INTRODUZIONE.
26 Febbraio 1794
Alfine ho deciso di raccontare questa storia per certi versi incredibile. E
so che molti tra voi che state leggendo queste pagine penseranno che sia frutto
delle fantasie di un povero vecchio; che posso dirvi? Probabilmente niente per
convincervi. Questo manoscritto è per coloro che non dubitano della
veridicità delle parole di un uomo solo per l'aspetto cadente e triste
che il tempo dono con tanta magnanimità a tutti quanti nessuno escluso.
Vi racconterò di fatti che mi sono accaduti quando ancora giovane pensavo
che il mondo fosse ancora ai miei piedi. Avvenimenti che ancora oggi mi trovano
meravigliato, eppure proprio io ne sono stato protagonista. Tutto
cominciò in un umida serata di un nebbioso inverno londinese. Avevo da
poco finito una bottiglia di pessimo vino tedesco, era l'unico che mi potessi
permettere, la mia stanza mi appariva più bella di quanto in
realtà non fosse, la luce della candela ondeggiava creando sulla parete
di fronte lo scrittoio ora terribili mostri ora splendide figure fantastiche. Io
lì seduto con il foglio bianco davanti. Erano mesi che non riuscivo
più a scrivere neanche un rigo, non che fossi mai stato un autore
prolifico, anzi non avevo mai scritto niente di decente, ma essere uno scrittore
era l'unica cosa che mi interessava fare. Il problema e che qualunque cosa
scrivessi mi appariva vuota e senza significato. Come faceva Shakespeare a
scrivere versi così belli? A quanto lo odiavo, e.... l'ammiravo. E
così tutte le sere, una montagna di carta giaceva sul pavimento. Lo
dicevano i miei genitori: "Vai a lavorare, abbiamo un negozio di piatti di
ceramica, lavora con noi, metti la testa a posto e trovati una bella
moglie." Ci mancava giusto una moglie.... Poi d'un tratto un lampo, un
boato, che mi risuonò nelle orecchie per un tempo che mi
parve infinito.
Una figura umana adesso mi apparve innanzi, rimasi
lì impietrito: " Ora basta, sono sei mesi che devo sentire i
tuoi lamenti.", non potevo credere alle mie orecchie, la figura misteriosa
parlava, veramente avevo l'impressione che ce l'avesse con me, gli chiesi:
"Di grazia, messere, potrei sapere il suo nome e come ha fatto ad entrare
nella mia dimora?", è sempre meglio essere gentili con le figure
misteriose che
appaiono accompagnate da tuoni e lampi.
"Dimora? Questo sembra più un porcile, manca solo il
fango." "Signore, lei mi offende. Forse è un po' in disordine,
ma non aspettavo visite.", certe volte sono proprio spiritoso.. "Mi
piaci, forse si può combinare ancora qualcosa con te.". Certo che un mi piaci detto da una specie di fantasma non è
proprio un complimento che entusiasma, però mi sembrava che il
ghiaccio si fosse sciolto e così rinnovai la richiesta di essere messo a
conoscenza dell'identità del mio interlocutore. Sembrò quasi
meravigliato di una simile richiesta e rispose: "Come tu ogni sera mi
chiami, mi invochi, e una volta che esaudisco le tue richieste neanche mi
riconosci? Vediamo se con un indovinello ci arrivi da solo, allora: Io sono un
ebreo. Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, un ebreo, organi, membra, sensi,
affetti, passioni? Non è nutrito con lo stesso cibo, ferito dalle stesse
armi, assoggettato alle stesse malattie, curato dagli stessi rimedi, riscaldato
e raffreddato dallo stesso inverno e dalla stessa estate, come lo è un
cristiano?..." "Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il
solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non
dovremo vendicarci?. Non è possibile, non posso credere che tu
sia...Perché qui da me..." "Vedo che finalmente hai capito, e
noto con piacere che hai studiato bene le mie opere." "Le sconosco
tutte a memoria, non faccio altro che leggerle e rileggerle. Io non
scriverò mai niente di simile." "E qui che sbagli, tutti
possono scrivere cose meravigliose, basta crederci e scrivere con il
cuore." "Ma tutto ciò che scrivo mi appare vuoto?"
"Tu vuoi essere uno scrittore?" "Non voglio essere
nient'altro." "Allora seguimi. Faremo un lungo viaggio. Ti
capiterà di vivere situazioni inspiegabili, ma tu seguimi. Al ritorno
capirai." E così feci, in un attimo mi trovai catapultato in un
mondo
fantastico. Io dietro a William Shakespeare.
1° CAPITOLO
Avevo appena iniziato un sentiero dentro un bosco,
faceva caldo e volevo riposarmi un po'. Willy, era rimasto indietro e non mi
vedeva. Lo chiamavo Willy e la cosa lo faceva imbestialire. Mentre mi riposavo
all'ombra di una grande quercia sentii due voci, mi alzai di scatto e mi nascosi
dietro il grande albero, non si sa mai. Erano due topini che stavano giocando a
rugby. Uno dei due dette un forte calcio al pallone e lo spedì proprio ai
miei piedi, non credo che avesse fatto punto. I due mi raggiunsero prima che
riuscissi a nascondere, mi guardarono e dissero insieme:
"Ciao."
"...Salve" Attimo di silenzio imbarazzato.
"Vuoi giocare con noi?"
Non avevo mai incontrato un topo che mi
chiedesse di giocare a
rugby con lui.
"Grazie, ma
sto aspettando il mio maestro e non credo che sarebbe
felice di vedermi giocare a pallone con voi."
"Maestro? Che cosa ti insegna?"
"Mi insegna come diventare uno scrittore."
"Allora se tu vuoi fare lo
scrittore ti piacciono le storie? Se vuoi ti possiamo raccontare noi una storia.
Però se poi scrivi un
libro su di noi la foto in copertina la scegliamo noi."
"Ma veramente io...Va bene vi sto a
sentire, e tranquilli per la foto tanto a me non pubblicano mai niente dato che
non riesco a
scrivere niente di buono."
"Allora
ti racconterò la storia di come siamo diventati grandi
amici io che sono Alessandro e lui che si chiama Pippo.
Un tempo io abitavo in una grande casa. Però lì mi trattavano
tutti molto male, ogni volta che mi vedevano iniziavano ad urlare: "Un
topo, un topo!!" e giù botte, i piatti che volavano, e le scope.
Tutti impegnati a cercare di accopparmi. Non è proprio un bel vivere. Io
non cercavo che poche briciole, ma ogni volta che mi vedevano, una rivoluzione,
e io con il cuore in gola che mi rifugiavo nella mia tana. Un giorno che ero
solo in casa udì dei rumori strani in camera della padroncina. Sembrava
uno squittio. Piano piano mi avvicinai. Passai attraverso una piccola apertura
nel battiscopa e cosa vidi? Un altro topo. Ma diverso. Al posto delle zampe
aveva due ruote e nella schiena una grossa chiave di ferro.
"Chi sei?" gli chiesi.
"Sono Pippo, il topo meccanico; il
giocattolo preferito di Gisella, la padroncina. Pensa, mi danno la carica per
farmi correre in tondo, poi mi fanno le coccole, e di notte dormo su un morbido
cuscino tra certe bambole...C'è anche un orsacchiotto ma di lui
non si cura nessuno. Tutti mi vogliono un gran bene!"
"A me nessuno vuole buone" gli dissi tristemente. Però ero
felice
di aver trovato un amico.
"Andiamo in cucina
a cercar briciole!", gli dissi. pieno di
entusiasmo.
"Oh io non posso. Io posso muovermi solamente quando mi danno la
carica. Ma non importa perché tutti mi amano."
Anch'io gli volevo bene e lo andavo a trovare tutte le volte che potevo.
Gli raccontavo le mie avventure con le scope, le trappole e i piatti volanti.
Pippo mi raccontava dell'orsacchiotto, del pinguino di pezza e soprattutto della
padroncina Gisella. Però
quando ero solo, pensavo a Pippo con invidia.
"Ah!" sospiravo "Vorrei essere anch'io un
topo meccanico ed essere coccolato ed amato." Un giorno Pippo mi
raccontò una strana
storia.
"Ho sentito
dire" mormorò misteriosamente, "che nel giardino, alla fine del
sentiero, vive una lucertola magica che può trasformarti
in qualunque animale tu voglia".
"Pensi che mi potrebbe
cambiare in un topo meccanico?" Quella sera non riuscii a dormire, la
mattina dopo mi recai di corsa a cercare la lucertola. Improvvisamente mi
apparve una grossa lucertola
variopinta.
"E' vero
che tu puoi trasformarmi in un topo meccanico?", chiesi
con filo di voce.
"Ritorna quando la luna è piena e portami un sassolino viola."
Per giorni e giorni cercai il sassolino. Invano.
Ne trovai di tutti i colori
ma viola niente. Un giorno stanco e affamato mi ricordai che da parecchi giorni
non andavo più a trovare il mio amico Pippo. Invece di trovarlo nella
stanza di Gisella lo trovai in dispensa dentro una scatola piena di vecchi
giocattoli e lì c'era Pippo.
"Cosa è successo?"
"Ieri era il compleanno di Gisella
e le hanno portato moltissimi regali, e così oggi molti di noi vecchi
giocattoli siamo stati
buttati qui dentro, domani ci getteranno via."
Ero in lacrime quando qualche cosa attirò la mia
attenzione. Il sassolino che tanto avevo cercato. Lo presi e andai di corsa in
fondo al giardino. Era una notte di luna piena e quando la
lucertola mi apparve:
"Allora la Luna piena c'è, il
sassolino me lo hai portato, cosa
vuoi diventare?"
"Io voglio essere..." E in quel momento pensai a Pippo.
"Vorrei che
Pippo diventasse un topo come me."
Ci fu un bagliore e la lucertola sparì insieme al sasso. Io corsi a
casa, entrai nella dispensa, la scatola era vuota, avevo fatto troppo tardi.
Sentì uno squittio. Mi girai e vidi la coda di un topo.
"Chi sei?"
"Ma come non mi riconosci? Sono io Pippo."
E da allora siamo inseparabili...
2° CAPITOLO
Certo che ero capitato proprio in uno strano posto.
E lui lì che mi seguiva, ogni tanto mi rivolgeva la parola, ma mai che
rispondesse a qualcuna delle mie domande, sempre: "Capirai.."
Capirò ma quando. Gli raccontai dei due topolini e lui niente come se
tutti i giorni si incontrassero due topolini che giocano a rugby in mezzo al
bosco. A dir la verità era parecchio tempo che non frequentavo più
un bosco, poi negli ultimi tempi non facevo che stare a casa. Però non
credo che siano cambiati in questi ultimi anni: un ammasso disordinato di alberi
e piante con molte sgradevoli complicazioni, topi che giocano e rugby mai. Ad un
tratto Willy si fermò e mi disse:
"Da qui,
procedi da solo ti raggiungerò alla fine di questa
radura"
Bel compagno di viaggio lui, e poi sempre questo tono serio,
che
tentasse di spaventarmi?
"Allora io vado..."
Poco dopo mi apparve una lepre.
"Buon giorno"
Adesso pure le lepri parlano, per gentilezza risposi al saluto.
"Buon giorno. Io mi chiamo Peter e tu chi sei?"
"Io sono una lepre".
A quel punto pensai
che anche questa lepre poteva raccontarmi qualcosa di interessante, forse in
questo strano mondo stavo
cambiando, a Londra non avrei mai salutato una lepre.
"Vuoi stare un po' con me? Possiamo fare un
tratto di strada
insieme."
"Mi spiace ma io non
posso stare con te, tu non mi hai
addomesticato".
Non mi aspettavo una simile risposta, e così incuriosito gli
chiesi ancora:
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami.."
"Creare dei legami?", una lepre molto colta mi era capitata.
"Certo," mi
rispose, "tu fino ad adesso non sei che un uomo qualunque, uguale ad altri
centomila uomini, chissà quanti ce ne
saranno che si chiamano Peter come te. E io non ho bisogno di te. E
neppure te di me. Io non
sono che una lepre uguale ad altre centomila lepri. Ma se tu mi
addomestichi, noi avremo bisogno l'uno
dell'altro. Tu sarai unico per me, e io sarò l'unica per te al
mondo."
La lepre continuava a spiegare: "La mia vita è
monotona. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata.
Riconoscerò il rumore dei tuoi passi. Gli altri passi mi faranno
nascondere nella mia tana, il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una
musica. E poi, guarda laggiù! Vedi i campi di grano. Ora essi non mi
dicono niente, e questo è triste. Ma tu sei biondo. Quando mi
addomesticherai, sarà meraviglioso. Il grano mi farà pensare a
te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La
lepre mi guardò e poi disse: "Per favore addomesticami."
"Ma io veramente non ho tempo. Sono qui in viaggio con il mio maestro, e
non so se posso fermarmi con te...", non feci in tempo a
finire..
"Se vuoi un amico addomesticami"
"Che bisogna fare?"
"Bisogna essere
molto pazienti. In principio tu ti sederai un pò lontano da me,
così nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non
dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai
sederti un pò più
vicino...Ogni giorno tu tornerai alla stessa ora, ad esempio tutti
i pomeriggi alle quattro, dalle tre
io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la
mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e
ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni
non si sa quando, io non
saprò mai a che ora prepararmi il cuore...Ci vogliono i riti."
"I riti?!?"
"Si i riti, cioè quello che fa un giorno diverso
dagli altri
giorni, un'ora diversa dalle altre ore."
"Ma quando dovrò andare via?"
"Io piangerò."
"E cosa ci hai guadagnato?"
"Il colore del grano."
3° CAPITOLO
Raccontai a Willy della lepre. Mi aspettavo una
reazione diversa, mi sembrava compiaciuto, sarebbe dovuto essere incredulo. La
cosa mi insospettii, chissà quanti altri strani incontri mi attendevano.
Ad un tratto sentimmo un rumore fortissimo, una sorta di tuono, ma continuo.
Poco dopo apparve un uomo che trascinava una strana macchina, vestito in modo
eccentrico, direi uno scienziato dal camice bianco che indossava. Ma non avevo
mai visto una simile cravatta: rossa con delle lucette intermittenti e una
scritta I
love Miami. Lo scienziato si avvicino e disse:
"Salve sono il Professor Lupus, chi siete voi di grazia?"
"Io mi chiamo Peter e accanto a me avrete sicuramente
riconosciuto...", non mi fece finire.
"Scusatemi ma io ho una certa fretta." e si allontanò velocemente.
Willy mi guardò e disse:
"Seguilo e dagli una mano, io ti aspetterò qui"
"Ma io voglio stare con te, ancora non mi hai insegnato nulla."
"Seguilo." Sempre loquace lui.
Lo seguii e lo raggiunsi poco dopo.
"Mi scusi Prof. Lupus, la vedo molto indaffarato, se
lei crede,
potrei esserle utile. Io..."
"Va
bene. Sto costruendo una macchina che permette di leggere i libri senza aprirli, così non si rovinano."
"E' un'idea
meravigliosa, non sa quante volte mi è capitato di perdere pagine di
libri che si erano rotti per il troppo uso. Posso
chiederle se questa è la prima macchina che inventa?"
"No di certo.
Non sono mica uno di quei inventori della Domenica che non fanno altro che
combinare guai. Io sono un serio professionista,
uno scienziato. Pensi che prima di questa avevo costruito una
macchina che correggeva gli
errori di pronuncia e di ortografia. Ma
questo è ormai passato."
"Io sono uno scrittore. Mi potrebbe essere utile, dov'è? Funzionava?"
"L'ho buttata."
"Come?"
"Ascolta:
Alcuni anni fa costruii questa
macchina e decisi di girare per il mondo per correggere tutti gli errori. Inizia
da una nazione che si chiama Italia. Cominciai da Milano, una città
fredda e nebbiosa. Arrivato andai a sedermi in un caffè, misi la macchina
in funzione e aspettai. Poco dopo arrivò il cameriere, gli chiesi un
tè, egli
milanese purosangue, mi domandò:
"Ci vuole il limone o una sprussatina di latte?"
Le due esse erano appena uscite al posto delle due zeta che la macchina indirizzò il suo tubo aspirante in faccia al cameriere.
"Ma cosa fa? A momenti mi portava via il naso quella roba lì."
Gli precisai che non era una roba ma una
macchina e mi scusai
perché ero ancora poco pratico dell'uso.
"E allora lo spenga invece di farlo funsionare."
Funsionare e Spaff! Di nuovo in azione.
"Ma allora mi vuole proprio ammassare!"
Sbang! Nuova sberla volante. A quel punto il cameriere incominciò ad urlare:
"Aiuto, aiuto c'è un passo che mi vuole ammassare."
La macchina non gliene perdonava una, Sbang, Splaff, non mi
rimaneva che spegnerla e fuggire di corsa prima che arrivasse la
polizia.
Mi diressi verso un'altra grande città: Bologna.
Lì vidi un albergo entrai, chiesi una stanza, e il portiere disse:
"La stanza 7, mi scusi ma mi deve lassiare un documento."
SQUASH! La macchina scattò.
"Ben, ma cosa le salta in mente?"
"Abbia pazienza, non l'ho fatto apposta. Lei però parla proprio in bolognese.."
"Pensava parlassi in pugliese?"
"No, non volevo, ma lei non pronuncia lasciare come deve essere pronunciato."
"Senta, signore, non stiamo a far ssene..."
SKROONK!
"Se lei non essie.."
SPROONK!
"Chiamo le guardie..."
Via di corsa
un'altra volta. Mi diressi verso quella che mi avevano indicato coma la
città più
grossa, e giunsi a Roma all'alba.
"Mi sa dire dove posso trovare una albergo?", chiesi ad un passante.
"Proprio davanti alla stazzione"
SQUOK!
"Aho, e ched'è un'attentato?"
"No ora le spiego.."
"No, no te la spiego io la situazzione..."
SQUEEK!
Il poverino fu spedito contro
una vetrata che si ruppe in mille pezzi, dal suo negozio uscii un panettiere:
"Chi sta a fa' sta rivoluzzione?"
SKROONK!
Anche lui colpito, accorsero i gendarmi e mi portarono via
mentre la macchina continuava a menare fendenti a destra e a manca." Il
Prof. Lupus rimase in silenzio. Mi chiedevo che fine aveva fatta questa
macchina. "La macchina? L'ho lasciata alla polizia che l'ha distrutta. Era
impazzita, non la fermava più nessuno, ogni minimo errore un colpo. I
poliziotti la presero a martellate. Del resto avevo capito che la macchina
esagerava: invece di correggere gli errori rischiava di ammazzare le persone. Se
si dovesse tagliar la testa a tutti quelli che sbagliano, si vedrebbero in giro
soltanto
colli!"
4° CAPITOLO
Normalmente durante il
cammino, quando non incontravamo qualcuno o meglio qualche cosa, che ci
invitasse a pranzo, cucinavo io per tutti. Mi sembrava irriguardoso chiedere al
maestro di preparare da mangiare. Non che mi piacesse cucinare, però
bisognava farlo. Ebbene, era arrivata l'ora di pranzo, ma non avevamo molto.
Pregai il maestro di rimanere lì ed io mi misi a cercare qualche cosa da
mangiare. Durante la mia ricerca incontrai uno scoiattolo.
"Salve mi chiamo Maximillian, e sono uno chef, avete bisogno dei
miei servizi?"
"Il mio nome è Peter. Potrei farle una domanda?"
"Certo, come ho detto sono qui ai suoi servizi."
"Ma un cuoco come lei non
dovrebbe vivere magari in un castello e
preparare favolosi pranzi per qualche nobile?"
"Quello era un modo troppo facile per
essere un grande cuoco. Io mi occupo di cucina popolare, tanto popolare che vado
in giro per il
mondo e mi offro di preparare un pranzo a chiunque incontri."
Avevo il sospetto che fosse un
truffatore, così come ce ne sono
molti in giro per il mondo.
"Ma io non ho niente da farle preparare, stavo appunto
cercando
qualcosa"
"Questa è proprio la
mia specialità: preparare degli ottimi
pranzi senza niente."
Era decisamente un truffatore.
"La ringrazio dell'offerta ma io e il mi maestro avevamo deciso di
digiunare per oggi. Sa sono uno scrittore e il digiuno aumenta
l'ispirazione."
"Guardi che non le
costerò nulla. E poi ho bisogno solo di un pò d'acqua, un
pentolone, del fuoco e l'ingrediente fondamentale: un
bottone."
"Un bottone e cosa ci vuole fare con un bottone."
"Allora accetta i miei servizi?"
"Va bene, ma solo un bottone."
Tornammo da Willy. Preparai il pentolone,
lo riempii di acqua e staccai un bottone dalla mia giacca. Ero molto scettico su
cosa Maximillian avrebbe preparato. Iniziò a lavorare, facevo finta di
niente ma lo osservavo con la coda dell'occhio. Ogni tanto Maximillian si
avvicinava al pentolone fumante e annusava, appena si allontanava lo facevo
anch'io: ma non sentivo alcun profumo.
Ad un tratto Maximillian disse:
"Nella ricetto originale ci vanno anche due funghi, ma
dato che non
le abbiamo ne faremo a meno"
Mi ricordai di averne visto due sotto un albero poco prima:
"Se la ricetta li richiede cercherò di trovarne due", e
poco dopo
glieli portai.
"Una volta, in Germania, ho
aggiunto dei pinoli, è venuta ottima.
Però dato che non ne abbiamo..."
"Se ti occorrono li troverò".
"Una volta in Francia ho vinto
un concorso con questa zuppa, però
vi avevo aggiunto due patate e due carote."
Volevo mangiare la zuppa del concorso.
"Te le troverò", e così feci. Due
patate , due carote e trovai anche dell'erba cipollina, e dell'aglio selvatico,
e del sedano. Maximillian buttò tutto nel pentolone. La zuppa era ormai
pronta. E
fatta con un solo bottone.
5° CAPITOLO
Ero un
pò stanco di fare strani incontri e speravo di fare un pò di
strada in compagnia del mio maestro senza dovermi fermare ancora una volta. Dopo
tutto era parecchio tempo che camminavamo insieme e non avevo ancora avuto il
tempo per parlare un pò con Willy. Gli avrei voluto chiedere dove aveva
trovato l'ispirazione per le sue opere, oppure come poter scrivere così
bene, oppure se preferiva l'inchiostro blu o quello nero.
Ma neanche questa volta potei farlo, infatti poco dopo mi disse:
"Tra
poco incontreremo due scimmie. Sono marito e moglie e da tanti anni vivono
insieme. Sono moto gentili ma fermano tutti i viandanti per raccontargli una
storia. Non essere scortese con loro e ascolta
quello che hanno da dire."
Così feci. Quando ci videro erano a
tavola. Subito ci fecero posto e noi sedemmo con loro. Erano davvero molto
gentili, ci offrirono un
pranzo che difficilmente si può dimenticare. Arrivati al caffè ci
alzammo da tavola e ci
sedemmo tutti e quattro all'ombra di un grande albero. Il Gaetano e sua moglie
Graziella erano proprio due
scimmie simpatiche, soprattutto Gaetano. Mentre sorseggiavamo un
ottimo caffè iniziò a raccontarci una storia.
"Vi voglio parlare di due
scimmie nostre conoscenti. Due scimmie altolocate, l'ingegner Corrado e sua
moglie. Erano sposati da tanti anni e vivevano su un bellissimo Baobab, lo
avevano arredato con tutti i comfort. Ebbene quel giorno erano nella cucina
consumando la loro solita colazione. Era un giorno speciale. Ventisei anni
prima si erano sposati pieni di attese, di sogni, di desideri. Il loro era stato
un buon matrimonio, senza scossoni, due figli che, oramai grandi vivevano da
soli, e non davano preoccupazioni. Si sedettero al tavolo, il tè fumante,
la marmellata, una rosetta: erano, per così dire, soddisfatti. Si
scambiarono gli auguri e in fondo si sentivano felici. Carla, ad un tratto, fece
una richiesta inattesa. Quasi scherzando
disse al marito se poteva essere lei, per una volta in 25 anni, a
prendere la parte superiore
della rosetta. Corrado rimase confuso. Lui aveva sempre mangiato la parte
superiore della rosetta per lasciare a lei quella inferiore che giudicava senza
dubbio quella migliore; per anni si era assoggettato a questo piccolo sacrificio
per amore. Capì che lei aveva fatto esattamente l'opposto: desiderando il
sopra lo aveva lasciato a lui, sempre per via dell'amore. Dunque Carla era una
perfetta sconosciuta; si era modellato su un'immagine che non corrispondeva alla
realtà. Il sotto della rosetta cui lui aveva rinunciato, diventò
rapidamente tutto ciò che avrebbe potuto essere e non era stato: i
viaggi, l'amore, la passione, la bella vita. L'ing. Corrado si sentì
enormemente triste, come chi ha percorsa una strada faticosa e poi si avvede che
conduce al punto di partenza; aveva inseguito un fantasma e nel farlo aveva
dimenticato di ascoltare Carla. Il suo posto di lavoro sicuro e monotono che
tanto gli pesava, ma che aveva accettato per la sicurezza di lei, forse era come
il sotto della rosetta. Il denaro accumulato per non farle mancare nulla e
permetterle ogni capriccio forse era come il sotto della rosetta: con sacrificio
le aveva dato una cosa che lei non voleva. Per amore si erano scambiati soltanto
infelicità; per timore di ferire l'altro non si erano mai incontrati.
Questi 25 anni precipitarono d'un tratto su Giuseppe che si sentì stanco,
sfinito, invecchiato; solo e perduto in mezzo ad un deserto. Non contavano
più i figli, la carriera, la nuova casa che stavano cercando al mare, gli
amici comuni: chi aveva voluto davvero tutte
queste cose? Forse nessuno.
6° CAPITOLO
L'ultimo incontro mi aveva molto colpito, pensavo
quanto è difficile conoscere gli altri e quante volte capita di stare
affianco ad una persona anche per tanto tempo senza conoscerla realmente. Mentre
facevo queste riflessioni notai uno strano sorriso in Willy, come se si stesse
compiacendo dei miei ragionamenti: che potesse leggermi nel pensiero? E' un
sospetto che mi ha accompagnato per tutto il viaggio, anzi ho l'impressione che
non fossi io a pensare, ma lui a comunicare, senza parlare ma comunque in modo
chiaro per me.
Facemmo un altro pezzo di strada, subito dietro una curva verso
destra sentimmo una voce:
"Attenzione a dove mettete i piedi. Sempre i soliti turisti che
camminano come se la strada fosse una proprietà privata."
Mi fermai di soprassalto e guardai intorno, non c'era
nessuno, o meglio non vedevo nessuno, stavamo per ricominciare la nostra
strada quando:
"Per tutti i gerundi!?! Allora siete ciechi!?!"
E finalmente vidi. Un grillo, direi un
po' nervoso, era proprio
davanti al mio piede.
"Mi scusi non l'avevo vista.."
"Lo credo bene a
meno che non sia vostra abitudine andare in giro a
schiacciar grilli."
"No di certo, volevo soltanto scusarmi con lei per il pericolo.."
"Basta con queste ciance. Sono
piuttosto indaffarato quindi se lei
e il suo amico mi lasciano la strada libera..."
"Lei è davvero un essere
scortese. E le vorrei far notare che questa persona che è al mio fianco e
il grande William Shakespeare.Forse è lei che dovrebbe lasciare il passo."
Quando il grillo sentii il nome del mio maestro fece un grosso inchino e:
"Sono onorato di
poterla conoscere, io ho letto tutte le sue meravigliose opere e, ma sicuramente
non le avrà lette, ho scritto molti libri per facilitare la lettura delle
sue opere ai miei
studenti."
Mi sentivo escluso dal discorso e così cercai di dire qualcosa:
"Lei è un professore? Dove insegna?"
"Insegnavo da Oxford, ma ho smesso."
"Ha smesso? E come mai?"
"E' una lunga storia. Ma vale la pena di raccontarla.
Ebbene
alcuni anni fa decisi di girare il mondo per portare la cultura la dove non
arrivava. Allora tutto cominciò nello scompartimento di un treno. Stavo
ascoltando la conversazione di due cani da pastore. Stavano
tornando a casa dopo tanti anni di lavoro fuori dal loro paese.
"Io ho andato prima in Belgio, ma lì era 7una vita troppo dura."
"Io ho andato in Germania."
Per un po' di tempo riuscii a sopportare tutti questi strafalcioni. Li
guardavo in silenzio. Ma mi sentivo ribollire. Poi il coperchio saltò, ed esclamai:
"Ho andato, ho andato! Ecco di nuovo
questo benedetto vizio di usare il verbo avere al posto del verbo essere. Ma non
vi hanno insegnato
a scuola che si disse: IO SONO ANDATO."
I due cani tacquero, pieni di rispetto per me che sembravo ai loro
occhi tanto perbene.
"Il verbo andare - continuai -
è un verbo intransitivo, e come tale
vuole l'ausiliare essere.
I due cani si guardarono, e sospirando uno dei due si fece coraggio e disse:
"Sarà come dice lei. Lei
deve sicuramente aver studiato molto. Io ho fatto la seconda elementare, ma
già allora dovevo guardare più alle pecore che ai libri. Il verbo
andare sarà quella cosa lì
come dice lei.."
"Intransitivo"
"Ecco, sarà un
verbo intransitivo, una cosa importantissima, non discuto. Ma a me sembra un
verbo triste, molto triste. Andare a
cercar lavoro in casa d'altri...lasciare la famiglia..."
Io a quel punto cominciai a balbettare.
"Certo...Veramente...Insomma,
però. Comunque si dice sono andato, non ho andato. Ci vuole il verbo
essere. IO SONO, TU SEI, EGLI
E'..."
"Eh -
disse il cane sorridendo con gentilezza, - io sono, noi siamo!...Dove siamo noi,
con tutto il verbo essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se
abbiamo andato in Germania e in Francia. Siamo sempre là, è
là che vorremmo restare, è là che vorremmo lavorare e
vivere."
E mi guardava. E io, in quel momento, avevo un gran voglia di
prendermi a pugni in testa. Pensavo quanto ero stato stupido. Andavo a cercare
gli errori nei verbi...Ma gli errori più grossi
sono nelle cose!..."
7° CAPITOLO
E' strano in tanti giorni di cammino
Willy mi aveva parlato pochissime volte. La maggior parte del tempo lo aveva
passato vicino a me in silenzio. Quando ero partito mi aspettavo delle lezioni
continue, invece niente, o meglio niente dal mio maestro. Non che nel viaggio
non avessi imparato niente, anzi, però mi aspettavo che Willy mi
insegnasse come scrivere meglio, dove trovare l'ispirazione giuste... e tante
altre cose che mi avrebbero migliorato come scrittore. Mi meravigliai molto,
quando, ormai alla fine del viaggio, mi
rivolse la parola e disse:
"Oggi ti voglio raccontare io una storia: E' la storia
di un giovane, egli cercava le risposte alle domande che si faceva ma non le
trovava. Un giorno arrivato in un villaggio sconosciuto, vide un negozio con una
strana insegna: Si vende di tutto. Entrò nel negozio e dietro al bancone
vi era un angelo.
"Che cosa vende in questo negozio?"
L'angelo rispose: "Tutto ciò che vuole!"
"Allora - disse il giovane - in questo caso vorrei la fine delle
guerre in tutte le parti del mondo, una buona volontà da parte di tutti
perché si dialoghi e non si lotti, l'attenzione ai più
piccoli, ai più deboli...."
L'angelo lo interruppe:
"Scusatemi, ma forse non mi avete capito bene. Noi non vendiamo dei
frutti, vendiamo solo dei semi!!"
Pronunciate queste parole Willy sparì. Io mi ritrovai nel mio
studio. Così finisce il mio racconto, così è andata la mia
storia. Anche se adesso che sono passati molti anni e il tempo sfuoca i miei
ricordi non riesco più a distinguere se fu un sogno o realtà. Di
certo fu meraviglioso e incredibile, e terribilmente reale e indimenticabile.
Più rileggo e più mi convinco e più mi convinco che tutto
fu
effetto del caso.
Fa freddo nel mio studio, e il
pollice mi duole. Lascio questa
scrittura, non so per chi...non so più intorno a che cosa.
Racconti a cura di
GIORGIO CARPOCA
1° GIORNO
PRESA DI COSCIENZA LIMITI E CAPACITA'
Tutti siamo importanti così come siamo, ognuno ha dentro di se grandi ricchezze
Matteo 5,13-16 ; Luca 6,43-45
2° GIORNO
DISPONIBILITA'' ALL'INCONTRO E INCONTRO
L'uomo che cammina da solo non ha nessuno a cui voltarsi, la mancanza di qualcosa ci spinge ad incontrare l'altro
Luca 18,18-27 ; Marco 10,42-45
3° GIORNO
SAPER COGLIERE IL BUONO NELL'ALTRO
Il 5% di buono, il dottore viene a guarire i malati
Marco 2,15-17
4° GIORNO
FIDUCIA NELL'ALTRO
Matteo 8,23-27 ; Luca 24,13-35
5° GIORNO
COMUNICAZIONE PARLARE LO STESSO LINGUAGGIO
Parlare per parabole
Matteo 13,31-32
6° GIORNO
IMPEGNO AD IMPARARE
Ascolto e silenzio
Salmo 119,33-40 (...Indicami Signore la via dei tuoi precetti...) ; Isaia 55,2-3
7° GIORNO
METTERE A FRUTTO
Saper sfruttare i propri talenti. Cristiano come missionario
Matteo 25,24-30 ; Matteo 28,16-20