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in "La terra vista dalla luna" n.15 maggio 1996
Donzelli Editore via Mentana, 2b 00185 Roma tel.06-4467993
suole di vento : GLI SCOUT

VECCHIO CONTENITORE, NUOVI CONTENUTI ?

di Federica Bellicanta
Resistente al crollo delle ideologie, alla crisi delle associazioni giovanili cattoliche classiche, alla scomparsa pressoche' totale delle organizzazioni di partito, l'Agesci - Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani - con i suoi quasi duecentomila iscritti, In Italia non ha pari per diffusione capillare e radicamento nel territorio. Ma definire l'Agesci una semplice associazione forse non le rende sufficiente giustizia. Oggi che gruppi e gruppuscoli proliferano, nascono e muoiono, raccolgono adesioni poco o niente impegnative, oggi che si moltiplicano le tessere e gli attestati di appartenenza - a una bocciofila o a una lega per la riscoperta della cucina medievale - accostare lo scoutismo alla miriade di associazioni sportive o ricreative, ai circoli filosofici o scacchistici e' del tutto riduttivo e fuorviante. Ci troviamo infatti di fronte a un organismo gerarchico, costruito su una struttura piramidale di quadri democraticamente eletti dai delegati espressi dalla base,ispirato ad una visione del mondo ben precisa, seppure eclettica e abbastanza flessibile. E forse e' proprio per questo eclettismo duttile, ancorato a poche ma semplici regole, a parole d'ordine evocative e di immediata comprensione, ad aver garantito la durata e la diffusione mondiale dello scoutismo, fondato nel 1908 dall'ufficiale dell'esercito coloniale inglese Robert Baden-Powell. Non solo un'associazione, dunque, ma anche un metodo educativo, una macchina ideata apposta per formare i giovani dagli otto ai ventuno anni. E ancora: un vincolo che lega e affratella gli associati, grazie alla condivisione di un linguaggio, di valori e atteggiamenti comuni; e anche una visione del mondo teorizzata, approfondita e condivisa tramite i campi formativi per giovani e per "capi" adulti, secondo la filosofia dell'educazione e dell'autoeducazione permanente.

ORGANIZZAZIONE E GERARCHIA

Il _Gruppo_ è l'unita' di base, "cellula" locale della grande rete nazionale - anzi, mondiale - dello scoutismo. Ogni Gruppo ha la sua _Comunità Capi_ che raccoglie i responsabili delle tre "branche" nelle quali è suddivisa tutta l'associazione: il _Branco_ dei lupetti e delle coccinelle (8-11 anni), il _Reparto_ degli esploratori e delle guide (12-16 anni) e infine il _Clan_ dei rover e delle scolte (16-21 anni). Il gruppo fa riferimento alla _Zona_, un organismo con relativi capi, assemblee, comitati e consigli direttivi, che coordina i gruppi territorialmente vicini. Le Zone a loro volta sono dei sottoinsiemi delle _Regioni_; tutte le Regioni, infine, dipendono da un direttivo centrale nazionale. La struttura organizzativa dell'Agesci potrebbe evocare, per articolazione e gerarchia, quella dei partiti d'altri tempi, senonché in questo caso l'organigramma piramidale è ribaltato rispetto alle esigenze dirigistiche e verticistiche degli apparati politici del secondo dopoguerra. Nello scoutismo il Gruppo, poi, non nasce grazie all'opera di proselitismo dei capi, ma per divisione in due parti di un Gruppo troppo grande o per disseminazione (un Capo si trasferisce e fonda un Gruppo in un territorio che ne era sprovvisto) o comunque secondo un processo del tutto spontaneo. Inoltre il collante ideale che lega i Gruppi deriva più da un fare comune che da una teoria esclusiva, chiusa e rigida, con annessa identificazione di un supposto nemico o comunque un antagonista da "convertire".

PRAGMATISMO E SENSO DI APPARTENENZA

Che un'associazione fondata all'inizio del secolo da un'ufficiale dell'esercito di sua maesta' britannica sia tuttora vitale e anzi addirittura moderna puo' sembrare quasi un miracolo dell'archeologia. In un secolo in cui ogni scuola di pensiero, comprese le teorie più rivoluzionarie, è invecchiata irrimediabilmente prima ancora dei suoi alfieri, è per lo meno strana la resistenza di un metodo educativo che univa nazionalismo e vita all'aria aperta, abilita' manuale e inquadramento paramilitare, obbedienza ai "capi" e valorizzazione della responsabilita' individuale. In realtà lo scoutismo si è evoluto negli anni liberandosi dei suoi caratteri più antiquati o addirittura militar-coloniali proprio grazie al prevalere della pratica, del fare, dell'educazione sperimentata a diretto contatto con i giovani, sulla teoria pedagogica che, fin dal libro di Baden-Powell _Scoutismo per ragazzi_ (1908), altro non era che il risultato di un'esperienza concreta, vissuta in prima persona da un uomo che aveva una particolare inclinazione per l'educazione dei giovani. Tuttavia con questo porre troppo l'accento sullo svecchiamento - innegabile - del metodo e delle pratiche pedagogiche dello scoutismo si corre il rischio di trascurare il fascino di un linguaggio e di un sistema di valori che, proprio perche' insoliti e antiquati, assumono per i giovani la forza della novità e della scelta controcorrente.
Ciò che subito, di primo acchito, identifica uno scout - che sia un lupetto di otto anni o un vecchio e navigato capo - e' il senso di appartenenza. Del resto, fin dal primo ingresso nell'associazione, funziona una serie di riti e di pratiche simboliche che sottolineano il proprio significato del _diventare_ scout. Chi aderisce a un gruppo, dopo un periodo di "rodaggio", si impegna ufficialmente e solennemente recitando una _promessa_: "Con l'aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese, per aiutare il mio prossimo in ogni circostanza e per osservare la legge scout". Gia' in queste frasi che, insieme alla consegna del fazzolettone, segnano l'investitura dello scout, sono presenti alcune parole considerate oggi impronunciabili e improponibili soprattutto negli ambienti giovanili: "onore", "dovere", "Dio", "Paese" inteso come nazione (ma sostituito in alcuni gruppi con "umanità"), "legge". Quest'ultima è costituita da un decalogo che, in linea con l'austera solennità della "promessa", più che prescrivere questo o quel comportamento pone l'accento sulla capacita' di rispondere a un modello umano di altruismo, operosità e umiltà nel riconoscere l'autorità dell'educatore. Ecco il testo che ogni scout dovrebbe conoscere a memoria:

La guida e lo scout:
1) pongono il loro onore nel meritare fiducia;
2) sono leali;
3) si rendono utili e aiutano gli altri;
4) sono amici di tutti e fratelli di ogni altra guida e scout;
5) sono cortesi;
6) amano e rispettano la natura;
7) sanno obbedire;
8) sorridono e cantano anche nelle difficolta';
9) sono laboriosi ed economi;
10) sono puri di parole, pensieri ed azioni.

Saper ubbidire a, saper meritare la fiducia di, essere leali: la Legge pone il ragazzo in una condizione di rispetto nei confronti dell'autorevolezza dei "capi", punti di riferimento e talvolta vere figure carismatiche capaci di esercitare sul gruppo di cui sono alla guida una notevole influenza. Accanto ai capi ci sono i "fratelli" scout, con i quali si condividono tempo libero, amicizie, discorsi, valori, scelte e, non ultimi, il saluto e l'uniforme che rendono lo scout immediatamente identificabile. Sembrerebbe il ritratto di un gruppo tenuto insieme dal conformismo e dall'autoritarismo. Nei casi peggiori, quelli in cui il metodi di Baden-Powell mostra tutti i suoi limiti, forse può far accadere qualcosa di simile, ma di solito avviene piuttosto un processo inverso: tutto il corredo simbolico che accompagna lo scout dall'inizio alla fine del percorso educativo crea, proprio grazie a un forte senso di appartenenza, quegli anticorpi necessari per compiere scelte autonome dalla famiglia, dagli amici di scuola o di discoteca. Il gruppo scout diventa un'autorità alternativa, un luogo dove si propongono valori e stili di vita diversi, attraverso un linguaggio sconosciuto al di fuori e un modo di trascorrere il tempo libero considerato dai piu' addirittura ridicolo.

Chi entra in un gruppo scout intraprende - seppur inconsapevolmente - un percorso educativo che dovrebbe farlo approdare non ad un arrivo ma dalla "partenza", quel solenne momento in cui il ragazzo lascia l'associazione per "guidare da solo la propria canoa", ovvero, traducendo il linguaggio avventuroso dello scoutismo, per assumersi la piena responsabilita' delle proprie scelte e diventare un membro attivo e impegnato della società. Ma prima di giungere a questo momento solenne, lo scout deve superare una serie di tappe e compiere alcuni riti di passaggio che sanciscono anche formalmente la sua progressione personale. Gioco, simulazione di ambienti fantastici o esotici (bosco, giungla), vita all'aria aperta, socializzazione e poi apprendimento di abilita' manuali, abitudine al servizio e alla riflessione, vita comunitaria: tutto questo costituisce il contenitore e il metodo utilizzati dallo scoutismo fin dalla sua nascita. Di fuochi di bivacco, veglie alle stelle o escursioni nei boschi parlava già Baden-Powell quasi un secolo fa e, da questo punto di vista, ben poco è cambiato da allora. Sono i contenuti ad essere almeno in parte mutati, determinando così anche una ridefinizione dell'identità dell'associazione. L'abilità manuale, la fede naturista e il vago filantropismo di un tempo sono passati in secondo piano o comunque sono diventati mezzi, piuttosto che obiettivi, per promuovere una cultura capace di districarsi tra la complessità e le contraddizioni del mondo moderno. Nelle riviste edite dall'associazione si parla sempre piu' spesso di societa' multirazziale, di cultura relativistica e soggettivistica alla quale non si può soggiacere, di conflitti sociali, di periferie, di giustizia e di legalità. La bussola che serviva ad orientarsi nei boschi oggi sembra essere stata sostituita da una bussola che è sempre più culturale e politica e che segna una direzione ben precisa per quanto riguarda le scelte in campo sociale. È stato dunque superato lo spirito della buona azione compiuta senza consapevolezza dei suoi effetti e senza alcuna intelligenza dei soggetti che ne sono i destinatari. Ora il "servizio", uno dei cardini del metodo scout, implica sempre più un'analisi e una presa di posizione nei confronti dei problemi - sociali, ecologici, politici - con i quali si entra in contatto.

Non bisogna dimenticare che l'Agesci è un'associazione cattolica, che dunque riconosce il magistero della chiesa.Tuttavia la sua immagine non è immediatamente confessionale, come avviene per altre associazioni cattoliche: insomma non si diventa scout perché si è credenti, anche se a volte può accadere di diventare credenti grazie allo scoutismo. È stato o stesso cardinal Martini a riconoscere che i ragazzi si avvicinano allo scoutismo da posizioni di fede molto differenti - e spesso da una posizione di indifferenza alla fede - per cui l'Agesci si trova ad operare in un territorio di frontiera dove nulla, nel campo religioso, puo' essere dato per scontato. Forse e' proprio per questo che lo scoutismo ha un rapporto che è dialettico e non di subordinazione con le gerarchie ecclesiastiche, in linea del resto con la propria storia delle origini: nel 1928 Pio XI non si preoccupò di difendere presso le autorità fasciste la sopravvivenza dell'Asci (Associazione scout cattolici italiani), a cui veniva anteposta la prosperità della ben più fedele e allineata Azione cattolica.

COMPETIZIONE/CONDIVISIONE

Il motto dei lupetti e' "Del nostro meglio", quello degli esploratori "Sii preparato"; il saluto dei rover e delle scolte è "Buona strada". Le "parole maestre" dello scoutismo esortano alla competenza, al miglioramento di se', al progresso verso una meta ideale, obiettivi che vengono suggeriti anche dai giochi e dalle attività a carattere competitivo di cui è fatta la vita associativa. Che si tratti di buone azioni o di orientamento, di volontariato o di abilità manuali, la gara e la sfida hanno un ruolo considerevole nel metodo educativo dello scoutismo, il quale provvede a riconoscere anche i progressi e gli sforzi compiuti con la consegna di distintivi o con l'affidamento di incarichi di responsabilità. Quella scout è un'etica dai tratti quasi calvinisti che coniuga essenzialità e laboriosità, utilitarismo e spiritualità, e premia la buona volonta, la dedizione, l'impegno, requisiti fondamentali per essere "degni di fiducia". Ma la competizione e la tensione verso traguardi che si allontanano man mano che si procede per raggiungerli si accompagnano ad una concezione e a una pratica di vita comunitarie perché, secondo lo scoutismo, la vera autonomia è solo quella che si realizza a contatto con gli altri. Non per nulla il motto dei rover e delle scolte è "Servire", che significa mettersi a disposizione e far diventare un'abitudine quotidiana l'attitudine a prestare attenzione alle esigenze di chi ci sta intorno. I canti, i giochi, le escursioni e i falò contribuiscono anch'essi a instaurare nel gruppo sentimenti di cameratismo e a consolidare i legami di amicizia tra i singoli. Il Vangelo, Baden-Powell, don Milani, Bertold Brecht, Saint-Exupery e altri disparati autori, citatissimi nelle riunioni e nelle riviste associative, sono i numi tutelari di questa filosofia in bilico, attenta a non sbilanciarsi, a non peccare né di individualismo né di incoraggiamento degli istinti gregari.

I LIMITI

La macchina educativa dello scoutismo non lascia nulla al caso: ci sono campi formativi per tutti e su tutto, dal teatro all'interculturalità, dalla topografia all'informatica. Non solo per i ragazzi, perché, per diventare capi, bisogna sottoporsi a un lungo tirocinio in cui si deve dimostrare, nella pratica, di essere a conoscenza del metodo scout e di avere tutte le carte in regola per occuparsi dell'educazione dei giovani.
Chi entra a far parte dell'Associazione, anche se in un primo momento non se ne rende conto, fa il proprio ingresso in una sorta di società parallela con regole, riti, scadenze, impegni che potenzialmente possono richiedere la piena disponibilità di tempo ed energie. Se per i bambini lo scoutismo e' soprattutto un gioco, un modo avventuroso e piacevole di trascorrere il tempo libero, man mano che passa il tempo la faccenda tende a farsi sempre più seria e impegnativa. Riunioni, uscite (ovvero escursioni), il "servizio" settimanale per i ragazzi più grandi e poi gli incontri di zona e regionali: per un rover o per una scolta (16-21 anni), e tanto più per un capo, essere scout significa avere tutti i fine settimana e parecchie serate occupate, il che comporta spesso la limitazione delle proprie esperienze e conoscenze all'ambito puramente associativo. Le cose si complicano, talvolta, quando nel gruppo lo scoutismo è inteso come un assoluto: non solo un metodo educativo, non solo un impegno a favore della formazione dei giovani ma addirittura una religione dogmatica da accettare in blocco o da abiurare una volta per tutte. La stessa importanza assegnata al carisma del capo, al sentirsi e al fare comunità accentuano il carattere tragico di un eventuale distacco dall'associazione, tanto che l'ex scout rischia di essere considerato un reprobo, uno che "non ce l'ha fatta" per difetto di dedizione e di disponibilità.
C'è poi un altro aspetto da considerare. Il principio gerarchico opera a tutti i livelli dell'organizzazione: le sestiglie dei lupetti come pure le squadriglie degli esploratori e delle guide hanno i loro "capi" e vice capi; a loro volta tutte e tre le branche hanno i loro responsabili ufficialmente investiti, che formano, appunto, la Comunita' capi. Per lo scoutismo il capo non è colui che ha il potere, ma colui che si è assunto una responsabilità, che è diventato un punto di riferimento grazie alla sua competenza e alla sua saggezza. L'impostazione gerarchica, verticale, è poi compensata dalle controspinte orizzontali costituite dalla vivacità della "base", interpellata spesso per discutere e anche per votare le decisioni più importanti. Talvolta pero' questo importantissimo equilibrio tra gerarchia e valorizzazione delle singole individualità si rompe e il capo finisce per concepire la propria autorevolezza come un'autoritarismo che si rivela pernicioso nei rapporti con i ragazzi. Accade anche che un rapporto troppo stretto e diretto con il capo "troppo" carismatico finisca con lo sviluppare le relazioni di tipo verticale a detrimento di quelle orizzontali, con i coetanei. Ne consegue che quell'educazione all'autonomia, alla consapevolezza e responsabilità delle scelte, alla libertà dai conformismi sociali a cui mira lo scoutismo produce al contrario sentimenti di dipendenza dall'associazione, che diventa l'unica depositaria autorizzata dei valori e dei modelli di comportamento.