Il Mistero e l'Assurdo

Meditazioni per la Quaresima

di Basil Hume

Prologo - La Liturgia della Parola

UN MISTERO DA COGLIERE

Recuperare il senso del mistero
L'angoscia di una madre
Perché, perché, perché?
Dio parla chiaro attraverso il dolore
Il ruolo della croce
Il Cristo crocifisso
Per una società migliore
Pensieri del figlio di un medico
I segreti del mare

LA PACE INTERIORE

Una pace che fiorisce tra le spine
La ricerca di un senso
La vita spirituale
Tranquillità
Crescere in santità
Fame d'amore
Siamo dei feriti
La Madonna ferita
Il tunnel buio e silenzioso
Affrontare ciò che non si conosce
Oltre la morte

UN MISTERO DA CELEBRARE DA NATALE A PASQUA

Il mistero dell'Incarnazione
Una meditazione natalizia: "Il Visitatore"
L'esperienza del Tabor
Le tentazioni di nostro Signore
La Settimana Santa
Giovedì Santo
Venerdì Santo
Le ultime sette parole
Sabato Santo: vigilia della Pasqua
La Domenica di Pasqua
Il messaggio della Pasqua
Epilogo . La Liturgia Eucaristica



Prologo : La liturgia della Parola

La Messa è costituita da due parti, la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, esse sono strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro.
(Istruzione Generale del Messale Romano, n. 7)

Gli prestai ascolto giacché mi stava parlando di Dio. C'era nella sua voce una certa eccitazione come se si fosse soffermato su alcuni attributi di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Parlò della bellezza di Dio, della sua amabilità e poi anche della sua potenza con cui crea e modella tutto ciò che esiste. La mia mente si sforzò di seguirlo siccome egli stava cercando di condurmi a contemplare un'altra realtà che questo mondo riflette, ma in modo inadeguato. Aveva conosciuto l'amabilità di Dio in un modo che mi sfuggiva, ma la sua maniera di parlare mi riscaldò il cuore e invitò la mia mente a mettersi in ricerca, quasi a esplorare, cercando di spiccare il volo sopra e oltre ciò che ero in grado di vedere, udire e sentire. Mentre scrivo scorgo davanti a me un gabbiano che vola sempre più in alto accelerando sempre di più il suo volo, oltre il mio sguardo, in un altro mondo in cui io non posso andare. Un giorno, mi disse, potrai vederlo così come egli è, pura bellezza, perfetta amabilità, come pure onnipotente. Devo prostrarmi e adorare Dio; lodarlo per quella grandezza che so bene che egli incarna; ringraziarlo per tutto ciò che ho e sono; chiedergli perdono per tutte le volte che ho offeso lui e anche gli altri; impetrare da lui una risposta per tutti i bisogni che ho.

Non siamo altro che creature in umile adorazione del Creatore, di lui che ci ha fatto e per il quale siamo fatti. Ma a questo punto mi venne in mente una domanda. Perché, mi chiesi, dobbiamo soffrire così tanto e perché il dolore deve far parte della nostra umanità? Che cosa è successo? Come possiamo spiegarcelo. Mi disse che aveva scandagliato gli scritti di grandi studiosi, ascoltato le loro spiegazioni, ma non aveva trovato nessuna risposta a questa domanda, a cui nessuno ha ancora risposto.

Perché dobbiamo fare esperienza del dolore, soffrire e morire? Nessuno può rispondere? Non c'è niente altro da dire? Poi un giorno mi soffermai, improvvisamente, a guardare appesa al muro l'immagine di un uomo con le mani stese inchiodate al legno, come pure i suoi piedi. Stava morendo, era in agonia. Ero passato vicino a questo crocifisso migliaia di volte, talora gli avevo dato anche un'occhiata, ma non lo avevo visto, non propriamente. Quel giorno invece mi parlò, naturalmente non con delle parole, ma la sua stessa presenza fu per me un messaggio, una sorta di segreto che deve essere condiviso. C'era semplicemente una storia che doveva essere raccontata, una storia che riguardava gente portata in schiavitù e a cui era stato imposto di lavorare e di soffrire, fino a quando non fu liberata dalla sua servitù.

Un giorno poi sarebbe venuto un Salvatore, non per liberarli da invasori stranieri, non per ristabilire un regno potente. Infatti c'erano mali ben più grandi di una schiavitù in terra straniera. C'era il male del peccato e della separazione da Dio. Il Salvatore sarebbe morto per loro, prendendo su di sé il male da cui erano appesantiti. Li avrebbe liberati sopportando il dolore e la morte per dare loro la vita e aprire loro le porte di un mondo nuovo, dove si fa esperienza del vero amore. La gente, ormai liberata, deve ora ricordare che cosa Dio ha fatto per loro. La memoria di ciò, ricordata e celebrata, in un certo modo rende presente ora ciò che, nel passato, è stato fatto per i loro antenati. La storia è stata raccontata da alcuni scrittori.

Attualmente la gente si trova insieme ogni settimana ad ascoltare la Parola di Dio, attraverso i testi degli antichi storiografi, di uomini santi chiamati profeti e dai poeti. Le persone vengono per essere istruite, per ricordare, per imparare come il passato continua a vivere nel presente.

Vengono soprattutto per imparare qualcosa di più sul Salvatore, Dio-fatto-uomo, su ciò che disse e fece. Ogni Domenica, infatti, il Vangelo deve essere proclamato come pure deve essere letta la comprensione che di questo Vangelo ebbe san Paolo. Molte domande rimangono senza risposta. Come possiamo comprendere le vie di Dio, o scoprire la ragione del male e il perché il Figlio di Dio doveva morire per salvarci? Per scandagliare questo mistero avremmo bisogno di essere come Dio o, addirittura, essere Dio stesso. Ma ciò non è possibile. Il mistero della sofferenza rimane aperto, come una realtà su cui si può riflettere, ma che nessuno può comprendere. Il Cristo ci ha lasciato un esempio da seguire, come pure delle parole che devono avere un'eco nei nostri cuori: «Se vuoi essere mio discepolo prendi la tua croce e seguimi». Non c'è scampo da questo comando di Gesù. E san Paolo ci dice che dobbiamo completare nelle nostre vite ciò che manca ai patimenti di Cristo (Colossesi 1,24). Parole veramente strane. La croce va caricata sulle nostre spalle di volta in volta, per taluni di più per altri di meno. La Parola di Dio così ci istruirà e ci renderà capaci di approfondire il mistero. Ci preparerà a diventare una sola cosa con lui nel suo sacrificio, e questa è la via per vivere con Dio e nella vera gioia.

LA RICERCA DI UN SENSO

Penso che ci sia in ciascuno di noi una lotta inconfessata tra l'agnostico che potremmo facilmente diventare e il credente che vorremmo così tanto essere. Al potenziale credente ripugna il fatto di poter giungere alla conclusione che la vita è senza senso e che sono inevitabili alla fine la frustrazione e la delusione. L'agnostico celato in noi è invece intimorito dal fatto di essere ingannato da argomentazioni non totalmente convincenti.
Questo è il motivo per cui mi piace l'idea che il cristiano sia un "pellegrino" in cammino attraverso la vita, un pellegrino che non è ancora arrivato a casa e che va cercando, invece, una felicità che in qualche modo sembra sfuggirgli nel momento presente. Mi piace anche l'idea di essere alla ricerca di qualcosa. Alla ricerca di che? Non è necessariamente evidente che l'oggetto della ricerca sia Dio stesso. Prima di tutto sembra essere invece la ricerca di un senso come pure la ricerca della felicità. La mente umana ha la tendenza a voler conoscere il "Che cosa? Perché? E come?", e la mente non avrà pace fino a quando non ci saranno più domande da porsi. Sembra che la mente possa trovare riposo solo quando è in possesso di tutta la verità. Ed è lo stesso con il cuore, questo simbolo del desiderio che è l'altra forza assieme alla mente , che ci fa da guida nell'acquisire e nel possedere.
È dal cuore che siamo spinti nella nostra infaticabile ricerca di questo o di quello; per i sensi si tratta della ricerca del piacere, ma per la parte più nobile che sta dentro di noi, quando il bene che cerchiamo è una persona, è amore.

Che cos'è la vita?

Nostro Signore ha detto: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Giovanni 17,3).
Quanti tra voi ricordano il catechismo, si rammenteranno della domanda: «Perché Dio ci ha creati?» e della risposta: «Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questo mondo e per godere con lui eternamente in cielo». Per me, questo è quanto emerge da una semplice filosofia di vita, fondata sul bisogno e sulla ricerca della felicità. L'ammirazione e la contemplazione della bellezza, trovare e contemplare il bene che è l'amore, non sono che un'indicazione della verità di Dio. Mi sembra che sia questo il fine della vita corrispondente inoltre a quanto affermavano san Giovanni e il catechismo, che cioè alla fine c'è Dio.

Che cosa significa per te la parola "Dio"?

Alcuni lungo i secoli hanno affermato: «Non si può conoscere Dio, non se ne può avere un'immagine, non lo si può descrivere; tutte le idee che si possono avere su di lui sono sbagliate, perciò tutte le parole che usiamo per parlare di lui sono errate. Si può solo avere un senso del nulla, e Dio si trova appunto in questo nulla».
Perciò molti credono che non si possa conoscere né dire nulla di valido su Dio. Ci sono poi altri che dicono: «Oh certo si può, ma è sempre qualcosa di imperfetto e di inadeguato». Certuni sostengono che nell'opera di un artista si può scorgere qualcosa dello stesso artista, e, a mio parere, questa è l'analogia migliore. Se si guarda infatti un'opera d'arte si può sempre scorgervi qualcosa che è proprio dell'artista. Alcuni sono capaci di riconoscere i compositori: questo pezzo è di Mozart, ad esempio, o di Beethoven. Si lascia infatti qualcosa di sé in ciò che si crea, e questo è un semplice pensiero su Dio: nella sua creazione Dio ha lasciato una parte di se stesso. Ed è attraverso tale parte, che noi possiamo mettere a punto la nostra immagine su Dio stesso.

FAME D'AMORE

Tra i ricordi risalenti al mio soggiorno tra gli affamati di Etiopia, ci sono due cose che mi hanno particolarmente colpito. La prima è questa: quando la gente non ha nulla, quando si è perso tutto, allora i bisogni fondamentali si fanno chiari e semplici. Questa gente alla fine ha fame di cibo e di amore.
Queste persone chiedono insistentemente che siano soddisfatti i loro bisogni materiali, ma al contempo chiedono di essere amati e valorizzati. La seconda impressione profonda che ho avuto è stata che uomini e donne di fede e provenienze molto diverse hanno cercato con grande impegno di andare incontro a questi due bisogni delle persone che soffrono la fame. Mi ricordo in particolare di una suora, di circa ottantacinque anni, che aveva trascorso molti anni in Cina, e che era stata anche imprigionata per la sua fede, che si rivolse a me dicendo: «Venga e veda i miei amici speciali».

Vivevano in un bosco, e questi amici speciali non erano soltanto affamati, ma erano anche handicappati. Qualcuno potrebbe dire: «Sono forse gli unici che si salveranno? Dovranno essere trattati con priorità?». In ogni modo per questa suora costoro erano molto speciali. Essa non aveva cibo da dare loro, ma dava amore a ciascuno di loro. Incapace a nutrire i loro corpi, questa suora si impegnava a nutrire il loro spirito. Non avevo pensato di dover andare così lontano per vedere una persona vivere il Vangelo in un modo così chiaro.
Vedendo questa suora ho trovato più facile, e più giusto, identificarmi non tanto con lei, ma con queste persone affamate, con gli handicappati e i ciechi. Voglio dire con ciò che essi hanno espresso la fame per un senso e un fine della vita, la fame per le ragioni ultime, la fame per l'amore assoluto, che viene riconosciuto semplicemente come fame d'amore. Ho visto in queste persone la fame che c'è in ogni cuore umano: amare fino in fondo ed essere amati fino in fondo. Amare continuamente e totalmente. È proprio in Etiopia che mi sono reso conto che parole come "continuamente" e "totalmente" non riguardano tanto questo mondo, ma quello che verrà. Nella nostra esperienza umana vi troviamo degli accenni, ma la realtà è per il tempo futuro.

La povertà nelle nostre vite materiali

Ho avuto modo di fissare lo sguardo negli occhi di un uomo molto vecchio che stava morendo. Egli non aveva cibo né casa. Non aveva nulla, ma aveva tutto perché era pieno di Dio e perciò era in pace. Quest'uomo era sereno.
Quest'uomo era ricco. Avevo pensato spesso a lui, mentre mi trovavo tra gli affamati in Etiopia, e mi ero chiesto cosa sarebbe successo se i nostri ruoli fossero stati invertiti. Come ci avrebbe visto nel nostro mondo occidentale? Non ci avrebbe trovati forse altrettanto affamati? Chi si sarebbe impietosito di più, io o lui? Forse la risposta si trova nelle parole che quest'uomo avrebbe potuto rivolgere a noi del mondo occidentale: Non vi concedete tempo. Siete così indaffarati, da non avere spazio per essere, poiché siete così tanto preoccupati di fare delle cose. Certo siete ricchi di cose materiali, ma lo siete altrettanto di cose spirituali? Avete scoperto che cos'è il vero amore? Avete qualche idea di dove poterlo trovare?

Ho idea che potrebbe dirmi: «Sei tu il cieco, sei tu l'handicappato», e mi piace pensare di poter allora sentire una voce che mi dice: «Che vuoi che io ti faccia?». Si rammenti in proposito la scena meravigliosa in cui nostro Signore chiede proprio questo all'uomo cieco che sta sul ciglio della strada e che risponde: «Signore, fa' che io veda» (Marco 10,51). E questa scena è diventata per me molto più realistica da quando sono passato attraverso la straordinaria esperienza dell'Etiopia.
Per vedere cosa? Desidererei vedere Gesù Cristo, mia via, mia verità e mia vita. Direi a nostro Signore: «Sì, certo ho letto molto, discusso molto, arzigogolato coi miei amici, e ancora voglio conoscere come Dio è veramente. Devo conoscere perché devo trovare il vero significato e il vero fine della vita». Penso che la risposta potrebbe essere: «Chi vede me vede il Padre».

Epilogo
LA LITURGIA EUCARISTICA

Il nostro Salvatore nell'Ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e della sua Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima diventa ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura. Sacrosanctum Concilium, 47)
L'ho visto quando è arrivato al momento più solenne della Messa. Si inchinò verso l'altare, leggermente, elevò l'Ostia e disse qualcosa, molto piano, ma chiaramente. Disse: «Questo è il mio Corpo offerto per voi». Dopo ciò elevò l'Ostia fin sopra la sua testa perché tutti potessero vederla, si inginocchiò per venerare ciò che da queste parole era stato trasformato. Noi tutti ci inchinammo, unanimi con lui nel suo silenzio adorante. Così pure con il calice pieno di vino, ma le parole furono diverse, naturalmente. «Questo è il mio Sangue, la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Di nuovo ci inchinammo. Allora disse nuovamente qualcosa, quasi gridandolo forte, con una nota di trionfo nella sua voce: «Mistero della fede».

Ciò che avevamo udito e visto erano parole belle e azioni fatte con una certa eleganza. Ma qualcos'altro dentro di noi ci portava oltre ciò che avevamo ascoltato e visto fare dal sacerdote. Egli aveva cambiato questo pane nel Corpo di Cristo e questo vino nel suo Sangue. Noi avevamo visto solo del pane e del vino. I nostri sensi non ci potevano portare oltre. Un altro dono, una sorta di sesto senso, ci venne in aiuto: la fede. Benché vedessimo solo del pane e del vino, sapevamo ormai che non erano più questo, ma che ora erano il suo Corpo e il suo Sangue, il Corpo di Cristo, il Sangue di Cristo. Abbiamo scoperto questo mistero della nostra fede: la realtà che sta al di là della nostra comprensione, significata e realizzata dalle parole che il sacerdote ha detto. Prima di invitarci a proclamare la nostra fede nella vera presenza del Corpo di Cristo e del suo Sangue, egli ha detto: «Fate questo in memoria di me». Ricordare, questo era un concetto basilare per il popolo ebraico e lo è ugualmente per dei cristiani. Ma prima di tutto, si noti come il sacerdote abbia detto "mio Corpo" e "mio Sangue".

Ha parlato così perché Cristo stesso sta parlando e agendo attraverso il sacerdote; Cristo Sommo Sacerdote stava usando questo fragile strumento umano per portare a termine la sua nobile opera. La nostra fede ha così continuato a portarci laddove la nostra ragione da sola non potrebbe andare. Dove e quanto lontano? Gli anni scompaiono. Era là con i suoi dodici discepoli più vicini e stavano celebrando la Pasqua. Questa era la notte in cui ogni ebreo doveva rivivere l'esperienza della liberazione dalla schiavitù e dall'oppressione.
«Perché questo ringraziamento?» un bambino avrebbe dovuto chiedere. È nostro dovere, è stato risposto al bambino, ricordare la nostra partenza dall'Egitto, la nostra traversata del Mar Rosso e il nostro vagare nel deserto. Si ricorda non solo per fare memoria, ma per rendere questa memoria vera per il presente. Gli Ebrei celebravano la cena pasquale per rendere presente in qualche modo la salvezza operata da Dio per il suo popolo eletto. A un certo punto Gesù ha preso il pane e il vino e in tal modo ha dato alla cena pasquale un nuovo significato e un senso diverso. «Fate questo in memoria di me», ha detto. Che cosa abbiamo da ricordare? Abbiamo visto il sacerdote all'altare, il pane che ora è stato trasformato nel Corpo di Cristo e il vino nel suo Sangue. Dobbiamo ricordare quanto Gesù sia stato triste, come il tradimento di Giuda abbia messo in piedi una catena di avvenimenti che avrebbero portato alla sua morte sul Calvario.

Era questa l'ora per la quale egli era venuto, un grande mistero. La Messa rende quest' "Ora", la morte e risurrezione di Cristo, presente in ogni tempo. Dio che si è fatto uomo è morto su una croce perché noi potessimo essere liberati dal peccato e dalle sue conseguenze, appunto la morte. Non possiamo che starcene in silenzio ai piedi della croce con Maria, sua madre, Giovanni, il discepolo amato, e alcune donne che lo avevano seguito. Ho detto "silenziosamente", perché l'enormità di ciò che è avvenuto sul Calvario è troppo per la nostra comprensione limitata. La fede può portarci così lontano, ma non ci può accompagnare lungo tutto il cammino. Ma non avremmo, ciascuno di noi, se fossimo stati là mentre lui moriva, colto dalle parole da lui pronunciate un po' di consolazione per noi stessi?

«Padre, perdona loro...»
«Oggi sarai con me nel paradiso...»
«Madre, ecco tuo figlio...»


Ma non abbiamo potuto essere là, da ciò ecco il dono di un'altra celebrazione pasquale possibile in ogni tempo: la Messa. È il Calvario a nostra portata, il suo Corpo e il suo Sangue separatamente deposti sull'altare. Gesù dice ancora . chiedendoci di unirci a lui . «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Il suo sacrificio sul Calvario è reso presente per noi attraverso i segni da lui dati durante l'Ultima Cena. Tutte le volte in cui noi celebriamo la Messa, facciamo ciò in sua memoria. La nostra offerta di noi stessi, il nostro sacrificio viene unito al suo, e da questo riceve tutto il suo valore.
Allora, in modo particolare, egli ci dà il suo Corpo da mangiare e il suo Sangue da bere. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo... Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Giovanni 6,51.53).
Ma non sarebbe così se egli non fosse risorto da morte. Il mistero della fede include la risurrezione. Se Cristo non fosse risorto, la nostra fede sarebbe infatti vana. Una volta Pietro fu in grado di camminare sulle acque, ma fino a quando la sua fede in Gesù non cominciò a vacillare. Allora cominciò invece ad affondare. È lo stesso per noi quando i dubbi vengono accolti nella nostra mente scettica e così cominciamo noi pure ad affondare. No, non ha potuto certo risorgere da morte. Queste cose non si possono fare. No, non ha potuto certo chiederei di mangiare il suo Corpo e di bere il suo Sangue. Ed ecco si raggiunge una parola condita di una certa tristezza: «Volete andarvene anche voi?». E sta a noi rispondere: «Da chi andremo, Signore? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio?» (Giovanni 6, 67-69).

Sarò ancora qui la prossima Domenica (forse più spesso ancora) solo per essere in grado, Domenica dopo Domenica, di poter cominciare ad approfondire il mistero e prendervi parte. Un giorno mi sono chiesto se ci sarà una liturgia in cielo. La domanda sembrava un po' stupida per quanto se ne può sapere, poi mi sono invece ricordato dî come l'Apocalisse descriva l'adorazione di Dio da parte di tutti gli angeli e i santi.

Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra». Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all'Agnello, lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione. (Apocalisse 5, 6-14)

C'è molto materiale per meditare e pregare. E noi ci uniamo a questo grande atto di adorazione ogni volta che celebriamo la Messa: l'«Agnello ritto in mezzo al trono come immolato» sta sull'altare, nel pane e nel vino consacrati.
Guarda al sacerdote quando assolve il suo compito, specialmente quando trasforma il pane e il vino attraverso il potere che gli è stato conferito da Cristo. Con gli occhi della fede guarda Cristo che celebra la Pasqua, morendo in croce, uscendo dalla tomba ed entrando nel Santo dei Santi per celebrare la liturgia eterna del Cielo. La sua morte, risurrezione e ascensione sono richiamati ogni volta che «facciamo questo in memoria di lui».