni virtù, dobbiamo iniziare il lavoro del progetto educativo con un'analisi il più possibile pertinente alle potenzialità di un nostro intervento.

Dove attingere le informazioni

Certamente vi sono diversi metodi per orientare l'analisi, alcuni dei quali possono essere costruiti a partire dall'osservazione dei ragazzi del gruppo, quasi come se una lente si posasse sul fazzoletto di terra della sede scout, del luogo del campo, dell'uscita o del percorso della route. Altri possono invece riferirsi agli ambiti di vita dei ragazzi, famiglia, scuola, parrocchia, territorio, altre attività del tempo libero.

Per quanto riguarda il primo metodo ulteriori approfondimenti possono essere intrapresi sovrapponendo alcuni filtri, che a titolo di esempio, possono essere individuati nei quattro punti di B.P. (formazione del carattere, salute e forza fisica, abilità manuale, servizio del prossimo), negli articoli della Legge scout o nella formula della Promessa.

Ogni Comunità Capi potrà certamente costruire un metodo a misura delle proprie esigenze, ma difficilmente potrà rinunciare a selezionare la ricerca senza correre il rischio di un conseguente disorientamento.

1º metodo: l'analisi a partire dall'attività scout

Tra i percorsi praticabili abbastanza agevolmente, può esservi quello che muove dall'osservazione dei comportamenti dei ragazzi nel corso dell'attività scout. Coscienti che non tutto potrà essere rilevato attraverso una tale osservazione, questo metodo consente però di focalizzare ciò che è più attinente con lo specifico del nostro servizio.

L'analisi, naturalmente, come già anticipa il titoletto di questo paragrafo, non può limitarsi solo a quegli aspetti problematici della vita dei ragazzi (che attraverso la nostra azione educativa vorremmo con-durre al cambiamento): dall'osservazione sarà invece essenziale ricavare tutti quei dati che si ritengono utili per progettare insieme al ragazzo il suo cammino di crescita (progressione personale), quindi non soltanto problemi o comportamenti negativi, ma anche, e soprattutto, pregi, virtù e punti di forza. In quest'ottica il problema sarà allora riconosciuto come ciò che ostacola l'acquisizione di precise virtù umane mentre per opportunità si intenderanno i punti di forza o leve educative sulle quali far crescere la proposta.

Dopo questa prima ricognizione della realtà, si può proseguire cercando di cogliere gli stessi comportamenti o le stesse situazioni dall'osservatorio della vita quotidiana del ragazzo per completare il quadro di analisi e comprendere eventuali coerenze o incoerenze. Interpretare i dati raccolti può voler dire, a questo punto, esprimere un giudizio di sintesi e comunicare con chiarezza la nostra posizione. L'ultima operazione relativa all'analisi potrebbe essere quella di sintetizzare i problemi e le opportunità a cui dare risposta o con le quali comunque rapportarsi. A titolo di esemplificazione qui di seguito è proposta la griglia di analisi di un ipotetico progetto educativo.

Nella prima colonna sono state annotate alcune situazioni rilevate nel corso dell'attività scout, nella seconda le medesime situazioni vengono rilevate nella quotidianità; la terza colonna è compilata con alcune osservazioni tese a spiegare tali comportamenti, nella quarta vengono espressi in sintesi problemi od opportunità.

[Divenendo protagonista della propria crescita il ragazzo si sottrae all'incoerenza comportamentale.]

LETTURA IN AMBITO SCOUT LETTURA NEL QUOTIDIANO
I ragazzi hanno voglia di stare assieme senza però dover mettersi troppo in discussione.

Si adattano alle situazioni e non le vivono con spirito critico, alternando momenti di entusiasmo a momenti di disimpegno.

C'é un'incoerenza di comportamenti che varia a seconda delle circostanze in cui si trovano (famiglia, scuola, scout).

Di fronte ad alcune situazioni si trovano in difficoltà a scegliere e preferiscono spesso una soluzione di compromesso.

Alcune difficoltà di accettazione dei portatori di handicap inseriti nel gruppo. Il fatto che spesso arrivino ai gruppi scout richieste di questo genere forse dice che i normali ambiti di vita non favoriscono gli handicappati e non mostrano particolari attenzioni solidaristiche. Rover e scolte del gruppo svolgono servizio extrassociativo anche presso centri per handicappati ed emarginati in genere.
Grande entusiasmo per le attività all'aria aperta. Molti tra i ragazzi occupano le loro domeniche libere andando in montagna con uno stile molto vicino a quello dell'uscita scout o praticando attività in natura.
Poca puntualità alle attività; andirivieni generale da uscite e campi. Alcuni ragazzi, non residenti nelle vicinanze della sede scout sono dipendenti dai genitori che li devono accompagnare; ad altre attività a cui partecipano (sport e corsi di vario genere), la puntualità viene invece considerata un obbligo e quindi rispettata.
Poca cura del materiale del gruppo: i ragazzi non sanno riconoscere il materiale che viene loro affidato, lo usano male, non lo sanno riparare, usano molto materiale: ottenendo modesti risultati. Una maggiore cura viene riservata solo al materiale che è sentito come esclusivamente personale.

APPROFONDIMENTO PROBLEMI/OPPORTUNITA'
Poca capacità di scegliere e di essere costanti nelle scelte, nel tempo e negli ambiti diversi di vita. La voglia di stare assieme è un'opportunità, è la voglia di amare e di essere amati, di scoprire, di programmare, di scegliere, di prevedere, di assumere responsabilità.
Difficoltà a coinvolgere il ragazzo in un progetto di autoeducazione.
La progressione personale è sempre più guidata dal capo e il ragazzo é sempre meno protagonista della sua crescita.
L'inserimento nelle unità di ragazzi con problemi di handicap, ha evidenziato la necessità di approfondire maggiormente le dinamiche delle relazioni interpersonali tra diversi. Opportunità: la sperimentazione della possibilità di convivenza tra i cosiddetti normali e chi ha dei limiti, è impegno per tutti: capi, ragazzi e handicappati nella ricerca dei modi, tempi e competenze necessarie.
Questo è favorito sia da abitudini acquisite in famiglia, sia dalla vicinanza di luoghi di montagna, sia dalla prassi esemplare dei Capi che, anche al di fuori delle attività amano spendere il tempo libero in montagna. Lo spirito d'avventura è un'opportunità, è possibile sfruttare questa inclinazione per far crescere autonomia e competenza.
Evidentemente l'attività scout non ha la priorità rispetto alle altre occupazioni del tempo libero;
non sempre conflitti o disapprovazioni vengono affrontati apertamente, talvolta i ragazzi comunicano un loro disagio disertando gli appuntamenti o giungendovi in ritardo.
La mancanza di puntualità, che interessa buona parte dei ragazzi del gruppo, è di ostacolo per una piena realizzazione dell'attività;
è necessario definire maggiormente il bacino d'utenza del gruppo per tener presenti problemi di questo genere anche al momento dell'iscrizione;
il problema interroga tutti, ma soprattutto la branca R/S, sulla probabile conflittualità e slealtà sottesa a tale comportamento
I ragazzi non mostrano di capire che anche le cose di tutti sono state guadagnate da qualcuno;
non sono partecipi e responsabili;
la mancanza di cultura, di idealità collettive emerge anche in altri comportamenti o prese di posizione.
La mancanza di cura del materiale comune da parte dei ragazzi costringe il capo ad esercitare un controllo che per taluni versi non si differenzia dalla "protezione" già esercitata in famiglia dai genitori, limitando conseguentemente la sfera dell'autonomia.

I quattro punti di B.P. {formazione del carattere, salute e forza fisica, abilità manuale, servizio del prossimo), possono essere utilizzati per una riflessione sui valori sottesi alla proposta scout, ma anche verificare se i dati emersi dall'analisi compiuta sono equamente ripartiti rispetto alle diverse voci.

I quattro punti di B.P. più uno

Perché la Progressione Personale sia scautismo (scouting = scienza dei boschi) è necessario che si svolga lungo le quattro famose piste indicate da Baden-Powell.

- Formazione del carattere: oggi si direbbe meglio; la personalità, cioè la relazione positiva con se stessi.
L'educazione del carattere mira ad ottenere la capacità di compiere delle scelte, a scoprire ciò che si può e si vuole essere. Capacità di prendersi delle responsabilità, di farsi dei programmi di vita. Presuppone la tensione verso alcune virtù umane quali: lealtà, fiducia in se stessi, coraggio, senso della gioia, rispetto dei diritti, autodisciplina, elevazione del proprio pensiero e dei propri sentimenti.

- Salute e forza fisica: oggi si direbbe scoperta e relazione positiva con il proprio corpo.
Educare a nutrirsi in modo sano, a riposarsi, a trovare ritmi naturali, ad esprimersi. Educare a saper affrontare la fatica, lo sforzo, la sofferenza, la malattia, la morte.

- Abilità manuale: oggi si definirebbe creatività, o relazione attiva con le cose. L'educazione della abilità manuale mira a sviluppare una intelligenza pratica, una capacità di autonomia concreta, a produrre partendo da mezzi poveri, ad accontentarsi di quello che si ha perché lo si sa usare. La riscoperta delle mani e del loro uso intelligente, la scoperta della fatica, della concretezza, del fallimento, della pazienza, del buon gusto, del lavoro altrui, del superfluo.

- Servizio del prossimo: l'argomento oggi si definirebbe solidarietà, intesa come educazione al bene comune. Educare a scoprire gli altri, a vivere e lavorare insieme, a organizzarsi, a darsi delle regole, a decidere insieme, ad impegnarsi in un servizio agli altri.

- La felicità come dono di Dio: trovare il Signore, il creatore. Oggi si direbbe scoprire la nostra relazione con Dio. Lo scautismo in quanto è esperienza di libertà e di speranza è occasione di felicità e quindi di possibilità di incontro con il Signore Gesù vivente. Nostro compito è insegnare ai ragazzi, non soltanto a guadagnarsi la vita, ma a vivere, cioè a godersi la vita, nel senso più elevato della parola. L'impegno attivo di compiere la sua volontà nel servizio del prossimo è fondamento della felicità. "Si ha più gioia nel dare che nel ricevere".

2º metodo: l'analisi a partire dai mondi vitali dei ragazzi

Qui di seguito si è voluto proporre un altro metodo per fare un'analisi della realtà; l'osservatorio dal quale cogliere le informazioni è quello relativo agli ambiti di vita dei ragazzi: famiglia, scuola, tempo libero.

Nella prima colonna sono stati sintetizzati gli elementi di lettura della realtà pertinenti con un progetto educativo scout; nella seconda colonna è indicata la riflessione che su tali elementi è corretto compiere; nella terza colonna vengono evidenziati i problemi e le opportunità.

La metodologia dell'analisi degli ambiti vitali dei ragazzi imporrà alla fine del lavoro di rispondere a domande tipo: "quali sono le virtù umane che vogliamo far acquisire?", "in che modo il progetto educativo può tener conto di questi problemi o di queste opportunità?".

[Analizzando gli ambiti vitali dei ragazzi si risponde alla domanda: "in che modo il progetto educativo può tener conto di questi problemi e di queste opportunità?"]

LETTURA DELLA REALTA' APPROFONDIMENTO PROBLEMI/OPPORTUNITA'
I rapporti in famiglia:
- sono caratterizzati da una certa immediatezza, confidenza, facilità di dialogo, spontaneità;
- assenza di entrambi i genitori per cause di lavoro;
- scarsità di dialogo tra genitori e figli;
- ruolo educativo talvolta demandato alla televisione;
- tendenza ad accontentare le richieste dei figli perché questi non si sentano inferiori agli altri loro compagni.
Anche noi cerchiamo di impostare il rapporto educativo sull'apertura del dialogo e dell'ascolto reciproco senza imposizioni unilaterali;
i ragazzi che non parlano, non hanno niente da dire o stanno parlando altri linguaggi?
La relazione tra educatore e ragazzo non può essere unilaterale, l'educatore deve accogliere, deve avere capacità di ascolto;
il rapporto fondato sull'ascolto e sul dialogo diventa immagine del rapporto con Dio che noi amiamo e crediamo di poter chiamare Padre e Madre;
la mamma che lavora testimonia di avere pari titolo e capacità di realizzarsi professionalmente;
i genitori sono in difficoltà a compromettersi nel loro ruolo educativo nei confronti dei ragazzi: si parla poco, si dà troppo spazio alla televisione, ci si fa sostituire dai regali.
Il ragazzo abituato in famiglia ad esprimersi liberamente, ci facilita il compito educativo per-ché si lascia conoscere più facilmente;
la catechesi ha l'opportunità di legarsi all'esperienza;
abbiamo l'opportunità di scoprire qual é il tipo di relazione che fa scattare la molla dell'interesse;
i ragazzi con entrambi i genitori che lavorano fuori casa sono maggiormente preparati allo stile della diarchia; come pure il concetto di pari opportunità che noi proponiamo attraverso la coeducazione risulta essere in sintonia con l'esperienza vissuta in famiglia;
il ragazzo che non è abituato a relazionarsi con l'adulto rappresenta un problema perché il nostro rapporto educativo si gioca sulla relazione. Ma ci offre l'opportunità di mostrare una figura diversa di adulto.
La scuola elementare e media.
- propone anche nei programmi disciplinari la centralità della persona; è strutturata in modo da riuscire ad essere formativa anziché selettiva; i portatori di handicap sono inseriti con attenzioni e supporti atti a favorirne l' integrazione;
- la scuola secondaria è selettiva;
- è scarsa la partecipazione delle famiglie agli organi collegiali;
- talvolta i genitori si disinteressano del lavoro scolastico dei figli, se non per premiare o punire a fine anno scolastico;
- prevale la tendenza a punire i brutti voti con il diniego del permesso di partecipare all'attività Scout.
Nella scuola elementare e media l'attenzione alla specificità della persona non è più esclusivarnente demandato all'iniziativa di qualche insegnante particolarmente sensibile.
Vige la logica della punizione, del giudizio e la lettura dell'attività scout solo in senso ludico.
La sintonia d'intenti con la scuola ci consente di attingere informazioni e suggerimenti per affrontare specifiche situazioni di ragazzi handicappati inseriti nel gruppo.
Soprattutto in branca E/G sono molti i ragazzi che non vengono mandati alle attività per punizione, questo costituisce un problema in quanto ci ostacola in uno dei principi fondamentali dello scautismo che è quello di favorire le pur minime opportunità (il 5% almeno!) o, se si vuole, quello di cercare di non spegnere il lumicino fumigante, con un minimo di continuità.
Il tempo libero:
- sono molte le opportunità per fare attività sportiva;
- i ragazzi sono sovraccarichi di tanti e diversi impegni;
- sono molte le possibilità di muoversi, di comunicare, di vedere, di entrare in contatto con persone anche lontane.
Il ragazzo, inserito nel gruppo sportivo ha un'opportunità di relazione diversa da quella della scuola.
La possibilità di fare diverse esperienze consente al ragazzo di misurare se stesso in misura più globale, più equilibrata;
C'è una esposizione a consumare tanta televisione e tanti interessi sporadici e frammentari senza che alcuno venga preso sul serio e portato a termine bene.
Aderire ad un'attività, frequentare liberamente un gruppo offre occasioni per crescere nella relazione interpersonale sia con l'adulto allenatore, che con i pari, compagni di squadra.
Le diverse opportunità ed attività intraprese, sono segno di curiosità intellettuale ed aumentano la conoscenza della propria persona.
La scarsa abitudine alla perseveranza, mette in crisi il ragazzo quando gli si propone di acquisire una competenza, quando gli si propone di dare un senso alla vita anche con poche cose, di riuscire a tirar fuori molto da cose limitate, di tirai fuori le potenzialità da ogni più piccola esperienza.

Questo secondo metodo, certamente più diffuso, si espone al rischio di generare un'illusione: quella di pensare di poter agire su problemi e ambiti vitali sui quali in realtà non siamo in grado di incidere se non minimamente. Certo, per un Capo la conoscenza relativa agli ambiti di vita dei ragazzi è essenziale, ma potrà essere utilizzata non tanto in sede di programmazione dell'attività, quanto nell'ambito della sua relazione personale col ragazzo.

Non dimentichiamo mai che le occasioni educative che abbiamo sono quelle date dall'esperienza scout e che il cammino di crescita che noi proponiamo loro passa solo attraverso le attività che fanno assieme a noi.

2.  SCELTA DELLE PRIORITA' (da che cosa devo iniziare?)

Anche per la scelta delle priorità ci si deve dare delle regole. Dopo aver svolto l'analisi della realtà, non potendo ovviamente rispondere a tutti i problemi che essa avrà messo in luce, né approfittare di tutte le opportunità che si saranno manifestate, diventerà imprescindibile operare una cernita che terrà conto delle nostre reali risorse, delle nostre capacità personali e del tempo a nostra disposizione. Questo ci porterà a privilegiare forse dei problemi che non sono in assoluto i più gravi, ma che potranno essere risolti con un discreto grado di probabilità. Lo stesso varrà a proposito delle opportunità su cui fare leva: andranno scelte quelle che più facilmente si legano allo specifico delle attività scout, senza seguire necessariamente il consenso della maggioranza e tenendo conto delle attuali competenze del capo che non potranno certo svilupparsi in modo istantaneo.

In queste poche righe è stata svelata la semplicità dello scautismo!
Ad una Comunità Capi non è richiesto d'aver competenze da laureati nel campo dell'educazione o dell'insegnamento.
Attuato un primo esame di ciò che abbiamo in casa e di ciò che vogliamo acquistare, per stabilire cosa potremo gustare sarà necessario interrogarsi su cosa sappiamo cucinare.
Il menù potrà anche comprendere qualche piatto sperimentale, ma senza esagerazioni!
Certo, l'educare è un'arte che non ha nulla a che vedere con la scuola di cucina.
E' pur vero però che il cambiamento, ossia la strategia mirata a far sì che l'uomo divenga sempre più uomo, passa attraverso la relazione tra ciò di cui l'altro ha bisogno e ciò che io gli posso dare, vive nell'equilibrio tra ciò che è più difficile da conquistare e che perciò richiede fatica, attesa, solitudine, e ciò che invece scaturisce da un incontro significativo, da un rapporto, da una scoperta incontenibile.
Non è difficile stabilire le priorità sulle quali costruire gli obiettivi del progetto educativo ed ogni Comunità Capi, ancora, come per i criteri sui quali impostare l'analisi, formulerà le domande che riterrà più appropriate. Ad esempio:

Le priorità sono una scelta di "problemi" e di "opportunità" su cui, per il tempo relativo alla durata del progetto, verranno impostati i programmi delle unità. Ad esempio:

[Dopo aver svolto l'analisi della realtà, diventerà imprescindibile operare una cernita che terrà conto delle nostre capacità personali e del tempo a nostra disposizione.]

3.  DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

Dopo aver evidenziato le priorità, per costruire gli obiettivi è necessario chiarire bene che l'obiettivo per essere verificabile deve consentire di constatare e verificare il cambiamento nei ragazzi, quindi, non ciò che deve fare l'educatore, ma ciò che vogliamo venga conquistato dai ragazzi. Quindi per obiettivi si intende non ciò che deve fare l'educatore, ma ciò che vogliamo venga conquistato dai ragazzi.

Per formulare obiettivi concreti, raggiungibili e verificabili, potrò provare a rispondere a queste domande:

Gli obiettivi concreti potrebbero essere, ad esempio, quelli formulati con una frase che esprime in modo chiaro ed il più possibile inequivocabile ciò che si vuole realizzare. Forse può apparire superfluo, ma talvolta si deve constatare come taluni significati che al momento vengono sottintesi risultando ai presenti molto chiari, nel tempo e col variare della composizione della Comunità Capi, corrono il rischio di essere fraintesi con qualcosa di sostanzialmente diverso. Medesima sorte spetta purtroppo anche alle allusioni, le quali, pur con regolare domicilio nello 'scautese' corrente, si prestano ad ostacolare la chiarezza.

Qui di seguito viene proposto un elenco di obiettivi ricavati da alcuni progetti educativi attualmente in vigore.
Tutti dicono cose importanti da realizzare ma alcuni di essi possono essere considerati concreti, altri invece rappresentano delle astrattezze. Provate ad identificare con una crocetta quelli che secondo voi sono gli obiettivi concreti.

Saper riconoscere le formule astratte è forse più semplice che esprimersi senza nominare alcuna astrattezza ed in questo caso si potrebbe accettare l'astrattezza alla condizione di farla seguire dalla descrizione dei comportamenti che ci attendiamo di vedere quale prova del raggiungimento dell'obiettivo.
Certo, non tutti gli obiettivi consistono in comportamenti da acquisire, perché non tutto si può osservare, e non tutto è traducibile in comportamenti, come pure non sarebbe realistico aspettarsi di vedere solo i risultati "compiuti". Il cammino di crescita si traduce in una promessa, in una iniziativa di impegno quotidiano della ragione e della volontà. Per questo motivo verranno, e a pieno titolo, considerati come risultati positivi tutti i tentativi, i propositi, le intenzioni tese a mostrare tale volontà. Di seguito sono indicati alcuni esempi di obiettivi riferiti alle priorità scelte nel paragrafo precedente:

a.  Promuovere l'autonomia. Ad esempio, ma non solo: capacità di vivere all'aperto con sicurezza e competenza: partecipare alle attività con un equipaggiamento appropriato, saper attenersi alle norme, partecipare alle uscite in natura nonostante le avversità atmosferiche o climatiche.

b.  Rispetto degli orari e partecipazione piena alle attività.

c.  Formazione al controllo dei consumi. Ad esempio, ma non solo: cura e rispetto del materiale comune: costruire piccoli attrezzi per contrastare la mentalità dell'acquisto come unica condizione per avere; dimostrare di comprendere il valore del materiale di cui dispongo (non uso la giacca a vento per andare a far legna o le maniche del maglione come presine!).

d.  Realizzazione della nuova sede.

e.  Studio dell'utilizzo del terreno vicino alla sede.

4.  GLI IMPEGNI DEI CAPI IN UN PROGETTO EDUCATIVO

Il coinvolgimento dei genitori

E' essenziale che la Comunità Capi sappia incontrare e dialogare con i genitori dei ragazzi del gruppo attraverso il Progetto Educativo. Il dialogo, a questo proposito, non verterà sulla cronaca delle attività proposte o che si intenderà proporre, quanto invece sui valori, sulle virtù umane che intendiamo far acquisire attraverso tali attività. L'occasione della presentazione del Progetto Educativo e la verifica di fine anno, consentiranno non solo di far conoscere il metodo scout, ma di impostare con le famiglie una necessaria collaborazione (per la Comunità Capi sarà lo stimolo per lavorare facendo sempre del proprio meglio per realizzare la speranza di poter condividere i propri ideali con i genitori dei ragazzi).

A volte per incontri di questo genere con i genitori potranno essere chiamati capi non più direttamente impegnati con l'attività del gruppo, a loro infatti, risulterà più facile comunicare i valori sui quali il gruppo imposta l'attività.

Ecco alcuni esempi di questioni riferite sia all'analisi che alle priorità indicate nelle pagine precedenti:
- se riteniamo che principale causa della mancanza di puntualità sia quella della presenza di alcuni ragazzi che per venire devono farsi accompagnare dai genitori, sarà conveniente regolamentare le iscrizioni accettando tendenzialmente quelle che rientrano nell'ambito del territorio del quartiere o della parrocchia;
- se i genitori tendono a punire i ragazzi negligenti non mandandoli alle attività scout, è necessario convincere le famiglie che lo scautismo non è una semplice attività di animazione del tempo libero dei figli; questo probabilmente favorirà anche la loro partecipazione alle attività all'aperto anche con condizioni meteorologiche sfavorevoli;
- se tra gli obiettivi del progetto educativo abbiamo considerato la proposta di sistemare alcuni locali per la nuova sede, dovremo prepararci a gestire tale impresa che verosimilmente comprenderà lavori che non potranno essere affidati solo ai ragazzi e che avranno bisogno anche della collaborazione dei genitori.

Il compito dei Capi Gruppo

Il ruolo dei capi gruppo nella realizzazione del Progetto Educativo è importantissimo, consiste nel vigilare e talora nell'"obbligare" i capi a realizzare programmi di unità fedeli al Progetto. Capita talvolta che nel Progetto Educativo si enunci l'importanza della vita all'aperto senza averne poi alcun riscontro nella pratica e nella verifica. Ed ancora, saranno i capi gruppo a prendersi cura che la verifica delle attività di unità venga svolta sugli obiettivi del Progetto Educativo, sui risultati attesi, sulla fedeltà agli impegni da parte dei capi. Inoltre, è loro preoccupazione garantire un sano equilibrio: tra attività formative personali vissute nel territorio e attività formative di Co.Ca, altri momenti associativi di formazione tra lavoro di Co.Ca di gestione del gruppo e attività coi ragazzi. Tutto questo a vantaggio dell'unico vero obiettivo della Co.Ca.: un efficace lavoro educativo verso i ragazzi del gruppo.

Il Progetto del Capo

In questi ultimi anni si è voluto dare il nome di Progetto del Capo a quel cammino di formazione personale intrapreso, probabilmente fin dall'inizio dello scautismo, da ogni capo di "carattere", così come l'avrebbe definito B.P.
La definizione attribuita comunica, con evidenza, che per essere un educatore non basta attuare un programma, ma occorre coltivare ad ogni istante la propria creatività, la propria persona.
Certo, non sono poche le difficoltà da affrontare per utilizzare nel migliore dei modi uno strumento di questo genere. Talvolta, infatti, avvertiamo d'essere disorientati ed il rischio che corriamo è quello di soffocare in una maglia troppo stretta o al contrario, mentre ci illudiamo di costruire così bene il domani, risultiamo invece estranei al presente immediato. A volte scadiamo in un presuntuoso personalismo progettuale, in altre, al contrario, pretendiamo di condividere ogni cosa in Comunità Capi quasi che la nostra fosse una comunità monastica.

La scelta di lavorare con un progetto educativo è sorretta anche dalla convinzione che non si può fare tutto da soli e che la riuscita non possa mai essere attribuibile al caso, ma sia, al contrario, il risultato di una conquista.
Se questo è quel che riteniamo valido proporre ai ragazzi ne consegue che lo stesso debba valere anche per lo stile di vita del capo. L'avventurarsi nell'impresa del progetto del capo testimonia che la formazione non è paragonabile ad un corso concluso una volta per tutte o magari ad un optional riservato a quelli che ei credono di più, ma risulta invece un tutto organico, incorporato con la vocazione stessa di dedicare il proprio tempo al servizio educativo.

Qualsiasi progetto in sè suggerisce l'idea di un'impresa, di un cammino, comunica l'intenzione di un movimento, a volte di un cambiamento. Il metodo del progetto, che già conosciamo, risponde ad un'esigenza di razionalità, di intelligenza, di volontà. L'atteggiamento di chi lavora ad un progetto è quello di chi pensa, si prepara, matura le convinzioni per agire, è fedele nel perseguirle senza ricorrere a gesti immediati di prepotenza o di furbizia. Il Progetto del Capo deve essere legato al Progetto Educativo per affrontare i problemi che i capi incontrano nel loro servizio. Infatti, alcuni tra i problemi che generalmente vengono imputati ai ragazzi, in realtà sono i problemi che l'educatore avverte nel rapportarsi con loro, riguardano il come del loro stare assieme. I ragazzi fanno parte della realtà, è l'educatore che deve entrare in relazione con loro, è lui che deve realizzare quel feeling in assenza del quale non si genera alcuna comunicazione.

La potenzialità d'un progetto ben formulato è innanzitutto quella di riuscire a farei vivere il presente con consapevolezza, di aiutarci a riconoscere gli atteggiamenti tipici della noia, i comportamenti stereotipati, gregari, inerti. Il capo deve guidare innanzitutto la sua vita, dal momento che non ci sarà mai nessuno che potrà dire "io" al suo posto.
Sembra quasi un paradosso ma anche l'oggi deve essere rispecchiato negli obiettivi del Progetto del Capo. Non possiamo programmare un futuro a spese del presente, senza rischiare, per tutta la vita, di non essere né qui, né là.
Il Progetto del Capo si inserisce nella logica dell'autoeducazione intesa come esercizio della volontà tesa ad una sempre più ragionevole e costruttiva relazione dell'uomo con se stesso, con i propri simili, con la natura, con il mondo delle cose e con il Mistero che avvolge di sè ogni cosa.

5.  DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E DEI MEZZI PER LA PROGRAMMAZIONE E LA VERIFICA DELLE ATTIVITA' DI UNITA'

Con il termine di obiettivi si intende qui sempre parlare dei risultati che si vogliono raggiungere. Nel tempo fissato per la durata del progetto tutte le unità lavoreranno su tutti gli obiettivi indicati, allo scopo di riuscire a far acquisire capacità e abitudini conformi alle aspettative. Ciò non esclude che ogni singola unità potrà lavorare con un programma che prevede anche altri obiettivi, come pure non tutte le esperienze saranno proposte direttamente dal gruppo, a queste infatti si possono aggiungere quelle degli altri livelli associativi.

Durante la verifica i capi dovrebbero saper cogliere la differenza esistente tra il riuscire a fare le attività e il riuscire a far acquisire le virtù umane sottese agli obiettivi fissati in partenza. Ogni attività, anche quella che passa attraverso l'acquisizione di una competenza, non ha significato se questo avviene senza intuirne i risvolti educativi. La competenza in senso scout avrà significato solo se aiuterà a crescere, se spronerà a prendere coscienza delle proprie doti personali, se metterà alla prova nella relazione con se stessi e con gli altri. Il Capo verificherà le attività senza perdere di vista il progetto, cosciente che il suo fare scautismo ha come scopo ultimo quello di mettere i ragazzi di oggi nelle condizioni di reggere, domani, lo sforzo della vita.

Definire gli obiettivi di unità, tenendo presente il percorso adottato dalla pedagogia scout e cioè dalle tre tappe: scoperta, competenza, responsabilità, aiuterà il capo a legare maggiormente l'esperienza che propone, con la gradualità dell'apprendimento e quindi a rispettare i tempi di evoluzione e di progressione personale dei ragazzi.

Il progetto si realizza annualmente attraverso un programma, un calendario, delle attività. La verifica potrebbe riguardare tre ambiti: le attività, l'azione dei capi, l'impatto sul territorio. La verifica delle attività potrebbe essere impostata oltre che sul raggiungimento degli obiettivi anche sull'impegno di parlare anche di altri progressi che, pur non immaginati o previsti, si saranno certamente realizzati. La verifica dell'azione dei capi potrebbe valutare non solo se abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare ma aggiungere, anche qui, ciò che non avevamo previsto ma che abbiamo acquisito anche in termini di maturazione personale, di affinamento dell'arte del capo. Per concludere, alla fine del triennio fissato, potremmo anche fare un bilancio dell'impatto o dei cambiamenti che l'esperienza del gruppo scout ha provocato nei rapporti con le famiglie, con le altre Associazioni del territorio, sull'ambiente.

6.  TEMPI E METODO PER LA VERIFICA DEL PROGETTO

Nei tempi scanditi dai momenti significativi dell'anno viene verificato lo stato di attuazione del progetto. Anche lo stato di avanzamento dovrà essere verificato rilevando se qualche obiettivo è stato raggiunto o se invece qualche altro deve essere modificato. Ad esempio:

- se avevamo deciso di imparare la meteorologia ma i capi che avevano questa competenza sono usciti dal gruppo, forse converrà cambiare obiettivo, piuttosto che accontentarsi di attività svolte in modo approssimativo;

- se il parroco è ricreduto sulla proposta di concederci i locali per la sede, perché quando è venuto a trovarci in sede si è inorridito per come gli avevamo ridotto quelli che ci aveva dato qualche anno fa, non avrebbe senso far come se nulla fosse accaduto! Ormai, al posto dell'impresa per la nuova sede converrà pensare all'impresa per la risistemazione di quella vecchia se non vorremo ritrovarci a dover indicare come obiettivo prioritario per la comunità capi, cercare la sede per il gruppo!

All'inizio di ogni anno scout è infine opportuno un momento di "riappropriazione" del progetto educativo, sia per consentire ai nuovi entrati in Co.Ca. di conoscerlo e di approfondirne i contenuti e le priorità, sia per permettere a tutti di richiamarsi gli obiettivi delineati e puntualizzare le priorità dell'anno che va a iniziare o, eventualmente, ridefinire l'intero impianto del progetto.

[ Nei tempi scanditi dai momenti significativi dell'anno viene verificato lo stato di attuazione del progetto]


IL PROGETTO DI ZONA

Così come avviene nella Comunità Capi, anche agli altri livelli dell'Associazione la realizzazione degli interventi deve avvenire secondo un agire progettuale. Il progetto da redigere, però, non sarà più strettamente educativo, cosa che rimane possibile solo alle Co.Ca.; avere obiettivi e programmi volti a realizzare i compiti che sono istituzionalmente legati alla struttura propria di quel livello.

Molto spesso, talora erroneamente, si è parlato della necessità dell'integrazione tra progetti, quando, in realtà, i progetti non sono da integrare dal momento che il Progetto educativo è uno solo.

Prima della riforma (cfr C.G.1988) i capi potevano disporre di proposte, elaborate dai livelli superiori e destinate direttamente ai ragazzi. Ora, invece, questi stessi capi ricevono prevalentemente forma-zione per svolgere sempre con maggiore competenza il loro servizio, cioè per offrire ai ragazzi una proposta più qualificata. La Riforma si propose di creare le condizioni affinché la centralità della Comunità Capi non si limitasse ad essere soltanto uno slogan, ma diventasse, gradualmente, la pratica quotidiana dell'Associazione.

Dallo Statuto in vigore è possibile estrarre quali sono i compiti dei livelli e da quali persone o organismi questi compiti devono essere assolti. Come sempre, il rispetto delle regole è la condizione per giocare bene, evitando sovrapposizioni di competenze e la prassi che vede "tutti rivolgersi a tutti" con conseguente ed inevitabile dispersione di energie.

Compito primario del livello di Zona è promuovere la formazione e la crescita delle Co Ca.; a tal fine la Zona stimola ed aiuta le Co.Ca. a realizzare il Progetto Educativo, a confrontare e verificare la loro azione educativa, a realizzare l'aggiornamento e la formazione degli adulti in servizio.

Sono, inoltre, compiti del livello di Zona:

  1. promuovere ed aiutare la costituzione di nuovi gruppi, predisponendo un apposito progetto di sviluppo
  2. curare per il proprio livello i rapporti con gli organismi civili ed ecclesiali, con le altre associazioni educative, con la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale
  3. promuovere, qualora previsti dal programma, attività ed incontri tra Unità ferma restando la responsabilità educativa delle singole Co.Ca.
  4. contribuire alla formazione dei capi ed al tirocinio degli adulti in servizio

Nell'ambito dei compiti assegnati al livello di Zona, il Progetto di Zona prevede obiettivi specifici in raccordo anche con i Progetti Educativi della Zona stessa.

A questo punto non rimane che affrontare la descrizione della metodologia dei progetti dei livelli superiori.

Questi tipi di progetto (dalla Zona in su...) vengono sovente chiamati educazionali, termine, però, che citiamo ora tanto per intenderei, ma che non useremo più in seguito.

E' bene dire che il metodo progettuale di una Zona o di una Regione è sostanzialmente vicino a quello esposto in precedenza per i progetti educativi delle Co.Ca.

Per questo motivo, in ciò che segue non ripeteremo lo schema proposto all'inizio e poi sviluppato in modo esauriente. Ci limiteremo a fare solo alcune osservazioni sintetiche che mettano in luce le differenze che si verificano nel caso del progetto di Zona. Cercheremo, inoltre, di segnalare alcune attenzioni che ci sembrano importanti.

Il livello "sottostante"

A differenza della Co.Ca., la Zona e la Regione si appoggiano su un livello che sta sotto (non come importanza!) che è il gruppo. Appare quindi evidente che un Progetto di Zona può funzionare bene solo se funzionano bene le dimensioni progettuali dei gruppi.Il primo compito della Zona, allora, è proprio quello di verificare questo aspetto, poiché non è pensabile raccordare i progetti educativi di gruppi (come specificato in precedenza) se questi non esistono o sono fatti male.

I confini e le aree omogenee

Poiché uno dei compiti principali della Zona è curare i collegamenti con gli organismi civili ed ecclesiali presenti nel territorio, occorre verificare qual è la situazione in ogni Zona Scout. Spesso quest'ultima non coincide, ad esempio, con la Diocesi o con la Provincia ed è chiaro che, in questo caso, si devono integrare parti del Progetto di più Zone. A volte può essere utile pensare le suddivisioni zonali in base all'omogeneità sociale e culturale di un determinato territorio (questo vale principalmente per le zone molto estese) poiché questo aspetto costituisce la base di un'analisi dei bisogni riuscita.

Le lenti con cui fare l'analisi dei bisogni

Qui, a livello zonale più che a livello di gruppo, si corre il rischio di allargare troppo il proprio campo di intervento in quanto si viene a contatto con una realtà molto più complessa e sfaccettata rispetto a quella del gruppo. Allora occorre sempre tenere presente che l'obiettivo finale di un Progetto di Zona è aiutare le Co. Ca. ed i Capi a realizzare con i loro ragazzi gli obiettivi dell'educazione scout. Solo così si resterà fedeli a propri compiti e si avranno maggiori probabilità di successo.

Chi sono i soggetti

Quando si fa un Progetto di Zona il lavoro di analisi non deve essere indirizzato ai ragazzi ed ai loro mondi vitali, poiché questo compito spetta alla Comunità Capi. I soggetti allora, sono i capi stessi, che necessitano di formazione personale e metodologica ed il loro ambiente. I soggetti, però, sono anche le Comunità Capi viste nell'insieme; infatti non è sufficiente pensare ai singoli capi da formare poiché ciò non garantisce automaticamente il funzionamento delle Co.Ca. Occorre osservare i meccanismi interni alle Comunità Capi ed i ruoli favorendone, con il Progetto di Zona, lo sviluppo ed il pieno funzionamento.

La scelta delle priorità

E' un filtro indispensabile per limitare solo a ciò che compete il nostro intervento progettuale. Serve allora una grande conoscenza dei compiti cui è chiamata la Zona, unita ad una formazione specifica per i quadri al ruolo (ne parleremo in seguito). Poiché, soprattutto a livello di Zona, è facile cadere nella tentazione di "allargarsi" è bene ricordare che la scelta delle priorità dipende non dalla gravità del problema individuato quanto dalla possibilità di successo nel risolverlo.

Le risorse

Come è già stato detto, la verifica delle risorse è un aspetto importante. Tuttavia in una Zona risulta molto più difficile poiché c'è una minore conoscenza delle persone e deve loro disponibilità. Allora diventano necessarie alcune considerazioni: quando si chiedono delle disponibilità al lavoro in Zona si contattano capi che non hanno, in genere, esperienze al riguardo.

Diventa necessario, quindi, provvedere alla formazione al ruolo di quadro poiché nessuno nasce con questa capacità. In altre parole, le risorse vanno "coltivate" con pazienza poiché non sono immediatamente disponibili. Anche il processo di ricerca di persone che possano fare i quadri associativi è importante e delicato: qui ci si gioca molto poiché si possono anche fare ottimi progetti, ma se non ci sono quadri "all'altezza della situazione" non si riuscirà a realizzare poi molto. Altre risorse, infine, possono uscire da una migliore organizzazione interna del lavoro di zona. Infatti qui esistono possibilità di flessibilità che troppo spesso non vengono utilizzate.

La definizione degli obiettivi

Un obiettivo è definito bene se è verificabile. Nel caso della Zona, in particolare, significa avere chiaramente specificato quello che deve essere raggiunto dalle Comunità Capi e dai Capi in ognuno degli obiettivi del Progetto.

I ruoli e il progetto

La stesura del Progetto di Zona parte dalla verifica di quello precedente che viene fatta dal Consiglio di Zona e dall'Assemblea e che serve per individuare i punti rimasti in sospeso, gli obiettivi ancora non raggiunti che devono essere di nuovo presi in considerazione. Durante tutto il periodo in cui si definisce il Progetto, l'organismo centrale è certamente il Consiglio di Zona che è il vero strumento di politica associativa della Zona. Spetta al Consiglio di Zona ed al Comitato organizzare il Convegno di Zona che chiama a raccolta tutti i capi. Il Convegno è un forte momento di confronto e di raccolta dati che deve avere come scopo quello di esprimere richieste, bisogni, linee generali di intervento, nuove sensibilità, intenti che si trasformeranno in obiettivi nel Progetto di Zona. Un'attenzione da tenere durante il Convegno è quella di evitare che il singolo capo parli come fruitore di attività della formazione capi, tralasciando tutte le esigenze che potrebbe esprimere durante una di branca. Occorre che il Convegno sia organizzato in modo da fare percepire chiaramente al capo l'unitarietà dell' intervento della Zona. Successivamente, dopo il lavoro di qualche commissione in grado di organizzare i dati, entra in gioco il Consiglio che cercherà di definire gli obiettivi scegliendo le priorità. Inoltre deciderà tempi e modi per la realizzazione e la verifica. E' un compito difficile poiché si tratta, in qualche modo, di interpretare e scegliere. La stesura definitiva, prima di passare l'ultima volta al Consiglio, è affidata a commissioni di lavoro, più agili e concrete. A questo punto si tratta di attuare il Progetto ed è ora che divenivano importanti il Comitato di Zona (formazione capi, organizzazione, sviluppo) e le Branche (aspetti metodologici). Al Comitato spetta l'incarico di organizzare tutto il funzionamento delle strutture, compreso il lavoro del Consiglio e di mantenere i collegamenti con le strutture ecclesiali e civili.

A questo proposito è giusto sottolineare che, una volta completato il Progetto, è opportuno farlo conoscere all'esterno (Diocesi ...) Alle Branche spetta il compito di tradurre gli obiettivi generali scelti in obiettivi metodologici. Quello delle Branche è un ruolo importante che non va sottovalutato, esse costituiscono un ambito in cui il capo si esprime in modo più libero e quindi sono un luogo in cui può manifestarsi la creatività e la tendenza all'innovazione che sono (o dovremmo dire "erano"?) tipiche dello scautismo.

Incontriamo proprio qui uno dei problemi più grossi, relativi al progettare, di questi ultimi anni: ci sono due tendenze opposte tra le quali è necessario trovare un equilibrio. Da una parte si tende a non riconoscersi negli obiettivi di un Progetto e quindi a porsi fuori da esso proponendone altri. Dall'altra si rischia di diventare solo dei puri esecutori, senza creatività, senza ascoltare più i capi per non aggiustare più il tiro sugli obiettivi del Progetto, per non rischiare nulla nell'innovazione metodologica. Ecco perché le Branche sono strategiche.

In questa breve carrellata dei ruoli non restano che i Settori e l'Assemblea. Quest'ultima ha lo scopo di verificare il Progetto e lo stato di attuazione dei Programmi. Per quanto riguarda i Settori si tratta di pattuglie che escono dagli obiettivi di un Progetto e quindi a quel Progetto sono legati. Hanno un'autonomia ridotta nel tempo, servono per realizzare quelle parti importanti di Progetto per le quali si è verificato che non vi sono risorse sufficienti all'interno del Consiglio e del Comitato.

Variazioni al progetto

Come il Progetto Educativo, anche il Progetto di Zona è sottoposto ad una verifica annuale.Solo il Consiglio di Zona ha il potere di fare modifiche consistenti laddove se ne rilevasse la necessità per tutta la Zona.


Le Relazioni

PERCHÉ PROGETTARE?

Perché progettare? E' la domanda che mi sono posta quando mi è stato chiesto di preparare questo intervento. Progettare! Questo termine è talmente utilizzato in associazione che rischiamo di non ricordarci più il senso originario. Io credo che con la progettazione l'uomo affermi che le cose possono essere costruite secondo obiettivi precisi: che è possibile intervenire sulla realtà e modificarla indicando come questa dovrà essere. L'attività di progettazione è esercizio del governo delle situazioni: "guidare la propria canoa nei flutti della vita" tenendo forte il timone tra le mani per riuscire a mantenere la rotta tracciata. Progettare è: affermare che è possibile ridefinire un futuro individuale e collettivo senza lasciarsi sopraffare dal "destino" o dal "caso". Credere che il singolo uomo o popolo non siano vincolati ad un percorso prestabilito ed immodificabile. Essere convinti che, seppur in modi diversi, sia possibile intervenire e mutare le condizioni iniziali della vita.

L'articolo 3 della Costituzione, dopo aver sancito il diritto all'uguaglianza ed alla pari dignità per tutti gli uomini, afferma che questo va costruito rimuovendo le cause che, di fatto, non ci permettono l'esercizio di tale diritto; afferma cioè che è possibile e necessario intervenire sulle situazioni per mutarle in funzione di obiettivi precisi. Se come umanità non siamo guidati dal destino, dal caso, dalla fortuna, allora vuoi dire che possiamo davvero cambiare attraverso i progetti le nostre condizioni individuali e collettive di guerra, di fame, di odio e di ingiustizia, ma soprattutto vuoi dire che, quando affermiamo questo, non siamo nel campo delle mere speranze ma nel campo del possibile.

EDUCARE

La parola educare deriva da esducere che vuoi dire tirare fuori. L'educatore secondo B.P. è chiamato a far emergere il 5 per cento di buono che c'è in ogni ragazzo, per farlo lievitare. Penso che non esisterebbe nessuna attività educativa se non si credesse nella possibilità di cambiare, di capovolgere le situazioni di partenza, e noi capi scout abbiamo fede che questo possa avvenire partendo anche solo dal 5 per cento.

L'educazione attraverso il metodo scout ha come obiettivo quello di fare imparare ai ragazzi a guidare "la propria canoa", cioè a progettare la propria vita individuandone uno scopo, tracciando una rotta di avvicinamento, ed imparando a mantenerla nelle singole situazioni.

L'attività educativa presuppone, allora, di credere nella progettazione non solo come strumento, ma come stile di vita. Gli educatori sono portatori di un messaggio preciso, essi dimostrano:

IN QUALE REALTA'?

Queste convinzioni ed intuizioni si collocano in un tempo caratterizzato dall'assenza di progetti, sia di vita individuale che di società.

Quale progetto di vita individuale?

I nostri ragazzi vivono divisi fra mille cose diverse, è il tempo delle esperienze, tutte importanti, ma nessuna fondamentale. C'è una reale incapacità di cogliere il filo che unisce le tante esperienze (la vita!) dei nostri ragazzi, molte all'opposto l'una dell'altra. Nei nostri clan i ragazzi passano dall'attività di servizio alle manifestazioni di indifferenza/intolleranza (anche se solo verbale) nei confronti degli immigrati, dei tossicodipendenti, dei nomadi... dall'esperienza di essenzialità ed autofinanziamento allo spreco dei soldi non guadagnati, e molto ancora ognuno di voi potrebbe aggiungere. I genitori non sono esenti da questo atteggiamento, troppo presi dal proprio protagonismo (realizzazione professionale, spazi individuali, partner sbagliato, ecc...) o dai nuovi problemi che l'assenza di lavoro sta provocando in molte famiglie, vivono una vita tra i mille impegni che non riesce a testimoniare priorità oggettive. Manca il filo che guida le esperienze della vita e che permette agli individui, progettando il passo successivo, di crescere e costruirsi la propria storia; storia che non è la somma di fatti diversi ma l'evolversi della persona attraverso esperienze anche diverse, che trovano senso una nell'altra.

Quale progetto di società?

Il crollo del muro di Berlino ha definitivamente distrutto le poche immagini di società che ci eravamo costruiti. E' crollato il mito del comunismo reale, come società giusta su cui riversare il sogno di uguaglianza di tutti gli uomini; è crollato il mito del capitalismo, come società capace di rispondere ai bisogni di libertà individuale. Non esistono più modelli di riferimento ed occorrerebbe progettarne di nuovi, individuando rapporti sociali, forme di stato e di economia capaci di rispondere ai bisogni di questa nostra umanità. Ma siamo fermi al palo, incapaci di progettare un futuro con gli elementi che abbiamo. Ci vengono proposte in questo caso soluzioni parziali o frammentate su singole questioni, che non essendo dentro un progetto globale rischiano di essere in opposizione l'una all'altra. La legge sull'immigrazione, quella sulle pensioni, le riforme elettorali: gocce, pillole, rispetto al bisogno di una seria, necessaria attività di progettazione di un modello di società nuova.

L'AGESCI PAGAIA CONTRO CORRENTE?

Mi chiedo dove stia andando l'associazione in questo momento e provo a fare un'analisi rispetto al mondo educativo (quello dei nostri gruppi) ed a quello educazionale (di tutte le strutture che operano a supporto dell'attività educativa).

La realtà in cui i nostri gruppi operano

Davanti ad una società in crisi di progetti, troppo spesso i nostri gruppi si ripiegano in se stessi, quasi a voler difendere dei confini, che non esistono, tra il dentro ed il fuori dell'associazione. Il mondo con i suoi problemi e il disagio dei nostri ragazzi entra nelle nostre unità, ma i nostri progetti si fermano sulle soglie delle nostre sedi, contribuendo così all'immagine di frammentazione della vita che hanno i nostri ragazzi. Infatti se la nostra attività non costituisce collegamenti tra la famiglia, la scuola, il tempo libero, ma diviene uno dei tanti momenti, non fa che affermare che è possibile vivere separati dentro se stessi. A questo punto mi chiedo se sia possibile progettare in educazione senza cogliere la necessità di globalità. 0 meglio, è possibile chiamare attività educativa qualcosa che non riesce a cogliere le persone nella loro interezza, nella loro globalità?

Molti capi da sempre affermano che non possiamo arrivare dappertutto e che il nostro ruolo è l'educazione. Questa affermazione è verissima rispetto a chi pensa ad uno scautismo factotum, in grado di risolvere da solo tutti i problemi. Lo è un poco meno se significa affermare che l'educazione dei giovani può prescindere dalla vita stessa dei nostri giovani. Distoglierli, cioè, dal loro quotidiano, invitandoli ad una sfida con se stessi che non è capace di tenere i piedi nella realtà. Quanti sogni, quante speranze nate nei nostri clan non reggono l'impatto con un quotidiano assai diverso?

Io credo che oggi siamo chiamati, comunque, ad un ruolo nuovo: quello di essere un luogo in cui sia possibile una progettazione unitaria. E' diventato fondamentale cogliere:

La realtà associativa

Credo che anche la nostra associazione stia soffrendo al suo interno del momento poco progettuale che stiamo vivendo. Alcuni segnali, che provengono dalle strutture che sono al servizio dell'attività educativa dei nostri capi, meritano di essere verificati.Mi sembra sempre più evidente lo sbilanciamento che l'associazione vive tra l'essere ed il dover essere: dalle nostre Co.Ca. in cui il dover essere allontana sempre più i capi dal costruirsi la propria autorevolezza passo dopo passo, rendendoli incerti ed insicuri, facendoli sentire inadatti al compito educativo, in quanto troppo lontani dall'immagine ideale di capo che l'associazione propone, ai grandi messaggi dei progetti nazionali o regionali, dove il progetto è troppo lontano dalla realtà dei capi e rischia di essere ancora una volta un invito a "dover essere", più che una serie di percorsi attraverso cui mutare la realtà.

Mi sembra inoltre che l'associazione stia teorizzando la progettazione, allontanandola sempre più dalla prassi. Tanti discorsi, tanti approfondimenti, tante valutazioni teoriche che non trovano poi concretezza nell' attività educativa. Stiamo diventando i teorici dell'educazione? I nostri capi riescono a tradurre da soli il materiale, gli stimoli, le ricchezze che i vari livelli associativi producono? Chi è in grado di ricostruire il ponte tra quotidiano e speranza, che sembra essersi interrotto?

Alcune di queste istanze erano riposte nella riforma delle strutture, voluta prima di tutto per rendere più facile l'attività di progettazione che dalla Co.Ca. ai comitati di zona, regionali e nazionali trovava difficoltà ad esprimersi attraverso la forte organizzazione di branca. Se da una parte questo è avvenuto, dall'altra c'è da chiedersi come mai l'associazione sembra non riesca a ritrovare i fronti su cui spendere le proprie energie? Quasi che i bisogni dei nostri ragazzi non riescano più ad esprimersi con forza attraverso la vita in associazione ed in essa, poi, produrre quella riflessione metodologica e quell'impegno politico che da anni ci ha caratterizzato.

Io credo che alcuni aspetti della riforma delle strutture siano stati travisati o mal interpretati da chi è stato chiamato a gestirla. Il rafforzamento della progettazione delle Co.Ca. non ha mai significato che le branche dovessero essere chiuse. Nessun buon Capo Gruppo penserebbe mai che lavorare bene in Co.Ca. presupponga questo. Eppure oltre la metà delle nostre Zone in questi anni hanno annullato (o ridotto a pura organizzazione di attività per ragazzi) la vita di branca tagliando così i ponti, di fatto, con le istanze educative pedagogiche e metodologiche che i capi portavano tradizionalmente all'associazione. Anche l'attività delle branche nazionali, anziché sviluppare all'interno di un unico progetto la riflessione sul metodo e sugli strumenti, è rimasta al palo, non permettendo così a tutta una serie di intuizioni di essere ritradotte in materiale su cui i nostri capi potessero attingere nel quotidiano delle loro attività educative.

Altra domanda che mi sembra sia andata crescendo in questi ultimi anni è se esiste la differenza tra il modo di progettare di una Co.Ca. e quello con cui si progetta una Regione o una Zona. lo credo di no, ma il nodo mi sembra piuttosto un altro, è possibile che siano identici progetti che hanno referenti diversi (ragazzi, capi) con bisogni diversi? Su questo abbiamo molto da lavorare nella prassi. Merita infatti domandarsi se le nostre strutture quando stendono i loro progetti abbiano chiaro che l'educazione è lo sfondo su cui lavorare e che questa non può essere assente, ne deve, però, essere l'obiettivo diretto.

SEGNALI DISCORDANTI

Questa fotografia rischia però di non cogliere alcuni particolari che mi sembra diano un' immagine diversa, segnali che mostrano che il lavorare per progetti può essere vissuto in associazione. Forse sono segnali deboli, molto spesso legati a singoli capi o realtà locali che però potrebbero essere dei battistrada, dei sintomi che qualcosa si sta muovendo. Esistono capi, comunità capi e strutture associative varie, che sono riuscite a progettare il proprio intervento educativo, cogliendo la globalità in cui si collocava e le potenzialità che poteva esprimere.

A Firenze dal lavoro di Eugenio Banzi e di una Co.Ca. è nato negli anni '80 il primo centro operativo dell'Agesci per l'obiezione di coscienza. Il progetto Arcobaleno non solo ha tentato di individuare risposte possibili per un territorio in cui forte era il bisogno di accoglienza del disagio, ma ha saputo unire a questo un progetto di proposta di servizio per i rover e le scolte, e si è proposto come riferimento per altri progetti di comunità di accoglienza che, successivamente, sono nate dallo scautismo in altre realtà italiane.

A Roma la Zona Salario ha progettato e sostenuto l'intervento di servizio dei rover nel campo nomadi presente nel proprio territorio, ponendosi assieme ad altre realtà del volontariato come interlocutore nei confronti del Comune.

A Palermo, a Gela, a Casal di Principe i capi si interrogano ed interrogano l'associazione su come possa essere progettato l'intervento educativo con il metodo scout in situazione di forte disagio e marginalità; quali aggiornamenti metodologici siano necessari, quale supporto educativo indispensabile.

E ancora diversi potrebbero essere gli esempi di realtà associative che, con notevoli sforzi, stanno lavorando affinché l'intervento educativo sia frutto di progettazione condivisa, che partendo dai bisogni sappia costruire un futuro nuovo.

CONCLUSIONI

Credo che le nostre strutture oggi siano chiamate a rafforzare il patrimonio associativo, razionalizzando le esperienze fatte in un cammino di formazione quadri, affinché tutti coloro che oggi si trovano ad iniziare un percorso di quadro in associazione non si trovino a dover ricominciare da capo sulla propria pelle.

Infine, io credo che come associazione siamo chiamati ad una maggior consapevolezza del ruolo che giochiamo nella costruzione di una nuova società italiana: il richiamo costante ai bisogni dei giovani e la nuova progettazione pedagogica. Per far questo, occorre che le Co.Ca. tornino a progettare sui problemi quotidiani dei ragazzi, rimettendo in moto la sperimentazione educativa e l'elaborazione metodologica come risposta ai bisogni veri delle giovani generazioni. Occorre che l'associazione torni a dare spazio a queste tematiche, facendo funzionare le strutture che si è data su questi temi.

Infine, vorrei concludere con uno scritto di Baden-Powell che mi sembra sintetizzi meglio di qualunque altra parola lo spirito che guida la progettazione educativa.

GUARDA LONTANO

Se dovessi suggerire un motto per aiutare i Capi nel nostro lavoro, potrebbe essere: "Guarda lontano e... sorridi". Ci sono due modi per scalare una montagna. C'è chi sale su diritto seguendo il sentiero fatto dagli altri o indicato nella guida: tiene gli occhi bassi su quel sentiero, per non perderlo: la sua idea è di farcela ad arrivare in cima. C'è invece un altro tipo di alpinista che è ugualmente ansioso di arrivare in cima, ma che guarda più lontano. Guarda avanti a sè ed in alto e vede le varianti che, a causa di frane, ecc., si possono fare rispetto al sentiero preesistente e varia il suo percorso in conseguenza. Di quando in quando si ferma a guardare attorno a sè per rendersi conto della vista spettacolosa che ad ogni passo si apre e si dispiega dinanzi a lui; così il suo animo si riempie di gioia ed entusiasmo, che rendono leggero il suo compito e gli danno una rinnovata spinta a continuare.

Inoltre, guardando indietro, si rende conto che le colline che ha tanto faticato per superare sono ormai semplici monticelli di talpe ed ha la possibilità di fare segnali agli altri ancora impegnati nella prima parte della scalata, per dar loro indicazioni ed incoraggiamento. Così il secondo alpinista compie la sua scalata con gioioso entusiasmo, anziché, come l'altro, con un'ascensione tenace, ma seria e faticosa.

Dunque nel nostro lavoro - come del resto in ogni altra attività - dovremmo guardare avanti, molto avanti, con grande speranza ed obiettivi elevati, e guardare attorno a noi con gioia e buona volontà;

guardare indietro con gratitudine per ciò che è stato compiuto, e quindi continuare con rinnovato vigore, con pronto spirito d'iniziativa e con più larga veduta sulla meta ultima che vogliamo raggiungere, aiutando nel contempo gli altri nel cammino.

Ma quando guardate, guardate lontano, e anche quando credete di star guardando lontano, guardate ancor più lontano!

(da Headquarters Gazette, novembre 1920).


EDUCARE CON UN PROGETTO
per essere competenti come educatori scout

Il principio fondamentale su cui si regge l'educazione è il valore di ogni singola persona. Questo principio, ormai riconosciuto universalmente, sta prima di ogni discussione, anche se spesso non viene rispettato.

Educare significa fare in modo che ogni persona, 'tiri fuori', pro-muova, realizzi, esprima, quello che è.

Educare significa avere fiducia negli altri, vuoi dire rispettare la natura, i doni delle persone, i loro limiti, la loro cultura, la loro fede religiosa, la loro età.

Educare è soprattutto l'arte di condurre le 'nuove generazioni' e renderle così capaci di affrontare in modo positivo, libero e autonomo, le grandi sfide future della vita, aiutandole a trovare armonia in se stesse, con la natura, con la società in cui vivono.

Educare è una forma radicale di protesta contro tutte le forme di oppressione, di manipolazione, di strumentalizzazione degli esseri umani.

Educare significa attribuire al fatto di essere donne o uomini, maschi o femmine, l'identico valore nella innegabile diversità.

La scoperta di Dio costituisce un elemento fondamentale dell'educazione.

L'educazione è efficace nella misura in cui riesce ad operare un cambiamento nella direzione voluta, è efficace, cioè, quando realizza ciò che si era proposta di realizzare.

In edilizia, un progetto per essere eseguito fedelmente ha bisogno di essere esplicitato: inserito nell'area di costruzione, definito nelle dimensioni, nelle strutture, nella scelta dei materiali, nelle modalità costruttive, nella previsione dei costi e dei tempi di realizzazione. Il disegno di una realizzazione architettonica contiene tutto quanto deve essere comunicato in cantiere, non una cosa di più né una di meno!

Anche in educazione il progetto deve essere esplicitato, anche in educazione il progetto deve contenere solo ciò che serve per l'azione.

Anche i nostri progetti non devono essere dei trattati di ingegneria, ma strumenti da utilizzare per tutta la durata del "cantiere". Nel caso della costruzione di un muro, però, il muratore è l'unico artefice della buona qualità del risultato. In educazione, invece, sappiamo che molteplici sono i fattori che intervengono a determinare la crescita o la non-crescita della persona. Solo chi ha preso in mano in modo autentico la propria vita può in qualche modo aiutare gli altri a crescere, ciononostante non potremo mai interpretare l'azione educativa in termini di rapporto meccanicistico di causa-effetto. Le differenze tra i diversi progetti: educativi ed educazionali Si tratta di differenze di destinatari, di contenuti, di formato e quindi di metodologia impiegata nella redazione di ciascuno di essi

1.  Come nasce e si realizza un progetto di gruppo:

prima fase:
  1. analisi della situazione
  2. definizione dei problemi e delle opportunità
  3. scelta delle priorità
seconda fase:
  1. esprimere con chiarezza gli obiettivi, cioè i risultati, che si intende raggiungere;
  2. individuare e saper usare i mezzi per giungervi, (gli strumenti del metodo, le attività);
  3. cercare di verificare il risultato (attraverso l'osservazione dei comportamenti delle persone).

2.  Come nasce e si realizza un progetto educazionale:

Come per il progetto educativo, possiamo immaginare due momenti:

  1. Analisi della situazione; definizione dei problemi e delle opportunità; scelta delle priorità
  2. Esprimere obiettivi / risultato; i mezzi per giungervi (programma}; verifica sia durante che alla fine

L'analisi della situazione (a) si presenta in campo educazionale più complessa e ampia! I semplici dati rischiano di farei perdere nel mondo della sociologia, psicologia, politica. Dobbiamo perciò utilizzare dati già aggregati e sintetici che i nostri interlocutori ci offriranno (e noi contribuiremo a farei dare) tramite i Progetti educativi o i Progetti di zona, a seconda dei livelli interessati. La definizione dei problemi e delle opportunità deve essere fatta con l'ottica della specificità AGESCI, creando semmai sinergie e attivazione per quei problemi non strettamente educativi, ma che influenzeranno (in modo positivo o negativo) la nostra azione. E' molto importante capire chi parteciperà alla definizione dei problemi e alla scelta delle priorità perché questo favorirà la collabora- zione nel momento dell'azione. Infine, la scelta delle priorità e di conseguenza la determinazione degli obiettivi si articoleranno nelle tre aree principali di competenza di un progetto educazionale:

Le altre fasi (b) (obiettivi, programma, verifica) non cambiano rispetto ai progetti educativi, dal punto di vista della metodologia di progettazione. Forse qualcosa si può dire della verifica: Se é già difficile "dirsi le cose" in una Comunità Capi, lo é ancora di più a livello quadri; per questo é fondamentale verificarsi offrendo non idee ma dati concreti e reali su sviluppo scout, organizzazione, rappresentanza ...

3.  La metodologia del progetto educativo: PPPVR (problema - priorità - provare - verificare - riprogettare) e dei progetti educazionali: OSOVR (obiettivi - strategie - offerta - verificare - ripro-gettare).

La differenza tra i progetti non risiede nel metodo con il quale vengono costruiti: il progetto educativo nasce dall'analisi della realtà dei ragazzi del gruppo; i progetti educazionali dalla lettura dei bisogni formativi dei capi rispetto allo scenario socio- ecclesiale del progetto educativo.

Alcuni progetti hanno come punto di partenza l'analisi come individuazione dei problemi e delle opportunità, altri vengono costruiti a partire dall'individuazione degli obiettivi cui tendere. Per progettare bene è sempre necessario partire dalla lettura della realtà, dall'individuazione di bisogni, problemi ma anche opportunità, ossia le risorse delle persone e dell'ambiente da valorizzare, da utilizzare positivamente.

Svolgendo l'analisi della realtà è opportuno chiarirsi sul concetto di problema, che è strettamente legato all'idea di cambiamento.

Qual è il concetto di problema che abbiamo?
- il problema è esclusivamente di chi ha bisogno?
- il problema può essere anche nostro?

Un esempio forse mi aiuta nella comunicazione.

- I giovani che non parlano non hanno nulla da dire o stanno parlando altri linguaggi?
- Chi si espone sapendo che l'altro su di te ha un giudizio negativo?

Se il tipo di approccio educativo è basato solo su una proposta di iniziative e di valori, in che modo può scattare la molla dell'interesse da parte dell'educando? La relazione educativa è necessariamente asimmetrica (l'educatore e l'educando non sono sullo stesso piano ed è dannoso fingere che lo siano), ma non può essere unilaterale, l'educatore deve avere capacità di ascolto, deve accogliere, deve essere preoccupato del come si sta assieme. «Non basta amare i giovani: bisogna che i giovani capiscano di essere amati». Se dovessimo andare a vedere i nostri progetti, avremmo conferma che alcuni di essi propendono per la metodologia del problema/opportunità ed altri per la metodologia dell'obiettivo. La meno utilizzata è, in genere, la metodologia del problema/opportunità. I progetti che hanno come punto di partenza la definizione dell'obiettivo sono tutti progetti, anche validi sotto certi punti di vista, ma sicuramente più staccati dalla realtà.

Come realizzare un progetto educativo

Il processo di esecuzione si sviluppa in tre fasi: analisi, progetto vero e proprio, realizzazione.

I. Durante l'analisi vengono rilevati i problemi e le opportunità, si opera un discernimento ed infine li si ordina secondo una gerarchia di priorità.

Non dobbiamo coltivare l'illusione di poter intervenire efficacemente in ogni situazione o su ogni argomento, dopotutto lo scautismo, occupandosi del tempo libero, è soltanto uno tra i diversi ambiti frequentati dai ragazzi, rappresenta quindi una delle diverse offerte di educazione. Il progetto educativo dovrà essere redatto operando delle scelte: «Quali sono i dati dell'analisi che mi interpellano come educatore scout?», «Quali potrò affrontare indirettamente facendomi da tramite con qualcuno più preparato?».

Un orientamento nell'individuazione del nostro "specifico" credo si possa individuare nei 4 punti di B.P.: formazione del carattere, salute e forza fisica, abilità manuale, servizio del prossimo.

Il Progetto Educativo opererà dunque alcune scelte sugli obiettivi e conterrà, di conseguenza, delle indicazioni di priorità.

Per realizzare l'analisi: potremmo provare a rispondere a domande di questo genere:

Dopo aver completato l'analisi (che può richiedere solo qualche ora o, al massimo, qualche giorno), se essa rivela che il nostro intervento è opportuno, si può iniziare il progetto.

II. Per attuare il progetto vero e proprio si devono individuare gli obiettivi, ossia i risultati concreti che si prefigge l'educatore. Gli obiettivi andranno formulati in termini descrittivi, specifici, operativi.

Obiettivi così formulati sono importanti almeno per quattro ragioni.

  • La prima ragione è relativa ai vantaggi che derivano dall'esplicitare l'esperienza e rifletterci criticamente in quella bottega del metodo che è la Comunità Capi, luogo vero del 'tirocinio del Capo' .
  • La seconda è che, quando mancano obiettivi chiaramente definiti, manca una valida base per la programmazione. Se non si conosce chiaramente la meta che si vuole raggiungere, ossia quali sono le virtù umane che intendiamo far acquisire, è difficile scegliere i mezzi adatti per operare. L'artigiano saggio non sceglie gli strumenti finché non conosce quale operazione si appresta ad eseguire; molto spesso, invece, gli educatori parlano degli strumenti del metodo senza mai specificare quali mete desiderano raggiungere attraverso l'uso di tali strumenti.
  • La terza importante ragione per formulare gli obiettivi con precisione è legata alla necessità di scoprire successivamente se l'obiettivo, di fatto, è stato raggiunto e se l'attività proposta è stata adeguatamente preparata (credo che dovremmo allenare maggiormente non solo a verificare le risposte che ci danno i ragazzi attraverso i loro comportamenti, ma anche l'adeguatezza e l'attuazione della nostra proposta). Questo ci permette di non affezionarci troppo alla prima versione del nostro progetto: in corso d'opera, infatti, potremmo scoprire di avere seri motivi per doverlo modificare e di ciò non dovremo vergognarci.
  • La quarta ragione l'individuerei nell'area della lealtà con la quale comunichiamo i nostri intenti, con la quale ci rapportiamo con le famiglie, la chiesa locale ed in generale il territorio nel quale siamo inseriti.
  • Se si hanno le idee chiare sulla meta da raggiungere, si ha anche un'ottima possibilità di arrivarci.

    Excursus sugli obiettivi

    Un obiettivo formulato in un modo significativo riesce a comunicare l'intento in modo inequivocabile e più conciso possibile con tanta chiarezza da escludere malintesi.

    Dobbiamo ricordarci che il progetto deve essere comprensibile, ricordarci che la funzione di un obiettivo è di comunicare.

    Se lo fa, si può essere soddisfatti. Se non lo fa bisogna modificarlo!

    Gli obiettivi di un progetto educativo devono esprimere molto bene i risultati "realistici" e "concreti" che si intendono raggiungere, quindi non ciò che deve fare l'educatore, ma ciò che deve fare l'educando.

    Parlare di realismo e di concretezza significa avere nella mente l'immagine di un bambino/ragazzo/giovane che oggi, nel corso dell'attività scout dimostra di avere già raggiunto l'obiettivo in questione.

    Le mete devono essere "realisticamente" conquistabili e di questo qualcuno ce ne deve dare testimonianza.

    Provando a rispondere alla domanda «che cosa vogliamo ottenere» esprimiamo già le modalità per accertare il successo del nostro intervento: esprimiamo i criteri di verifica, la verifica della nostra azione educativa sarà rilevabile attraverso 'l'osservazione' dei ragazzi mentre fanno qualcosa.

    L'obiettivo educativo che descrive un comportamento, un'azione (cose che si possono fare o modi di essere) è rilevabile attraverso l'osservazione e quindi è verificabile.

    Gli obiettivi educativi esprimono i cambiamenti desiderati, i risultati attesi.- dicono in modo esplicito ciò che il ragazzo dovrà essere (saper porsi in relazione positiva con se stesso, con gli altri ragazzi e con gli adulti e saper fare (conoscenze e competenze)

    Per essere sicuri di aver formulato un obiettivo educativo e non una generica finalità educativa bisogna provare a rispondere alla domanda: "come farò a riconoscerlo quando lo vedrò, il cambiamento?»

    L'obiettivo è una meta concreta alla quale si vuoi far giungere l'educando, per questo deve essere espresso con chiarezza, usando parole che non possono avere molte interpretazioni. Naturalmente durante il cammino di maturazione non andranno considerati in contrasto con i "risultati" i tentativi, le intenzioni, gli atteggiamenti, i metodi, anzi andranno considerati come positive testimonianze di avvicinamento alla meta.

    III. La realizzazione del progetto passa attraverso le peculiarità dello scautismo proprie di ciascuna branca.

    Per ogni fascia di età la crescita della persona avviene secondo un naturale percorso che partendo dalla scoperta giunge alla competenza e alla responsabilità.

    Per ogni branca fare attività con il metodo scout significa proporre con creatività esperienze sui quattro punti di B.P. (formazione del carattere, salute e forza fisica, abilità manuale, servizio del prossimo).

    In questo consiste la Progressione Personale unitaria: personale perché condizione essenziale di appartenenza al gruppo è l'accoglimento personale dell'esperienza rappresentata dalla proposta scout, unitaria perché punto di riferimento dell'intero percorso è la Partenza che si caratterizza come momento di scelta a compimento dell'iter educativo proposto dall'Associazione.

    E proprio perché parliamo di Progressione Personale crediamo che l'azione educativa non significherà mai intendere la crescita della persona come un progressivo adattamento della stessa ad un modello ideale di riferimento.

    Il modello di riferimento deve esistere, ma deve "reagire" con la libertà del soggetto stesso che è chiamato a divenire sempre più persona. Il fine del progetto è, infatti, quel «proprio meglio» che ognuno può conquistare. E' l'attuazione di sè che si realizza nella proficua combinazione tra educazione ed autoeducazione, tra la proposta altrui e la scelta propria, tra l'autorità sociale della tradizione e la libertà personale.

    Parlare di verificabilità degli obiettivi e, quindi, del progetto non significherà immagine di utilizzare un'"unità di misura" valida per tutti. La complessità dell'educazione, infatti, non si può ridurre a formule ed è quindi naturale che ciascuno venga valutato secondo una misura propria.

    L'educazione va ben oltre il "successo" visibile e i "risultati" osservabili; redigere un progetto per obiettivi servirà innanzitutto agli educatori per migliorare in competenza ed intenzionalità. E' molto importante la costante preparazione e formazione degli educatori, in campo educativo non si improvvisa mai e soprattutto non si improvvisano le persone capaci di educare. A questo proposito mi sembra pertinente ricordare che il Progetto del Capo si radica su questa convinzione, cioé sulla stretta corrispondenza esistente tra la proposta diretta ai ragazzi e l'impegno a non considerare mai concluso il cammino personale.

    La non consapevolezza o la non convinzione della "necessità" del rigore progettuale ci rende schiavi del contingente, dell'emergenza, di una concezione occasionale dell'educazione. Ci lega alla catena degli istanti e ci fa schiavi dell'utile immediato.

    Gli obiettivi, quindi, sono utili nel fornire una solida base:


    SUL "PROGETTARE" UNA "RIFLESSIONE SAPIENZIALE"

    Il tenore di questo mio contributo al vostro convegno sul 'Progettare' è indicato come quello di una "riflessione sapienziale". L'espressione insinua in modo discreto che circa 'il progettare' non si dà solo un approccio scientifico e tecnico ma anche un avvicinamento esperienziale. Sapienza, infatti, indica una "conoscenza del tutto pratica delle leggi della vita e del mondo basata sull'esperienza". Si badi bene, una conoscenza - dunque un esercizio critico dell'intelligenza - e non una pura narrazione di fatti e insieme una conoscenza basata sull'esperienza, cioè un saper interpretare le cose della vita concretamente esperimentate. E ancora, una conoscenza basata sull'esperienza che non si presenta come un sapere che intende restare nell'orizzonte del pratico, ma un sapere orientato a "migliorare l'agire". In questa luce le mie riflessioni lungi dall'essere una teoria sistematica sono pensieri, frutto della mia esperienza..., pensieri contestabili..., pensieri rifiutabili. Una brinata sul masso di granito del lavoro di questo vostro convegno. Viene il sole e se ne va! L'oggetto della "riflessione sapienziale" è lo scautismo tra vita, attività e progetti. Evidentemente il titolo è un pò altisonante e un pò generico così da lasciarmi un certo spazio. Altisonante, il tanto che basta per poter figurare in un convegno; generico, quel tanto che basta per non costringere troppo chi deve tentare di dire qualcosa sul tema. Tuttavia una cosa il titolo mette in chiaro: progetto non è il nome sintetico dell'esperienza scout o un sinonimo di scautismo, quanto piuttosto il progettare è una dimensione dello scautismo stesso. Certo una dimensione essenziale ma tuttavia non coestensiva di tutta esperienza scout. La nostra "riflessione sapienziale" accoglie la tesi e cerca di dire qualcosa sui rapporti tra il progettare, le attività scout e la vita nella sua interezza.

    1.  Nelle attività scout progettare è dare ritmo

    Fin dalle origini è esplicitamente presente nello scautismo l'idea che le attività proposte ai ragazzi per essere efficaci devono essere condotte con una certa scansione di tempi, con una logica, con un certo ritmo. Basta pensare ad una tipica giornata di un campo esploratori suggerita da B.-P. Essa si presenta estremamente povera di attività e di contenuti ed esposta al rischio di essere considerata una proposta educativa estremamente superficiale; eppure quelle semplici "cose" disposte nell'arco di una giornata in un certo ritmo sapientemente costruito (dopo lunga esperienza) sortiscono l'effetto di aprire a dei ragazzi squarci di senso circa il vivere con onore in questo mondo e alla fine disvelano un senso compiuto dell'esistenza.

    In termini di linguaggio trovo più affascinante esprimere la segreta scansione delle attività scout in termini di "ritmo" da imprimere alle attività stesse, piuttosto che la parola "progetto"."Dare ritmo" evoca il carattere "danzante", "armonico", affascinante e seducente che il complesso delle attività scout deve avere. Progettare pone in primo piano l'applicazione melodica necessaria per mettere appunto una scansione logica delle attività e per verificarne l'esecuzione.

    2.  Pensiero e progetto

    Pensare e progettare non sono la stessa cosa. Il pensare dice lo sforzo della mente di comprendere i significati dell'esistenza. Progettare dice lo sforzo di mettere in una successione logica plausibile - almeno intuitivamente - delle azioni in vista del cambiamento di una situazione. Questa distinzione va tenuta ben salda, sia per evitare confusioni paralizzanti, sia per istituire un rapporto costruttivo fra i due termini. Basta ritornare con memoria a tutte quelle volte in cui "l'ultima pensata" ha avuto la pretesa di diventare scansione logica di azioni e ricordarsi di quando l'urgenza del progettare ha prodotto azioni vuote di pensieri forti.

    Il pensiero comprendente - che non è una faccenda da "pensatori" o da intellettuali - si sforza e insieme gode a comprendere il senso del vivere con onore in questo mondo. Questo sforzo/godimento è di ogni uomo "sotto il sole" e appartiene a ciascuno proprio perché a ciascuno è dato di vivere. A ciascuno è dato di incontrare nascita e morte, gioia e dolore, amore e odio, giustizia e oppressione... Il campo del pensiero comprendente è di sua natura esposto al rischio che si realizzi una comprensione errata dell'esistenza. Sotto questo profilo l'impegno personale del comprendere trova alcuni luoghi, diversamente vincolanti, a cui riferirsi:

  • I Maestri che con il loro insegnamento hanno segnato il progredire dell'umanità
  • L'Evangelo e la tradizione ecclesiale
  • La cultura associativa
  • A questo riguardo bisognerebbe sbarazzarsi dell'idea piccola piccola che ciò che non riguarda l'organizzazione della prossima attività sia astratto (è forse astratto farsi delle idee sull'amore, la politica, la fede...); e riguadagnare la distinzione fra preparazione prossima e preparazione remota. Il pensiero progettuale è tutto concentrato ad individuare una scansione logica in cui porre delle azioni in ordine ad un cambiamento (cioè realizzare qualcosa che prima non c'era). A questo riguardo bisogna tenere ben fermo che ciò che va posto in una scansione logica sono delle azioni, cioè delle persone concrete che agiscono. Persone con i loro sentimenti, i loro stati psicologici, i loro tempi di assimilazione, le loro voglie, le loro relazioni, la loro storia.

    Qui solo una rigorosa comprensione del metodo scout ed una esperienza di capo prolungata mette l'educatore scout nella condizione di divenire abile nel dare il ritmo giusto a questo gruppo di ragazzi, in questo contesto.

    Una parola meritano i progetti tematici o culturali. Il "tema" individuato come centro di un progetto è sempre un tema da "accentuare in un frangente". In questo senso non dovrebbe nè fagocitare a sè ogni altro tema; nè dar luogo ad una serie goffa e artificiosa di "sottopunti".

    In area educativa l'articolazione del tema e la sua scansione logica in attività, deve essere pensata in ordine alla comprensione esistenziale del ragazzo. In campo educazionale il progetto tematico è orientato all'elaborazione della cultura associativa.

    3.  Azione e progettazione

    Progettare, cioè costruire una ritmata scansione logica di azioni, se traduce in concreto nel disporre ritmicamente delle attività. Il reperimento delle attività, che il progettare dispone logicamente, é un momento dell'arte del capo scout che precede il progettare ed ha una obiettiva autonomia. B.P. su questo punto é chiaro: è la vita degli indiani, degli esploratori, degli uomini dei boschi il luogo a cui l'educatore scout deve rivolgersi per trovare quelle attività capaci di affascinare i ragazzi. Ed ai ragazzi piaceranno perché "cose dei grandi". Osservare, scovare, strizzare le esperienze degli uomini per tirarvi fuori le attività scout, ecco il modo per reperire le attività a cui il progettare darà ritmo e logica. Un progetto si fa con le attività che si conoscono e che si sono reperite con certosina pazienza osservando e strizzando la vita degli uomini. E questa é una abilità che un capo esperto deve avere e deve trasmettere ai giovani capi. Se abbiamo poche attività trasformeremo tutte le nostre attività in carta crespa.

    4.  Progetto e promessa

    Nel rapporto fra promessa e progetto viene svelata l'ambiguità di chi attribuisce al progetto la forza di mobilitare un'esistenza in una direzione. Nessuna sequenza logica di mete e/o tappe, obiettivi e strumenti, seppur rigorosi e condivisa é in grado di muovere una vita. Ci vuole qualcosa di diverso, di pre-progettato, di pre-logico, in grado di mobilitarci nell'esistenza. Nell'immagine dell'infanzia si rivela che cosa é decisivo a muovere l'esistenza verso il suo futuro: la vita si presenta al bambino come una promessa di Rene. La vita é una promessa di bene; ed a partire da questo carattere promettente dell'esistenza si apre lo spazio per il progettare come il dispiegarsi logico-ritmico di quella promessa la quale dà senso ad ogni successo e sostiene nel fallimento. L'enfasi sulla dimensione progettuale ha quasi totalmente oscurato il più radicale aspetto di promessa dell'esistenza.

    Progetto di coppia; ma la liturgia nuziale dice: "Io prometto" Progetto di Dio; ma il termine di progetto, tradotto più precisamente con "disegno" ricorre 10 volte nel Nuovo Testamento, mentre il termine promessa 62 volte (la questione necessiterebbe di una trattazione più ampia). Venendo a noi la relazione educativa assume implicitamente la forma della promessa. Nel tempo in cui la vita si mostra al ragazzo esposta al rischio di deludere le promesse iniziali, l'adulto-educatore (dopo l'adulto-geniere) dispiega la propria esistenza di fronte al minore mostrando che le promesse di Bene annunciate, si realizzano "Io mi impegno (cioè ti prometto) a mostrarti che la mia esistenza nella quale si va realizzando fra infinite purificazioni il bene annunciato nel venire in questo mondo, è la tua disposizione perché fu ne possa attingere liberamente tutte le volte che ti assale il sospetto che la vita sia una promessa mancata. E' in questo spazio (lo spazio della promessa-alleanza) che si colloca il progettare (forma metodica e ritmica) attraverso il quale mostrare, passo per passo, punto per punto, in ogni aspetto, il carattere buono e bello del vivere.

    I progetti possono passare di mano in mano, di capo in capo, ma quella promessa-alleanza che li sosteneva e che li faceva sussistere nella sostanza della relazione educativa non è passabile ad altri. Certi abbandoni o cambiamenti di unità da parte dei capi non sono salvati dalla continuità di progetto ma consegnano quest'ultimo alla pratica inutilità.

    In senso più generale ed analogico, vale nel rapporto tra capi-scout, il movimento scout nel suo complesso, la società e la Chiesa. Lo scautismo si impegna/promette che attraverso il suo metodo i ragazzi e le ragazze diventino buoni cittadini e buoni cristiani.

    L'orientamento socio-politico e l'impegno ecclesiale articolatosi in innumerevoli progetti non è deformazione di alcuni, ma cerca di articolare una "promessa" politico-ecclesiale dello scautismo. Non di meno all'interno dell'associazione la reciproca promessa è che qui tutti cercano di fare scautismo con spirito creativo, ma con rigorosa fedeltà alle origini e all'associazione.

    5.  Progetti e fallimenti

    Non intendiamo quindi riferirci all'insuccesso a cui sono esposti i progetti mal pensati, senza logica, privi di ritmo, scanditi da attività di "carta crespa". L'inadeguatezza di tali progetti va immediatamente rilevata e con risolutezza vanno archiviati evitando patetici accanimenti e il conseguente logoramento di rapporti tra le persone protagoniste della vicenda. Vogliamo riferirei invece a progetti logici e ben ritmati per l'insuccesso dei quali non è possibile rifarsi all'inettitudine dei protagonisti m non in misura limitata. A questo riguardo l'insuccesso ci istruisce almeno in 3 punti:

    1. Nelle "cose" e nella storia assieme ad un anelito verso il futuro vi è una forte resistenza al procedere verso di esso
    2. L'esperienza della vita consente solo raramente di conoscere la forza reale degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un progetto. Normalmente lo scontro è sempre più duro di quanto potessimo pensare
    3. La morte che come conclusione dell'esistenza tronca ogni progetto e la possibilità di farne di nuovi
    Le vie escogitate per non "subire" questo fallimento sono 4:
    1. Non fare nessun progetto; sicché il finire a cui è esposta ogni vita non viene acutizzato dal fallire connesso con il lasciare a metà un progetto
    2. Travestire il fallimento del progetto come i cambiamenti in itinere. E' fuor di dubbio che un certo livello di ritaratura a progetto avviato appartenga come elemento irrinunciabile all'arte del progettare; ciò che voglio contestare è che con ogni cambiamento è legittimo in itinere. Vi è una soglia al di sopra della quale, sia a livello di tempi che di contenuti, si deve parlare certamente di fallimento
    3. Fuggire quel fallimento che è la morte attribuendo ad altri "l'andare avanti" nei progetti iniziati, soddisfa l'esigenza della continuità iscritta nel progettare, moltiplica, nel ricordo, gli sforzi dei restanti... ma nella sostanza lascia chi muore nello scandalo di progetto interrotto
    4. Attribuire a Dio il portare a compimento il progetto interrotto in un "disegno" più grande. L'idea è affascinante; ma quel disegno più grande deve essere compreso non come un super-progetto che compia tutti i progetti interrotti, ma come quel disegno di salvezza che si realizza nella fede in Gesù Cristo

    Mi sembra di poter dire che il progettare implica al suo interno il coraggio di esporsi al fallimento o più precisamente di acutizzare il dramma del finire a cui è esposta ogni vita umana. Restare un poco su questo dramma prima di cercarne e trovarne una via d'uscita è doloroso, ma salutare per il raggiungimento della maturità umana.

    6.   Coscienza e progetti

    La scansione logica delle azioni/attività ha propri tempi i quali incrociano i tempi della coscienza. L'esperienza mi fa dire che i tempi di esecuzione di un progetto e la formazione della coscienza hanno forme e tempi radicalmente diversi. Solo accidentalmente coincidono.

    I tempi della formazione della coscienza sono determinati dalla crescita fisica-psichica-intellettuale-spirituale e dalla storia personale. I tempi dei programmi sono segnati dagli anni, dalle uscite, dai convegni ... e presuppongono un implacabile procedere.

    L'importante, mi sembra, non è cercare acrobatiche convergenze, quanto prendere atto della legittimità e insuperabili diversità delle due aree. In particolare la verifica dei progetti deve restare ben ancorata alle azioni e alla plausibilità logico-ritmica delle attività, evitando intrusioni nell'area della coscienza per valutare la quale valgono altri indicatori (i cambiamenti vitali) e ha altre sedi (amicizia, direzione spirituale, confessione ...).

    7.   Fascino e progetto

    L'idea di "gettare lo sguardo più lontano", così cara allo spirito scout, contiene certamente un appello alla volontà, ma insieme da anche una tensione irrinunciabile della proposta e, più in generale, della vita. Nell'area biologica della gioventù (intesa in senso lato) questa tensione è addirittura una "propulsione fisica".

    Sotto questo aspetto, cioè sotto l'aspetto di una tensione audace verso il "più lontano", nulla è più arido e pesante per i ragazzi e per noi che il progettare. I progetti, anche i migliori, non affascinano, ma hanno la forza di stanare dai nascondigli dell'interiorità i desideri e i sogni. I sogni, che neppure noi certe volte sappiamo di avere, sono stanati nella nostra interiorità dagli uomini e dalle donne che incontriamo e da noi come uomini e donne di fronte ai nostri ragazzi. Il carattere affascinante della meta/sogno mostrato dalle persone trascinerà con sè i progetti così che sarà bello scoprire che assieme alla meta è affascinante anche l'arrivarci.

    8.  I nostri progetti e i progetti degli altri

    Un ultimo breve pensiero. Già nel confronto delle semplici idee si realizza tra le persone una lotta di potere. Quando le idee rivestono la plausibilità di una articolazione logica lo scontro diventa durissimo e senza esclusione di colpi e coinvolge sia gli strumenti che i contenuti. Le vie risolutive praticate sono generalmente 4:
    1. Le consonanze minime: si trova un accordo su alcuni punti precisi che consentano, ampliando lo scenario di garantire la coesistenza di più progetti (questi 3 punti saranno applicati da ciascuno nel proprio progetto di unità)
    2. Progettare percorsi che sono delle "summe" che consentano a tutti di "starei dentro" con le loro "micro-progettualità (progetto pace: pace e fede, pace e politica, pace e servizio ...)
    3. Dire: " in fondo questi progetti portano tutti dalla stessa parte" dando per scontato che quella "parte" sia la "stessa" e che ugualmente vi si arrivi da quei percorsi
    4. Creare consonanze vaghe: in fondo siamo tutti scout cattolici, cittadini, uomini; l'unità del progetto è data dallo stile-valori comuni di chi lo realizza

    Queste strade mi sembra che sblocchino molte situazioni, ma siano in sè ed alla lunga un poco deboli. Un poco di confusione è tolta distinzione educativo-educazionale. Resta il fatto che un buon progetto esige un alto livello di coerenza interna.

    INDICE

    pag. 1 Presentazione


    pag. 2


    Il Progetto Educativo  (Anna Braghini)


    pag. 28


    II Progetto di Zona  (Fabio Barbieri)


    pag. 33


    Perché progettare?  (Tina Italia)


    pag. 41


    Educare con un progetto  (Anna Braghini)


    pag. 49


    Sul "Progettare" una "riflessione sapienziale"  (Davide Brasca)