BADEN POWELL:
DALLA RICONVERSIONE DELLA SOCIALIZZAZIONE MILITARE ALLA EDUCAZIONE ALLA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA

Antonino Drago
IPRI e Università di Napoli

1. Il maestro, il messaggio educativo e i tempi nuovi

Ogni movimento cerca di rappresentare fedelmente l'intero messaggio del suo fondatore, ma, se il fondatore è stato una grande personalità, non può riuscirci completamente. Volta a volta il movimento si deve attestare su alcuni contenuti particolari, rinnovandosi sotto la spinta di sollecitazioni interne o esterne. Perciò dentro il movimento non si deve essere fissisti nè tradizionalisti nè su quei contenuti che vengono valorizzati ad un certo tempo. Occorre piuttosto essere pronti a cogliere le novità storiche, quali occasioni per approfondire il messaggio del fondatore, che si credeva di conoscere bene e che invece va sempre riscoperto.

Per di più, dopo quasi cento anni dalla sua nascita, credo che il movimento debba riflettere oltre i riferimenti alla personalità di Baden Powell (B.P.) e alle citazioni dei suoi scritti, come se questi costituissero l'unica maniera di capire il suo lascito storico. Dopo il periodo di tre generazioni, il successo storico delle sue idee richiede un tipo di spiegazione che vada oltre la sua coerenza di vita e la sua capacità di esprimere compiutamente e ordinatamente le sue idee. Infatti il suo insegnamento fu anche una risposta, anche se per opposizione o riconversione, al suo ambiente e alla cultura del tempo; esso oggi deve essere ripensato all'interno delle nuove strutture sociali del nostro tempo. Quindi oggi occorre saper collocare B.P. nella cultura del suo tempo e della sua società, per capire gli aspetti del suo insegnamento che sono strutturali e di portata storica. Tanto più se si considera il suo movimento all'interno degli avvenimenti di questo secolo; un secolo caratterizzato da una enorme violenza, dalla distruzione di grandi miti, dallo svuotamento di grandi ideologie; ma anche dalla nascita di grandi alternative storiche, come ad esempio la nonviolenza, Occorre allora una riflessione anche dall'esterno del movimento scout. Questa riflessione può essere compiuta anche da uno come me, che non ha fatto parte del movimento, pur avendolo seguito da vicino per decenni.

Per compiere quest'opera di riflessione occorre innanzitutto tener conto della matrice dello scoutismo: la vita militare. D'altronde l'aspetto esteriore del movimento ha suscitato un giudizio ampiamente diffuso su B.P. e sullo scoutismo: siccome egli è stato un militare e siccome gli scout portano una divisa, allora la sua associazione rappresenterebbe una forma di militarismo, anche se più liberale, individualista e simpatica del militarismo vero. Chi conosce B.P. sa bene che lui fu sempre un militare atipico. Inoltre chi conosce i suoi scritti sa bene che B.P. non volle affatto fondare una propaggine o una variante dell'esercito; anzi l'ideale da lui proposto ai giovani scout era l'uomo che torna alla natura, né con spirito bellico né ingenuamente; e infine gli insegnamenti di B.P. per ricercare la pace sono molto profondi ed attuali.

Allora la riflessione deve affrontare questi contrasti come punti centrali. Perciò la matrice militare deve essere approfondita. Ma qui si incontra un ostacolo intellettuale: la cultura occidentale ha sempre visto acriticamente il settore militare della società; infatti tutto ciò che è conflitto (e quindi la guerra, gli eserciti e i militari) è stato trascurato dal pensiero filosofico occidentale. Su questi temi anche il pensiero teorico del movimento operaio (marxismo compreso) è rimasto inadeguato, limitandosi per lo più a discorsi di seconda battuta. [1]

Allora occorre prendere il coraggio di introdursi in qualcosa di poco studiato per comprendere le funzioni sociali della struttura militare; ma non le funzioni che esprimono qualche suo aspetto più appariscente, ma quelle che possono aver suggerito una prospettiva di nuova società.

È da uno sforzo di riflessione di questo tipo che prenderò le mosse per tracciare un profilo nuovo della proposta educativa di B.P. e individuare così nuovi compiti che l'Associazione potrà eventualmente riconoscere; ma che comunque gli scout legati alla operazione "Arcobaleno" possono sin da ora cercare di attuare.

2. La istituzione militare nella storia della società

Tra gli studiosi occidentali c'è una eccezione: il sociologo Spencer, la cui riflessione ci sarà di aiuto prezioso. [ 2 ] Egli ha sottolineato che l'esercito ha rappresentato la prima organizzazione sociale solidamente costituita (sia pure basandosi su una mitologia istintuale - onore, coraggio, Patria - che nell'antichità richiedeva anche un giuramento di sangue). Cioé la struttura militare è stata la prima a saper organizzare la vita sociale; e nella storia della società il suo modello organizzativo è servito da matrice ad ogni altra organizzazione civile importante. Inoltre è stata l'unica, anche nella società moderna, che ha saputo legare funzionalmente la vita privata con la vita collettiva organizzata, senza avere preclusioni ideologiche o religiose sui partecipanti. Questa capacità di "insegnare organizzazione" a tutti gli è stata riconosciuta anche dalla vita ecclesiale (sia pur parzialmente e in forma astratta: si ricordi ad es. che la cresima fa diventare "soldati di Cristo").

Probabilmente la socializzazione alla organizzazione sociale, data dalla struttura militare, fu massima nell'800. Ma proprio alla fine dell'800 la sua importanza sociale incominciò a diminuire (con l'eccezione della Germania), perché erano nati nuovi modelli organizzativi, che ormai si sviluppavano anche in concorrenza con quello militare: l'organizzazione produttiva industriale e l'organizzazione burocratica, statale e anche sindacale. A causa di questi processi, sempre Spencer teorizzò che nella società la socializzazione dell'organizzazione doveva trasformarsi, passando dalla solidarietà costrittiva di tipo militare alla solidarietà volontaria o funzionale (il che ripeteva la teoria di Comte sul passaggio dall'epoca militare, metafisica e feudale, all'epoca industriale, volontaria ed elettiva). [ 3 ]

Si può dire che oggi questo enorme processo educativo è compiuto. Oggi la società ha una organizzazione pluralista; la società oggi include anche l'organizzazione militare (esercito), ma senza dipendere da quest'ultima, perché sa procedere autonomamente da essa, anche nelle grandi decisioni (organi democratici); si pensi ad es. all'organizzazione del lavoro, alla burocrazia amministrativa, alla rete commerciale mondiale. Inoltre non è trascurabile l'involontario contributo che i popoli colonizzati hanno dato a questo processo di autonomizzazione della società civile dall'organizzazione militare: i colonizzatori hanno dovuto scoprire che anche le culture non europee sono capaci di una loro organizzazione (sia pure molto più semplificata di quella della società occidentale). Il che ha cumulato una varietà di modi di educare all'organizzazione sociale, svincolando la società dal paradigma dell'organizzazione militare.

3. L'alternativa di B.P.: Mafeking

Si noti che contemporaneamente a questa nascita del pluralismo organizzativo ci sono state anche delle significative conversioni personali da quella struttura militare che è stata così centrale nell'Occidente; basti ricordare la conversione spirituale di Charles de Foucauld (il quale ha fondato un ordine: i piccoli Fratelli e le piccole Sorelle). Inoltre, all'inizio del 1900 il filosofo Dewey ha scritto il libro [ 4 ] secondo cui la guerra deve essere superata storicamente; ma tenendo conto che nel passato essa ha insegnato moltissimo alla umanità (superstite...!); allora occorre superare la guerra, ma mantenendo alte le virtù morali che finora abbiamo realizzato solo davanti al pericolo della nostra estinzione collettiva.

È all'interno di questa tensione della società civile a recuperare le più alte virtù morali che si deve inserire la conversione compiuta da B.P. della socializzazione militare. E' un fatto che B.P. è stato educato ed ha sviluppato la sua vita all'interno degli schemi del militarismo. Ma è da sottolineare che la sua esperienza di vita fu incontenibile in quegli schemi. Siccome la letteratura riporta molti episodi che dimostrano ciò, non mi ci soffermo. Piuttosto, come valutare questo suo conflitto personale? Quello che si può dire di sicuro è che B.P. ha avuto una conversione interiore dal militarismo antico, anche se non ne ha mai abbandonato le sue forme esteriori. Questa conversione interiore gli è stata suggerita soprattutto dal suo costante rapporto con la natura e con i popoli primitivi. B.P. ha poi trasferito questa sua conversione in una educazione per tutti i giovani appartenenti alla società civile affinché si organizzassero e si sviluppassero vigorosamente in essa (senza che ciò fosse preparazione all'esercito).

E' noto che l'esperienza decisiva per la conversione di B.P. dal militarismo tradizionale fu l'esperienza dell'assedio di Mafeking, di cui egli fu considerato l'eroe nazionale. In quell'evento, egli fu impegnato in un'opera di difesa e non di attacco, non per portare morte o oppressione o colonialismo culturale, ma per cercare la sopravvivenza comune di inglesi e sudafricani. Inoltre egli, oltre che combattere e comandare i militari, imparò ad organizzare ed educare la gente civile. Ancora, egli fece ciò unendo popolazione colonialista e popolazione colonizzata, quindi facendosi partecipe della vita e dei costumi culturali di una popolazione molto diversa da quella europea inglese. Infine egli stesso disse che in tale occasione si meravigliò della grande capacità ed efficienza dei ragazzi, una volta che questi venivano responsabilizzati a compiti di interesse collettivo. Cioé, egli andò oltre l'organizzazione militarista formale, scoprendo così le grandi capacità che possono essere messe in gioco dalla popolazione civile e addirittura da quella parte che di solito viene considerata come inadatta all'organizzazione e alla lotta. [ 5 ]

Quello che ho indicato è già sufficiente per affermare che sicuramente con la fondazione del movimento scout B.P. ha voluto trasferire la socializzazione militare nella vita civile; dove "socializzazione militare" deve essere intesa, così come suggerisce Spencer, in senso positivo e costruttivo (non come socializzazione alle attività militari distruttive ed autoritarie). Cioé, proprio quel tipo di socializzazione per cui l'esercito si è sempre vantato di essere, anche in tempo di pace, una colonna portante della società nazionale: esprimere la vita collettiva in senso positivo e gratificante per tutti i partecipanti, far convivere tra loro gli uomini anche se diversi, far conoscere altri paesi, far adattare le persone a tutte le situazioni ambientali, insegnare ad affrontare pericoli naturali e umani senza perdersi di coraggio, ecc..

Infatti B.P. ha trasferito questa capacità socializzatrice dell'esercito alla società civile selezionando tutto quello che c'era di positivo nella vita militare. Di fatto, questo trasferimento della socializzazione militare nella vita civile non è stato per B.P. un travaso, ma un vero superamento del militarismo (Solo se pensiamo il movimento scout in questo modo, capiamo perché B.P. è giunto a quella forma educativa autonoma ed originale che finora è stata compresa a fondo solo da quelli che l'hanno vissuta personalmente).

Egli ha riportato non l'autoritarismo, o la gerarchia verticistica, o i suoi esercizi meccanici, o il suo addestramento alla guerra distruttiva, o il suo spirito aggressivo e di sopraffazione; ma le qualità positive, che ricombinate assieme intelligentemente, costituiscono un cammino di crescita pedagogica per ogni persona. Cioé egli ne ha fatto un processo al quale si aderisce volontariamente e non per costrizione, al fine di ricevere un tipo di educazione che è fondata non sulla capacità di togliere la vita ad altri, ma sulla sopravvivenza personale di fronte alle difficoltà naturali, non sulla obbedienza obbligata ma sulla generosità, non sulla convivenza anonima di truppa ma sul rapporto fraterno di piccolo gruppo. Inoltre essa spinge ad uno spirito di collaborazione civica tale da farsi carico di tutto ciò che entra nel raggio d'azione personale-comunitario di una persona: dalla buona azione, alle azioni collettive di salvaguardia della natura o di sostegno della popolazione in difficoltà. A questa serie di azioni sociali B.P. ha dato il ruolo di sviluppare una persona alla piena socialità, a partire dalla socialità del piccolo gruppo fino a quella più ampia della intera società.

4. B.P. e il tipo di progresso

Per comprendere questo superamento non basta però considerare solo il tipo di organizzazione e il tipo di società in cui ha vissuto B.P.. Per capire interamente il suo messaggio credo che occorre considerare anche il tipo di progresso che dominava la società del suo tempo; e quindi occorre valutare se la progettualità di B.P. , si adeguava ad esso o lo contrastava.

In proposito la prima considerazione da fare è che, stando egli all'interno della massima potenza coloniale della storia (Inghilterra) e all'interno del suo strumento operativo per conquiste ulteriori in tutto il mondo (l'esercito), B.P. viveva dentro il mito hegeliano della guerra come progresso della storia dei popoli. Ma interiormente B.P. non ha partecipato questo mito; inoltre la sua pedagogia scout ha cambiato la guerra agli altri in una "guerra" alle difficoltà materiali e a sé stessi.

Certamente B.P. non era neanche affascinato dal progresso civile, come invece lo era la maggioranza dei suoi contemporanei. Lo rivela il tipo di educazione che egli ha suggerito; essa è indifferente, se non addirittura irridente, alle meraviglie tecniche del mondo moderno. Questa sua scelta nell'educazione non è stata affatto una astuzia pedagogica, adottata per attirare i ragazzi con l'esotico; era piuttosto una precisa volontà di costruire un progresso morale delle nuove generazioni, anche perché B.P. vedeva un incipiente declino - che egli voleva contrastare - della civiltà britannica e occidentale.

Infatti lo scoutismo di B.P. vuole educare la persona ad un rapporto diretto con la natura (non idillico, ma non per questo meno armonico): per realizzare "l'uomo dei boschi"; essa lega il ragazzo a situazioni primitive, gli fa approfondire la conoscenza e l'uso dei sensi, gli dà come ideale la vita dei boschi, in un contatto diretto con la natura che porta a imitare il modo di vivere della gente di cento anni prima (o più).

Ma quest'uomo non è un Robinson Crusoe, perché lo scoutismo vuole ricostituire anche l'organizzazione sociale come componente pedagogica fondamentale. La sua organizzazione è quella originaria, nella sua forma più semplice, quella di un clan che si riunisce in mezzo al verde di un bosco, per, solo poi, estendersi alla società tutta. E' dalle organizzazioni sociali che noi chiamiamo "primitive" che B.P. aveva imparato la sua sapienza socializzatrice; ad es., egli sapeva che la sua autorità poteva essere veramente formativa solo quando parlava a non più di sedici persone. Quindi egli si basava anche su una vita di gruppo, ma soprattutto quella del piccolo gruppo, affinché le relazioni di appartenenza non prevalgano sulle persone. Ed in effetti il suo progresso non è quello dell cose, ma è il progresso morale fondato sulla capacità di formare delle persone di carattere.

Possiamo concludere che B.P., proprio perché non mitizza il progresso dominante, può concepire, nel suo tipo di educazione, un altro progresso: uno sviluppo a dimensione umana e in armonia con la natura, benché si viva nella società moderna; ed infine uno sviluppo morale della persona. Quindi un processo del tutto diverso (per dirlo modernamente: alternativo) a quello del suo tempo. Il primo aspetto del suo tipo di progresso è quello di non far crescere le cose, ma la qualità degli uomini; e quindi la enfasi sulla pedagogia piuttosto che sulla quantità di beni, di armi, di leggi e di istituzioni in mezzo alle quali un uomo vive di solito. E' questa alternativa al progresso dominante che, secondo me, completa la caratterizzazione della tensione pedagogica di B.P. e di tutta l'Associazione scout.

5. B.P. e il modello di sviluppo nonviolento

L'insieme di una organizzazione sociale e di un tipo di progresso, visti nella loro globalità, si chiama modello di sviluppo. Quindi per dare una valutazione storica e politica ancor più approfondita dobbiamo pensare B.P. rispetto ai possibili modelli di sviluppo; solo allora potremo avere la convalida politica della profezia di B.P..

Elenchiamo i tipi di modelli di sviluppo che risultano dall'incrociare la scelta del tipo di organizzazione sociale (o verticistica o autogestionaria; o anche (sotto l'aspetto politico): o liberista o socialista) con la scelta del tipo di progresso. Come esemplificazione sociale del progresso possiamo prendere, per B.P. che è stato un militare, il progresso bellico (esso può spaziare tra due polarità principali: o il progresso offensivo oppure il progresso difensivo; o anche, o la corsa agli armamenti oppure la solidarietà creativa popolare). E allora abbiamo quattro modelli di sviluppo: [ 6 ] Questi modelli si chiariscono prendendo come altra esemplificazione sociale del progresso la programmazione energetica (questa è o nucleare o termodinamica, cioé con energie alternative). [ 7 ] Allora i modelli precedenti possono essere ripetuti analogamente e i Paesi rappresentativi sono ancora gli stessi. Però il modello che prima era della DPN, ora è quel modello detto "dolce", che fa un uso scientifico e sapiente delle risorse energetiche (assieme alle risorse ambientali e culturali anche tradizionali); è basato su un rapporto di non sfruttamento con la natura (le sue risorse energetiche sono solo le fonti rinnovabili); richiede il decentramento produttivo e sociale, quindi invita alla corresponsabilizzazione generale e alla autogestione.

Questo è di nuovo il modello di sviluppo (e quindi il tipo di società) teorizzato (e realizzato in buona parte) dal movimento gandhiano cinquant'anni fa. Esso non è stato mai preso in considerazione dagli europei, se non ora, perché costretti dal fatto che il mondo tradizionale può crollare, o per guerra nucleare o per crisi energetica o per collasso ecologico.

Allora le considerazioni precedenti sul modello di sviluppo sono forse le più convincenti per sostenere l'idea che in effetti B.P. aveva in mente qualcosa che tipicamente appartiene al modello di sviluppo nonviolento. Cosicché dal preteso militarismo di B.P. siamo arrivati ad invece un suo legame con la nonviolenza. Cerchiamo di approfondirlo.

6. Scoutismo come educazione extrascolastica alternativa

La aderenza di B.P. al modello di sviluppo nonviolento può essere verificata con la valenza alternativa e nonviolenta della pedagogia dello scoutismo.

Incominciamo notando il suo contrasto col tipo di educazione che dal tempo di B.P. ha prevalso nel mondo, quella scolastica statale.

Si ricordi che fino al tempo della rivoluzione francese la educazione era compito della sola Chiesa, quale unica autorità morale riconosciuta socialmente. Questo fatto valeva sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti. Fu la suddetta rivoluzione che, seguendo gli ideali illuministici, realizzò una scuola pubblica per formare degli uomini obbedienti non tanto a Dio, quanto alla ragione; e quindi alle leggi razionali dello Stato. La successiva Restaurazione cercò di riportare indietro la situazione anche dell'istituzione scolastica. Ma alla metà dell'800, la ascesa al potere della borghesia di nuovo portò ad una educazione pubblica, la quale, secondo gli ideali liberali, doveva essere soggetta alla autorità statale, affinché questa autorità potesse radicarsi sempre più nella coscienza delle nuove generazioni. Di questa scuola pubblica si fecero interpreti il filosofo Herbart e il suo discepolo T. Ziller. Quest'ultimo aveva compilato un decalogo del buon studente; su dieci precetti, nove riguardavano l'obbedienza da questi dovuta a qualcuno o qualcosa. [ 8 ]

Su questo progetto educativo si è costruita la scuola occidentale. Questo era il progresso educativo dei tempi di B.P., quello che poi si è diffusa in tutto il mondo; senza alternative fino agli anni '60, quando, da una parte, è intervenuta la contestazione degli studenti; e, dall'altra, è entrato prepotentemente in gioco un ente superiore e ancor più impositivo dell'autorità statale: la televisione.

L'alternativa a questo tipo di scuola c'è sempre stata. Ma non ha avuto una sua continuità, a causa della debolezza politica dei gruppi sociali che l'hanno sostenuta. Durante la rivoluzione francese si sono diffuse le scuole a mutuo insegnamento, nelle quali tutti gli alunni insegnavano agli altri e il docente era soprattutto un coordinatore (come nella recente scuola di Barbiana, realizzata da Don Milani). Ma la Restaurazione, vedendoci le scuole dei rivoluzionari, le combatté e la Chiesa le scomunicò. Il movimento che ne era nato resistette molto bene; tanto che, quando nel 1848 la ulteriore rivoluzione pose fine alla Restaurazione, il responsabile di quel movimento in Francia, H. Carnot, venne promosso a Ministro della Pubblica Istruzione e da questa posizione di potere progettò di rifondare tutto il sistema scolastico sulla autogestione (ma ciò non avvenne per le reazioni della borghesia, che riuscì a farlo dimettere dal governo).

Più tardi i socialisti, che avevano avuto in Owen un formidabile esempio di educazione alternativa, non ne sostennero fino in fondo la sua propsota dell'autogestione educativa. Comunque Marx lo prese a modello del suo progetto educativo socialista; ma le numerose citazioni nei vari libri de Il Capitale furono cancellate da Engels nella pubblicazione postuma di quei libri. L'ultimo libro di Marx, La Critica del Programma di Gotha, [ 9 ] è chiarissimo nel criticare la struttura educativa borghese; ma Engels era sostanzialmente d'accordo con il programma criticato e fu lui a prevalere.

Nel 1868 Tolstoj girò l'Europa per un anno al fine di studiare tutti i sistemi scolastici; egli voleva educare i servi della gleba russi appena liberati dalla loro schiavitù secolare. Nel libro Quale scuola? [ 10 ] è inserito il breve saggio che riassume questa sua esperienza: "Istruzione, educazione e formazione". Egli lì analizza (come nessun altro studio è stato capace di fare) il sistema scolastico che si stava realizzando nel mondo occidentale; e lo caratterizza come intrinsecamente autoritario, soprattutto nel tipo di cultura che esso sviluppa e trasmette alle nuove generazioni. Poi, tornato al suo villaggio natale, fondò la scuola, di cui racconta nello stesso libro (e che dopo qualche anno fu bloccata dalla polizia).

Di fatto, gli altri grandi educatori, come Pestalozzi e Montessori, fondarono le loro scuole proprio per uscire decisamente dalla imposizione di una cultura che veniva (e viene tuttora) gestita centralmente dal potere politico dominante; ma le loro scuole sono state fagocitate dalla struttura esistente, ridotte a varianti pedagogiche di lusso dell'educazione pubblica.

Quando inseriamo in questo quadro la educazione di B.P. comprendiamo allora la sua enorme importanza, perché ha saputo sviluppare una sua ricca pedagogia indipendentemente dall'organizzazione autoritaria delle istituzioni scolastiche statali che riflettevano una ben eprecisa politica dei gruppi sociali dominanti.

Questo carattere alternativo può essere misurato anche sui contenuti. Lo si vede soprattutto in quello che è l'aspetto più illuminante del progetto educativo di B.P.: la ricomposizione tra lavoro manuale e il lavoro intellettuale. Questa ricomposizione non è sicuramente un romanticismo né un espediente pedagogico; ma è la posizione di fondo della sua educazione, che in questo modo vuol fare diventare gli scouts degli uomini completi, sia nella natura che nella società produttiva moderna.

Anche il maggior movimento politico alternativo, quello del socialismo e del marxismo, aveva sostenuto la stessa ricomposizione; e anzi, con maggiore forza, perché questa era la caratteristica centrale della cultura operaia. Ma poi, all'inizio del secolo, di fronte alla crescita degli apparati industriali (che andavano a inglobare gli artigiani come semplici approssimazioni infantili), si è posto in difensiva; e soprattutto davanti alla organizzazione scientifica del lavoro industriale (catena di montaggio), che non aveva più bisogno di lavoratori istruiti e razionali, l'ha abbandonata (anche altri tipi di educazione sono stati svuotati dalla nascita della catena di montaggio); e negli anni '50 l'ha dimenticata del tutto. Quindi, mentre il mito del progresso è stato fatale per i pedagogisti socialisti e marxisti, non fu invece così per l'educazione scout, perché questa era ben avvertita della fallacia del progresso industriale, avendo posto la natura al primo posto del vissuto personale. Infatti la educazione scout ha saputo proseguire nella sua storia senza particolari sconvolgimenti, giusto perché i suoi contenuti non dipendevano dai miti progressisti della cultura del tempo; e anzi erano correttamente indirizzati al sostegno della base originaria di ogni civiltà.

Allora il tipo di educazione degli scout è l'unico che in Occidente possa essere avvicinato a quello iniziato da Gandhi, che ha posto il lavoro manuale alla base non solo dell'educazione dei ragazzi, ma anche dell'educazione permanente degli adulti. [ 11 ]

Tutto questo indica che effettivamente B.P. partecipava al modello di sviluppo nonviolento, perché non solo ne condivideva personalmente le scelte fondamentali, ma anche perché il suo progetto pedagogico apparteneva a quel modello.

7. Scoutismo come educazione alla difesa popolare nonviolenta

Ma se accettiamo l'idea che B.P. si è riferito di fatto al modello di sviluppo nonviolento, allora possiamo chiederci se lo scoutismo, oltre che riconversione educativa della socializzazione militarista, oggi può essere inteso anche come educazione alla DPN; cioé alla difesa tipica del modello di sviluppo dei nonviolenti, quella che è stata attuata in questo secolo, prima da Gandhi, poi da vari altri popoli (soprattutto nel 1989).

Certo, B.P. non ha parlato di nonviolenza. Ma al suo tempo la nonviolenza non aveva un significato sociale; c'era solo l'invito, lanciato da Tolstoj, alla conversione personale. Nulla di strano allora che B.P. non ne abbia parlato, anche se l'avesse pensata.

Consideriamo allora in che senso B.P. può aver indicato al movimento scout la nonviolenza nei fatti. Notiamo innanzitutto che egli ha curato moltissimo quello che lui chiamava "la formazione del carattere". Alla luce dei modelli di sviluppo, questo aspetto fondamentale della educazione di B.P. appare essere l'educazione a quelle scelte fondamentali che non solo formano le persone ma che, cumulate assieme, costituiscono le motivazioni di un gruppo sociale che vuole realizzare un particolare modello di sviluppo. E quelle scelte, che sono le stesse del suo progetto educativo, sono in accordo con il modello di sviluppo nonviolento. Inoltre, il libro che ha lanciato il suo movimento e che ha rappresentato il suo travasare l'intelligenza militare in una intelligenza civile alla portata di chiunque fosse ben indirizzato, Scouting for boys, [ 12 ] illustra quello che una persona, o meglio un giovane, in una situazione ostile bellica può fare senza rispondere male al male, ma piuttosto per lavorare alla sopravvivenza sua e a quella degli altri: dall'ascolto dei segni che la natura offre a chi sa farle attenzione, alla conoscenza dei suoi segreti, alla raccolta di informazioni su situazioni sociali specifiche, alla capacità di assumere gli atteggiamenti giusti per le situazioni impegnative.

Però tutto questo riguarda la persona isolata. Se invece cerchiamo la nonviolenza al livello interpersonale, troviamo che egli l'ha intesa come il "fair play" e l'humor tipici di un inglese; ai quali ha aggiunto la buona azione quotidiana, la quale è un segno universale inconfondibile di riconciliazione e di nonviolenza. Ma se questa buona azione rimane isolata, giustamente attira l'accusa di infantilismo sociale; basti ricordare che al suo tempo in Europa si comandavano le spietate lotte colonialiste e si era immersi nelle lotte di classe sui diritti elementari (salari minimi di sopravvivenza, il sindacato, un giusto orario di lavoro e la protezione dei minori).

Allora quale risposta dà B.P. alle lotte nella società e alle guerre in particolare? Ricerchiamo non tanto nell'educazione personale del singolo scout, ma negli interventi sociali di quella educazione. B.P. ha assegnato dei compiti di difesa sociale al movimento degli scouts, e ciò a differenza di tutti i movimenti educativi. Non è importante poi il fatto che il movimento scout, in tempi di strapotere dell'esercito sul tema difesa, si sia dato pochi compiti per una difesa sociale - solo qualche servizio ausiliario che per di più non desse fastidio ai servizi già "occupati" da altre organizzazioni (ad es., Croce Rossa). Ma, si noti che se li è dati, vincendo la diffidenza e la supponenza degli adulti istituzionalizzati.

Ma questa sua presa di posizione pubblica suggeriva anche una maniera differente di affrontare le guerre? Al tempo di B.P. le prime pagine dei libri di scuola elementare avevano l'elogio della difesa armata della Patria e l'esaltazione della propria nazione contro le altre. In quel tempo B.P., benché abbia accettato il dovere civico di difendere con le armi la propria patria, ha progettato la nascita di un movimento separato dalle armi, che ha voluto far espandere in tutte le nazioni, passando lui stesso ad un internazionalismo che superava ogni nazionalismo e le relative guerre di supremazia.

Egli riteneva che l'educazione internazionalista scout, essendo un potente strumento di affratellamento dei popoli, avrebbe portato alla lunga al superamento storico delle guerre; egli le voleva superare al più presto, a tal punto che sulle due guerre mondiali B.P. si è espresso in termini radicalmente negativi, come il disonore della nostra civiltà e della nostra religione.

Ma B.P. è stato più preciso. Quando era in Sud Africa, anche Gandhi era là e proprio allora iniziava le prime lotte nonviolente della storia moderna. Ma Gandhi ha dovuto spendere tutta la sua vita per insegnare la nonviolenza almeno ai suoi compatrioti. Occorre ricordare che durante tutta la vita di B.P. la gente pensava che la difesa popolare nonviolenta di fronte ad un invasore fosse solo un sogno, oppure il racconto fiabesco di qualche episodio insolito della storia (Leone I di fronte ad Attila, difesa di Tuscania, ecc.. Solo dopo la morte di B.P., nel '68 la difesa popolare nonviolenta della Cecoslovacchia ha fatto pensare che delle novità erano possibili anche nella difesa).

Ma in effetti noi sappiamo bene che la sua novità, che è poi la sua idea di fondo sulla pedagogia scout, nasce dall'episodio di Mafeking. Era il tempo di Gandhi, anche lui in Sud Africa. A Mafeking, B.P. ha intravvisto la nonviolenza dalla parte più impegnativa, quella che coinvolge i gruppi sociali nei momenti più gravi e tragici della società civile: la difesa non armata in caso di calamità bellica: la preparazione della popolazione civile alla difesa non armata, basata sulla solidarietà della popolazione e sull'utilizzazione sapiente delle risorse del luogo.

Nella fondazione del movimento scout B.P. ha seguito questa ispirazione, molto concreta. In questa luce si potrebbe leggere in trasparenza la legge degli scout (e soprattutto il "Be prepared" = "siate pronti"). Cioé, nella sua pedagogia possiamo vedere la prospettiva di una riconversione non solo della struttura sociale per l'educazione, ma anche della struttura sociale difensiva; cioé con la fondazione del movimento scout egli non solo ha effettivamente riconvertito la capacità dell'organizzazione militare a socializzare e organizzare la gente, ma ha anche intuito una nuova capacità difensiva delle popolazioni, la difesa non armata; e col movimento scout ha preparato il terreno a quella che in futuro potrà essere la educazione alla difesa popolare nonviolenta.

Certo, il conflitto bellico richiede risposte più robuste. Ma probabilmente nella società passata il metodo educativo di B.P. non poteva esprimere di più. Concludiamo quindi che anche oggi, come inevitabilmente sarà sempre, il corpo degli scouts ha dei limiti rispetto alle novità storiche. Ma il problema è un altro: si può fare di meglio, e così superare quei limiti che erano dovuti al particolare tipo di società passata?

8. Scoutismo + educazione al conflitto = completa educazione alla DPN

Qualcuno può pensare che la analisi precedente rischia di forzare la storia passata con idee moderne. Cambiamo allora metodo d'indagine e passiamo alla situazione odierna ribaltando la domanda. Qual'è oggi il tipo di educazione da diffondere tra i giovani in funzione della partecipazione alla DPN?

La storia della DPN non fornisce direttamente risposte valide. Infatti nel passato la DPN è stata quasi sempre improvvisata. Solo Gandhi ha attuato delle esperienze preventive di educazione alle azioni di massa nonviolente; per molti mesi egli faceva convivere i leaders della lotta nelle comunità che lui istituiva. Queste esperienze però non ci insegnano molto sulla educazione giovanile alla DPN in Occidente, anche perché le azioni di massa guidate da Gandhi erano contro una dittatura coloniale e non contro un aggressore esterno o contro una dittatura interna.

Purtroppo, dopo mezzo secolo di discorsi sulla DPN, in giro non ci sono suggerimenti in proposito; anche perché esiste una divergenza d'opinione sulla definizione del concetto: difesa popolare nonviolenta, o difesa sociale o dissuasione civile? [ 13 ]

Secondo me è la prima definizione che meglio suggerisce un progetto educativo. Questo progetto deve essere popolare, e quindi da affidare soprattutto alle associazioni di base. Per essere anche nonviolento, esso deve richiedere ai giovani la generosità, lo spirito di gruppo, la solidarietà, la capacità di sopravvivenza, la capacità di gestire i conflitti per una loro soluzione costruttiva. E' un fatto che oggi questo progetto educativo trova una espressione concreta, pedagogicamente determinata, soprattutto (e solo) nella educazione scout. Già oggi il corpo degli esploratori può essere considerato, sotto l'aspetto delle sue funzioni sociali, molto ben indirizzato verso la DPN: un corpo di giovani che si preparano ai pronti interventi sociali sapendo sfruttare le condizioni ambientali in genere e sapendo far leva sia sulle proprie doti umane personali che sulla solidarietà della popolazione. (Non a caso oggi gli scout si accorgono di aver anticipato altri gruppi nel difendere la natura dall'industrialismo e nello sviluppare un rapporto positivo con essa).

Ma bisogna riconoscere che l'educazione scout non corrisponde completamente alla educazione alla DPN, perché gli manca un elemento di grande importanza: l'educazione al conflitto. Infatti è chiaro che la DPN richiede persone che siano educate alla capacità di affrontare i conflitti a tutti i livelli, da quelli interiori, a quelli interpersonali, a quelli collettivi in tempo di pace e in tempo di guerra; e questa capacità per i conflitti di gruppo e nel sociale, non è considerata dalla educazione scout.

Guardando a ritroso sotto questa luce, si può notare che per questa ragione in passato (quando ormai la società aveva preso coscienza delle profonde contraddizioni della vita sociale moderna: nazionalismo, colonialismo, lotta di classe) il movimento scout è stato svalutato come una semplice buona intenzione sociale, tardo comunitaria. Da qui è nata l'accusa agli scouts di restare dei ragazzi mal cresciuti; e si è tentato di "raddrizzare" l'educazione scout per sostenere la cultura inglese o, peggio ancora, per dare una educazione precoce alla vita militarizzata, come nell'analogo movimento dei "Pionieri" in URSS.

Se esaminiamo attentamente l'insegnamento di B.P., vediamo che la riconversione da parte di B.P. della socializzazione militare è andata un po' oltre il segno: nel suo tipo di educazione B.P. ha contrastato così drasticamente il bellicismo (dell'originario militarismo) da ridurre l'elemento della conflittualità al semplice gioco e alla corretta emulazione tra i gruppi. Si può anche dire che egli ha trascurato la conflittualità sociale perché la sua concezione del mondo aveva una matrice borghese: è un mondo pacificato quello che fa da ambiente esemplare alla sua pedagogia. Ma si deve anche osservare che al suo tempo una pedagogia che fosse stata più interventista nel conflitto sociale sarebbe stata combattuta ed emarginata dai poteri sociali forti. A me appare chiaro che B.P. ha preferito non prendere posizione sulla conflittualità sociale, piuttosto che impegnarci dei giovani, che nei conflitti esasperati di quei tempi sarebbero stati strumentalizzati da chi era il più forte al momento; cioé, ha ridotto il bellicismo a quel minimo che permettesse di mantenere l'attenzione pedagogica alla conflittualità, ma anche a non più di quello che permettesse di guardare con distacco la conflittualità sociale esasperata.

In definitiva, ritengo che oggi questa estrema riduzione della conflittualità appare un retaggio della matrice borghese di B.P. e della società del suo tempo. Da un secolo lo scoutismo è rimasto condizionato dalla violenza dei tempi, caratterizzati da una conflittualità esasperata: non solo quella della belligeranza colonialista e nazionalista con il risultato di due guerre mondiali; ma anche quella della lotta di classe virulenta, sia nella forma rivoluzionaria che parlamentarista.

Oggi l'estrema riduzione compiuta da B.P. della educazione alla soluzione dei conflitti appare troppo restrittiva. Essa mantiene il movimento scout al di fuori del movimento generale di presa di coscienza storica della situazione attuale: cioé, al di fuori del processo di crescita storica mondiale della coscienza sociale. In altre parole, restando fuori dai conflitti storici, il movimento scout rischia di rinchiudersi all'interno di un pedagogismo volontaristico e autosufficente; e con ciò dà vigore alle critiche di infantilismo irrisolto. Mentre invece, il coinvolgersi nei conflitti gli farebbe percepire, ancor meglio di altri movimenti, la necessità storica della proposta politica nonviolenta; e, d'altra parte, non c'è niente della sua tradizione che gli possa impedire di farsene interprete e portatore sociale.

Allora la direzione di lavoro odierna diventa chiara. L'educazione scout è l'educazione alla DPN, purché sin dal tempo di pace gli si aggiunga l'educazione ai conflitti interpersonali e sociali.

9. Agesci ed educazione al conflitto

Già nel '68 l'Associazione ha dovuto fare attenzione per la prima volta al conflitto sociale. I suoi giovani, proprio perché avevano forti motivazioni personali e storiche, hanno creduto giusto di aggiungere, a quanto avevano acquisito fin'allora in Associazione, la partecipazione attiva e generosa ai conflitti sociali generalizzati; cioé lo scoutismo (ancor più di ogni associazione educativa o religiosa di allora) è divenuto una fucina di giovani impegnati nei conflitti. Ma gran parte di quei giovani, essendo alle prime esperienze di partecipazione ai conflitti sociali, hanno sostenuto la soluzione che allora era prevalente, quella violenta; ciò a causa della forte tradizione volgar-marxista, che vedeva tutti i conflitti come determinati dal massimo conflitto sociale, la lotta mondiale di classe; e di quest'ultima vedeva solo la soluzione della soppressione violenta degli avversari.

Da quelle prime esperienze sono già passati trenta anni; questo è il tempo di una generazione, sufficiente per riordinare le idee e per scegliere oggi una più ponderata direzione, questa volta collettiva e pedagogica: la direzione di impegnarsi sull'educazione alla soluzione dei conflitti a tutti i livelli (così come si è cominciato a progettare con il convegno "Scoutismo e nonviolenza" del 1979, con la "Operazione Arcobaleno" nel dopoterremoto dell'Irpinia, con la segreteria "Pace e obiezione di coscienza").

Di sicuro queste ultime esperienze portano a concludere che con l'aggiunta dell'educazione al conflitto lo scoutismo:

  1. approfondisce la sua tradizione, perché vi riconosce una profezia di B.P., rimasta ancora incompiuta dopo un secolo, e rivelatasi alla gente solo in questi ultimi anni. Oggi si tratta di ristudiare il patrimonio degli scritti lasciatoci da B.P., approfondendolo al meglio e magari andando oltre, come lui stesso avrebbe fatto se fosse vissuto più a lungo.
  2. dilata il suo orizzonte, perché accetta la complessità della attuale società, che non è una società esangue, né una società solamente consumistica, né una società burocratica immutabile; ma è una società in processo dinamico, in cui i conflitti possono e debbono essere ricondotti al miglioramento del gruppo sociale coinvolto.
  3. dilata il suo metodo educativo non solo alle grandi occasioni personali (la buona azione come eccezione della propria giornata), o alle grandi occasioni sociali di eventi naturali (alluvioni, calamità), ma anche alle situazioni sociali di conflitto (scioperi, mafia, guerre) per cercare innanzitutto di prevenirle.

Ovviamente tra i vari conflitti l'Associazione sceglierà, autonomamente e a seconda dei tempi, quelli più importanti, proponendo una gerarchia dei vari conflitti ai quali educare. Quindi, non solo l'educazione alla inevitabile DPN, ma anche l'educazione ai conflitti temporaneamente più coinvolgenti e più inquietanti. Con il che l'Associazione avrà anche influenza politica (intesa nel senso migliore); non solo sui tempi lunghi, quelli di un secolo (così come l'ha avuta nel secolo scorso, anticipando ad esempio, la ricerca della pace e l'ecologia); ma anche sui tempi medi, quali quelli che convengono all'educazione di giovani che debbono impostare efficacemente la propria vita per rispondere alla propria società.

E' all'interno di questa educazione alla soluzione dei conflitti che oggi l'Associazione può compiere con piena consapevolezza la ulteriore scelta della nonviolenza, intesa come il metodo costruttivo di risolvere i conflitti. Attraverso la scelta della nonviolenza di fatto lo scoutismo si ricollegherebbe di fatto a quanto di meglio i Paesi del Terzo Mondo hanno suggerito rispetto al progresso dell'Occidente: non solo la vita primitiva collegata alla natura, ma anche la sperimentazione della nonviolenza in massa, realizzata nella liberazione indiana e in tanti loro tentativi di liberarsi o di difendere il loro territorio. Il che va nella direzione di riparare gli infiniti torti causati dal colonialismo militare e dal dominio culturale e, dopo secoli di separazione dei popoli, ricomporrebbe definitivamente quella unità mondiale che era stata voluta, ma solo accennata in B.P.

Ma quali conflitti possono essere occasioni di impegno dell'Associazione oggi in Italia?

10. Educazione all'ecumenismo come primo impegno

In effetti la mancanza dell'educazione alla soluzione dei conflitti non è un difetto soltanto della educazione scout, ma anche della educazione di tutte le religioni rispetto ai grandi conflitti (quelli di classe, quelli bellici e, ancor più, quelli tra le religioni stesse). È soprattutto questa insufficienza millenaria delle religioni, compresa quella cristiana (che nel passato si è anche abbandonata alle guerre sante contro l'Islam e alle stragi tra cristiani di differenti confessioni) che ha impedito la crescita della coscienza popolare nel comprendere i conflitti e nell'imparare a risolverli. Oggi il primo compito storico delle religioni è quello di superare questo limite.

E già oggi esse sono incamminate verso l'ecumenismo; ma questo dovrà essere inteso pienamente, con l'accettazione dei conflitti tra le religioni e con lo sforzo per la loro soluzione positiva; imparando a convivere positivamente in mezzo a conflitti profondi sia sull'idea di Dio che esse professano (eppure ognuna di esse deve restare convinta che la sua idea è l'unica vera), sia sui conflitti di interessi materiali. Io credo che le religioni del 2000 saranno quelle che avranno saputo apprendere da Gandhi il modo di difendersi con la sola forza della fede.

Se confrontiamo questo ideale con la situazione di oggi, vediamo che il salto storico da fare è enorme in termini culturali e di fede. Ma è un salto storico esaltante, perché traccerà la via maestra con la quale l'umanità, straziata dalle guerre, può capire che c'è un modo di superarle con la minima sofferenza: quello di aver fede nell'uomo e in Dio, o nell'uomo-Dio, o nel Dio-Uomo.

L'Associazione scout in Italia è già stata capace di rifondare la sua religiosità. Ciò mi sembra evidenziato dal suo essere l'unica associazione cattolica dipendente direttamente dalla CEI e purtuttavia capace di aggiornarsi sia alla base (ora l'assistente non ha più il ruolo del direttore-ombra, così come era in tutte le associazioni cattoliche) sia al vertice (l'Associazione ha la capacità di scelte nazionali impegnative, senza sottostare al beneplacito preventivo o cautelativo dell'episcopato).

Oggi, allora, uno scoutismo che fosse potenziato dalla educazione ai conflitti, potrebbe proporsi nel sociale come riconciliazione delle religioni, semplicemente realizzando l'ecumenismo nella sua struttura: aprendo i singoli clan e le strutture direttive a persone di fedi diverse (come già sta avvenendo da qualche parte). La nonviolenza qui può fornire l'esperienza di associazioni nonviolente che da 70 anni hanno unito fedeli di diverse religioni (ad es., il MIR, al quale hanno appartenuto sette premi Nobel per la Pace).

Questo passo avrebbe conseguenze di lunga durata a livello personale dello scout. La pedagogia scout, invece di confrontarsi col dilemma cattolicesimo o irreligiosità, dovrebbe piuttosto confrontarsi con la pluralità di pratiche di vita interiore. Anche qui la nonviolenza, quella intesa in senso personale, ha da arricchire la educazione scout; la quale educazione era già intrisa di un buon spirito inglese che sa valorizzare gli sport e la vita all'aperto. Ma si può pensare che essa migliorerà se includerà la pratica nonviolenta esatta per giungere alla padronanza, sia fisica che psichica, di sé: la pratica di esercizi ispirati allo yoga.

11. Educazione alla difesa della società legale

La scelta del servizio civile, tramite soprattutto la Caritas, ha attirato molti scout; oggi la scelta dell'obiezione è forse la maggioritaria in seno all'Associazione, come in nessun'altra associazione italiana. In generale essi sono stati tra i migliori obiettori.

Negli ultimi vent'anni i giovani dell'Agesci sono stati coinvolti in una grande impresa, quella di dare senso ad un Servizio civile nazionale che la legge 772/72 aveva istituito, ma che poi non è stato mai attuato. Questo servizio civile in Italia è stato realizzato dal basso, senza appoggi istituzionali, creativamente. Esso si è anche collegato idealmente alla DPN; ma non l'ha potuta realizzare mediante delle iniziative sociali specifiche e continuative, data la fase preliminare di questa proposta e data la scarsità di mezzi del Servizio civile. Ora invece (secondo la recente legge n. 230 dell'8/7/98) la DPN è legge dello Stato, secondo quell'equivalenza tra difesa della Patria con le armi e senza armi che ha stabilito la Corte Costituzionale. Su questo tema ora sono concretizzabili forti iniziative, sia dal basso che istituzionali, per realizzare il primo tentativo istituzionale nel mondo di costruire una difesa non armata e quindi anche una specifica educazione a questo tipo di difesa.

Allora oggi l'Agesci ha un'occasione per ripensare i suoi inteventi tradizionali (volontariato nelle calamità, partecipazione alla Protezione civile) mirando ad una riqualificazione dell'insegnamento di B.P. nel nuovo contesto. Se quanto detto nei paragrafi precedenti è valido, l'Agesci è l'Associazione che più di ogni altra ha la capacità e la maggiore responsabilità di partecipare a questo evento innovativo.

Sarà difficile anticipare che cosa faranno le istituzioni statali per promuovere la difesa nazionale non armata, perché la novità è molto grande e per di più coinvolge grandi numeri di persone. Ma ci sono due settori della DPN che sono comunque praticabili dal basso. L'intervento all'estero nelle missioni umanitarie e l'intervento contro la mafia.

Sul primo tema, già l'operazione Arcobaleno ha cumulato esperienze significative. Si tratta casomai di prevedere l'invio di odc in servizio civile (così come ora prevede la legge), secondo progetti tipici dell'Agesci.

Sul secondo tema, la lotta alla mafia, si può rispondere con tutta la Associazione, perché anche i lupetti di fatto vengono coinvolti dalla presenza invasiva della mafia. Ma qui, per rispondere intelligentemente ed educativamente, occorre innanzitutto giungere ad una analisi chiara del fenomeno (che non restringa la mafia a semplce delinquenza organizzata e, d'altra parte, non dipinga tutto il mondo delle istituzioni come un apparato mafioso). Ma occorrono anche esperienze pilota, che si affianchino a quella scolastiche, che già da anni hanno tentato di esplorare questa strada nuova e impegnativa.


Note:
1
B. Semmel: Marxism and the Science of War, Oxford, 1981.
2
H. Spencer: Principles of Sociology, London, 1876-96.
3
A. Comte: Cours de Philosophie positive, Bachelier, Paris, 1839.
4
J. Dewey: L'equivalente morale della guerra, 1905.
5
Tra i tanti che ne danno conto, si veda R. Farné: La scuola di "Irene", La Nuova Italia, Firenze, 1987
6
A. Drago: "Verso la difesa popolare nonviolenta", in AA. VV.: La difesa popolare nonviolenta, La Lanterna, Genova, 1980, 33-68.   T. Ebert: La difesa popolare nonviolenta, Ed. Gruppo Abele, Torino, 1984.   J. Galtung: Ci sono alternative!, Ed. Gruppo Abele, Torino, 1986.
7
A. Lovins: Soft Energy Paths, Friends of Earth and Ballinger, 1977; L'alternativa energetica, Amici della Terra, Roma, 1979. B. Commoner: La povertà del potere, Garzanti, Milano, 1975. E.F. Schumacher: Il piccolo è bello, Mondadori, Milano , 1979.
8
D. Lindenberg: L'Internationale communiste et l'école de classe, Maspero, Paris, 1970
9
K. Marx: Critica del programma di Gotha, Editori Riuniti, 1970.
10
L. Tolstoj: Quale scuola?, Mondadori, Milano, 1975.
11
Ce lo conferma R. Farné: op. cit., pp. 46-86, il quale ritiene necessario esporre in parallelo le concezioni educative di Gandhi e di B.P. Sulla educazione gandhiana si vedano: E. Mongelli: La scuola del villaggio, Adriatica, Bari, 1979; M. Piatti: Gandhi e l'educazione, EMI, 1983.
12
Baden Powell: Scautismo per ragazzi, Ancora, Milano, 1971.
13
Le parole qui vogliono indicare soprattutto quale motivazione si chiede al singolo partecipante per aderire ad una difesa di questo tipo. Nella dissuasione civile si chiede un civismo che dovrebbe essere così solido da rimanere immutato anche in caso di disfatta nazionale; questo civismo è chiaramente di competenza della educazione pubblica dello Stato. Nella difesa sociale si richiede un analogo senso sociale, o comunque un forte senso di appartenenza alle proprie istituzioni comunitarie e pubbliche; le quali quindi saranno loro a dover infondere questa fedeltà nelle persone. Nella difesa popolare nonviolenta invece la motivazione è di tipo popolare, pertanto questa si forma nelle occasioni di lotta sociale; quindi la educazione a questa motivazione deve essere preparata da tutte le istituzioni al servizio del popolo: dallo Stato, ma ancor più dall'associazionismo di base.