rapporto capo-ragazzo

Pedagogia dell'Iniziazione e Pedagogia della Crescita
atti degli incontri regionali capi 18-19 marzo 1995
in quanderni di Agesci Lombardia giugno 1995
DUE PAROLE DI PRESENTAZIONE

Il programma regionale 1993-96 nella parte riguardante la crescita dei capi nella competenza metodologica ci ha chiamati a tradurre concretamente i mandati del C2 (stages, incontri regionali di Branca per capi su temi metodologici e pedagogici) sul tema: rapporto capo-ragazzo.
Come pattuglia metodo (incaricati di Branca + IMIE) ci siamo trovati più volte a ragionare insieme sulla realizzazione di questi mandati per cercare di organizzare questi incontri secondo due criteri fondamentali: La fedeltà al progetto cercando di interpretare correttamente le richieste dei capi e la fedeltà rispetto ai mandati della "sperimentazione" della riforma delle strutture.
Quindi la decisione di lavorare in un'ottica squisitamente interbranca soddisfacendo l'esigenza di partire dai bisogni del singolo capo (rovesciamento della piramide) utilizzando le strutture associative per rispondere a diversi livelli agli approfondimenti richiesti (un'attività regionale che non abbia le stesse caratteristiche di un evento di zona...
In questo modo ci è sembrato di poter offrire come Regione un momento di incontro-confronto ed approfondimento che attraverso degli obiettivi comuni (interbranca) potesse arrivare ai capi nella specificità delle singole Branche in modo creativo e funzionale.
La scommessa è stata quella di immaginare degli eventi in cui i capi potessero sentirsi oggetto e soggetto attraverso la rilettura del "metodo". Il rapporto capo-ragazzo è il punto di forza del progetto educativo e necessita assolutamente di una certa dose di competenza nella metodologia; e per noi capi scout la competenza è frutto della formazione, non certo intesa come "inquadramento ed appiattimento", ma come capacità di utilizzare il metodo con creatività.
Questi incontri sono così diventati dei "laboratori metodologici" in cui gli educatori si sono impegnati a "giocare il gioco" sviluppando i contenuti degli obiettivi con la metodologia tipica di ciascuna branca, pur guardando alla "globalità" del metodo scout che vede il ragazzo, la sua educazione globale e la progressione personale in maniera unitaria.

A livello regionale questi incontri sono stati un interessante esercizio di "ricerca di sinergie", una corresponsabilità fra Consiglio regionale, Comitato e Pattuglie di Branca e la stesura di questi atti è stata più lunga e laboriosa del previsto, in quanto in maniera più o meno diretta ci siamo valsi dell'aiuto di tutte le persone che hanno collaborato con noi anche all'interno dei singoli gruppi di lavoro.
Speriamo di permettere a tutti i capi che hanno dato il loro contributo di ritrovarsi nelle pagine che seguono, come era stato promesso ai partecipanti agli incontri capi. Volendo leggere questi atti in modo critico si noterà facilmente che il materiale prodotto dalle singole branche risulterà abbastanza disomogeneo nella "forma", questo perché in ogni branca sono state date alle varie attività di "scomposizione del metodo" impostazioni diverse utilizzando fantasiosamente strumenti, simboli ed ambientazioni diverse. Diverse sono anche le modalità con cui ogni branca ha scelto [1] di raccontare i contenuti e ciò è di peso anche dalle verifiche fatte dalle singole pattuglie e dall'interpretazione che ognuno ha dato nell'intento di restituire a tutti i capi il senso di quanto dibattuto agli incontri. Come già detto negli "inviti" e come ribadito nelle pagine che seguono "provare e verificare" è stata la nostra scommessa, intravedere il cammino globale della persona nello stile dell'impresa e del progetto dalla fase dell'analisi a quella della verifica per approfondire insieme la "qualità" del rapporto che intendiamo avere con i nostri ragazzi e le nostre ragazze.
Un fraterno saluto a tutti voi e un grandissimo "grazie " a tutti quelli che hanno voluto e saputo giocare il gioco con noi!

Alla prossima.
Terry e Cesare

AGESCI REGIONE LOMBARDIA

Branca L/C

ENTUSIASMO E VOGLIA Dl FARE

Provare e verificare giocando e giocandosi: questo è quello che i circa 180 capi e capo dei branchi e dei cerchi lombardi sono stati invitati a fare per due giorni in un già lontano week-end di marzo a Milano al Centro Vismara mentre le altre branche, con lo stesso scopo, si incontravano in luoghi differenti.

A partire dalle riflessioni e dall'approfondimento metodologico degli anni passati sui temi della Pdl, il compito di questi due giorni è stato quello di mettersi in confronto e rileggere ciò che viviamo con i nostri bambini e bambine, indossando delle lenti speciali focalizzate sul rapporto capo-ragazzo

Abbiamo iniziato giocando per riuscire, come è nel nostro stile, ad acquisire da questa esperienza un linguaggio ed un vissuto comuni oltre ai contenuti teorici.

L'obiettivo successivo è stato quello di dare un senso all'incontro attraverso il confronto e l'approfondimento, a partire proprio da questa esperienza fatta insieme e da quelle che ci portavamo dietro singolarmente, facendo tesoro degli spunti e delle riflessioni legate alla Pdl.

Abbiamo lavorato in gruppo, partendo ognuno da uno strumento metodologico, spezzettandolo e osservandolo intersecato con alcune "parole" che richiamavano alla PdI; successivamente abbiamo sovrapposto a questo schema il ruolo del capo e della capo, ricavandone cosi quale tipo di relazione cercare di costruire.

Il clima che si è respirato in questi due intensi giorni di lavoro è stato gioioso ed entusiasta: c'era la voglia di incontrarsi, ma anche di lavo-rare e di mettersi in confronto. Non ci sono stati tempi morti ed anche il lavoro di gruppo di domenica ha visto ognuno coinvolto e partecipe.

La sfida ma anche l'incognita di un incontro così pensato, è sicura-mente quella che i risultati ed i contenuti siano stati costruiti senza l'ausilio di interventi profetici esterni. La disponibilità a giocarsi e la voglia di scambiarsi idee ed esperienze hanno permesso di vincere questa sfida e di produrre le riflessioni che qui di seguito vi presentiamo seguendo le griglie dei singoli lavori di gruppo.

RACCONTO

Lo strumento racconto è stato inteso nella duplice accezione di racconto/raccontarsi: il racconto che i bambini ascoltano, vivono, giocano e gli strumenti, i momenti che permettono al bambino di 'raccontarsi'.

Prova Tutte quelle attività di espressione (cerchio di gioia, racconto continuato dai bambini, scenette...) che permettono al bambino di uscire da sè. Mani abili (attraverso la costruzione di oggetti i bambini/e hanno la possibilità di raccontarsi, di 'tirar fuori quello che hanno dentro')
Conquista Strumenti che permettono al bambino di rielaborare ciò che ha fatto (Consiglio della Rupe/Grande quercia, P.P, racconto giocato, scenette); in questo modo diventa consapevole delle sue conquiste
Impegno Sensibilizzazione all'impegno attraverso l'identificazione nei personaggi dei racconti. P.P., trapasso di nozioni (soprattutto per i bambini del C.d.A. diventa l'impegnarsi a raccontare le proprie conquiste)
Bambino al Centro Il racconto permette ai capi di vivere nella realtà dei loro bambini; utilizzando forme diverse di racconto quali il racconto giocato, le scenette, si può capire cosa pensano i bambini, come percepiscono la realtà. Per lo staff la verifica della P.P. permette di rimettere al centro del lavoro educativo il bambino
Comunicazione Espressione, racconto fantastico, parlata nuova
Trasversali al Bambino al centro e alla Comunicazione PPU, tempo libero, necessità di fantastico permettono al bambino di essere protagonista della propria vita e al capo di comunicare con lui. Il tempo libero permette al bambino di raccontarsi, gestendo il suo tempo e comunicando con il capo

Dal cartellone è emerso un quadro con tante intersezioni che a prima vista ci può suggerire come sia complesso e concatenato il rapporto tra il capo e il bambino e la bambina e d'altro canto come il ruolo del capo debba essere globale ed equilibrato per ottenere una valida azione educativa (PPU).
La discussione si è sviluppata attraverso diversi esempi vissuti che hanno permesso di costruire delle relazioni tra gli strumenti e le capacità del capo.
Il capo capace di dire basta viene riscontrato nel rapporto personale con il bambino e in fase di verifica (Consiglio della Rupe/Quercia). Il capo capace di cogliere le richieste è legato a diversi punti (racconto giocato, sviluppo della fantasia, trapasso nozioni, verifica, racconto raccontato); tale capacità nasce dall'attenzione educativa di ogni capo.
Il capo capace di vivere il proprio ruolo e risultato essere fondamentale in tutti quei momenti in cui è il bambino che gioca, si esprime... Strettamente legata a ciò è la capacità di sapersi ritirare, per lasciare spazi di autonomia, (momenti di espressione, tempo non strutturato).

Il capo capace di responsabilizzare è il capo attento alla P.P. di ogni bambino ed è in grado di far nascere in loro la voglia di superarsi e di imparare.

AMBIENTE FANTASTICO (sintesi di due gruppi di lavoro)


Prova Presa di coscienza della diversità e superamento dei limiti (preda/volo morale per tipi). Passaggi come momenti importanti da vivere con attenzione, non da proporre come scontati ed automatici
Conquista La conquista si concretizza attraverso la pista ed il sentiero; permettendo al bambino ed alla bambina di avere un ruolo. E' importante che il B/C e il singolo bambino vivano e sperimentino le cacce ed i voli come momenti di grande impegno e sforzo, ma anche di "successo" personale e comunitario per il raggiungimento di tappe importanti per tutto il branco/cerchio
Impegno Ad ognuno è richiesto un impegno ed uno sforzo personale che coinvolga in modo globale e completo (preda e volo). C.d.A. è momento particolare anche di impegno nei confronti di tutto il B/C. Le parole maestre sono un monito a fare del proprio meglio, la Legge e la Promessa sono riferimenti e richiami continui e concreti all'impegno del singolo e della comunità
Bambino al Centro Cerimonia come momento del singolo di fronte alla comunità. C.d.R./C.G.Q. come occasioni in cui ciascuno possa esprimersi e comunicare alla comunità, offrendo la possibilità a tutti di parlare senza trasformarla in "processo" o monopolizzarla. Avere attenzione a che i colloqui (strutturati o informali) siano effettive occasioni di espressione per il bambino e la bambina e non di ascolto del capo. L'ambiente fantastico permette una risposta creativa ed attenta ai bisogni del bambino e della bambina; è esempio di vita sociale, è ambiente protetto, esorcizza l'insuccesso rendendolo momento di crescita e non di angoscia
Comunicazione Morale per tipi, simbolismo, racconto, parlata nuova, parole maestre sono canali comunicativi privilegiati. Danze e canti sono occasioni per vivere c richiamare l'A.F. ed i suoi contenuti fondamentali. C.d.R e C.G.Q sono momenti in cui i bambini e il B/C imparano a comunicare ed a comunicarsi

Vivere l'ambiente fantastico in B/C in modo significativo ed effettivamente educativo richiede ad ogni capo una particolare attenzione e competenza.

Un capo è un capo attento quando è capace di cogliere i desideri e le richieste dei bambini e delle bambine. Ciò che qualifica la nostra attenzione educativa è la capacità di accompagnare il bambino a far sì che sia lui stesso a riconoscere e sviluppare i suoi bisogni e i suoi desideri. Ciò significa essere capi capaci di aiutare e accompagnare i bambini nel proprio cammino di crescita essendo presenti, ma non invadenti o sostitutivi; significa, quando necessario, saper porre dei limiti e richiamare il bambino e la bambina ai propri impegni, significa saperli aiutare nella scelta delle proprie prede e voli, incoraggiare quando c'è bisogno, ma "richiamare" all'impegno preso di fronte alla Legge e di fronte alla Comunità, quando tendono a ritirarsi o a "rinunciare".

Per fare tutto questo però dobbiamo ricordarci che possediamo lo strumento A.F., che ci permette di fare delle proposte educative mirate. Il racconto (le storie di Mowgli, Sette Punti Neri) non statico o semplicemente "da raccontare", ma è lo strumento cardine che ci permette di proporre dei contenuti e dei valori chiave nel linguaggio più comprensibile, partendo dai bisogni e dalle esigenze dei singoli e della comunità.

L'Ambiente Fantastico si conferma come uno strumento fondamentale che noi capi per primi dobbiamo conoscere, "masticare" e vivere per poterlo riproporre in modo serio e coraggioso, per poterlo avere sempre presente non solo come sfondo, ma come "un'atmosfera" in cui portare la nostra proposta educativa.

CERIMONIE

Prova Valorizzazione delle prove superate
Conquista La cerimonia suggella una conquista personale, di assunzione di un impegno, è una valorizzazione concreta e verificabile, presente e futura della 'tappa' conquistata
Impegno La cerimonia è insieme traguardo e partenza
Bambino al Centro E' importante riuscire a comunicare al bam-bino che il momento è suo e saper rispettare i tempi della P.P. e della sua crescita. L.a cerimonia deve essere preparata con il bambino e la bambina per essere alla sua portata
Comunicazione Attenzioni da avere: saper trasmettere fiducia e stima, dialogare con i bambini per preparare la cerimonia, far "sentire" che è un momento di festa perchè la comunità si arricchisce, saper valorizzare le parole, i gesti, il luogo e il clima, utilizzare con sapienza i simboli e la parlata nuova

FAMIGLIA FELICE

Prova Impegno personale a favore della vita di branco/cerchio. Gioco, competizione positiva, accettazione della sconfitta: si gioca per il gusto di gio-care, si festeggiano i vincitori ma anche i perdenti che comunque hanno giocato bene. Danze, canti e bans possono essere una prova da superare per chi fa più fatica a pro-porre o ad "esporsi"
Conquista Preda come impegno personale da raggiungere. Gioco, esempio, accettazione delle sconfitte, serenità: spirito giusto con cui affrontare le difficoltà. Riconoscimento e gratificazione, condivisione delle conquiste (anche chi perde festeggia il vincitore)
Impegno Prede, gioco, serietà nel portare a termine i propri impegni, responsabilità, C.d.R/C.G.Q. (momenti di verifica e di condivisione del proprio impegno)
Bambino al Centro Solennità,intesa come il riconoscere in maniera 'solenne' e non banale le conquiste del bambino e della bambina, gioco, ruolo di ognuno, ascolto, preda, attenzione al singolo, responsabilità
Comunicazione Preda -intesa come momento di confronto fra capo e bambino-, gioco, tecniche di espressione comunicazione non solo verbale, clima - un clima sereno facilita la comunicazione, simbolismo, racconto

Ci siamo subito accorti di come la maggior parte degli elementi emersi dal 1º cartellone passino necessariamente attraverso la relazione capo-ragazzo.

In questa relazione fondamentale è il ruolo del capo che deve avere alcune specifiche capacità per favorirla. Il capo deve essere in grado di responsabilizzare i bambini, le bambine nella scelta delle prede e dei voli senza sostituirsi a loro; deve responsabilizzarli anche nel gioco così da favorire una sana competizione, valorizzando l'impegno del singolo, pur nell'insuccesso.

Il capo deve buttarsi nei giochi dando per primo l'esempio al branco/cerchio, non sostituendosi al bambino, ma vivendo il proprio ruolo di capo.
Anche nei momenti più solenni il capo deve essere capace di vivere il proprio ruolo, rendendo importante e unico ogni singolo L/C e riconoscendogli le conquiste fatte.
Proprio perché ogni bambino è unico, l'attenzione del capo deve essere tesa a tutti ascoltando e osservando per riuscire a cogliere qualsiasi richiesta, desiderio, bisogno.
Tutto quanto scritto fino ad ora è stato riassunto dal gruppo in una semplice ma efficace frase: "ll capo deve essere capace di vivere il proprio ruolo sia con la testa che con il cuore".

GIOCO

Prova Per far vivere al bambino e alla bambina la prova, come momento in cui imparare a superarsi e a trascendersi è necessario valorizzare le capacità di ogni bambino, proponendo attività che contengano difficoltà misurate su ciascuno. E' necessario prestare attenzione alla globalità della proposta e creare il clima di F.F.. Bisogna saper sfruttare il potere trainante del gruppo facendo raccontare la propria esperienza a chi ha già superato parte delle difficoltà, ma è importante che ogni bambino si misuri anche da solo con le difficoltà che può incontrare
Conquista Per far vivere al bambino e alla bambina la conquista come momento di superamento del limite, è necessario riconoscere il cammino già percorso e stimolarli a ripartire subito, proponendo obiettivi raggiungibili. E' necessario aiutare a sopportare la fatica stimolando la fantasia e la curiosità, non dimenticando mai le caratteristiche di ogni bambino
Impegno Per far sì che i bambini e le bambine si impegnino concretamente con piccoli passi misurati sulle proprie gambe, è necessario affidare a ciascuno un incarico importante e creare situazioni in cui i lupetti e le coccinelle possano scegliere e siano responsabili della scelta compiuta. E' importante creare gruppi di lavoro in cui siano espresse diverse capacità
Bambino al Centro Per fare in modo che i bambini siano realmente il centro a al centro delle attività che vivono, è necessario sfruttare le tecniche di espressione; il capo deve giocare con i bambini senza però mai porsi al loro livello. E' necessario proporre giochi divertenti ed a misura di bambino, in cui il singolo possa, con le sue capacità, giovare al gruppo
Comunicazione Affinchè nell'attività proposta sia possibile e si verifichi la comunicazione, bisogna utilizzare e stimolare la corporeità, incentivare la conoscenza reciproca, stimolare i sensi, valorizzare le tecniche di espressione. E' necessario proporre giochi in cui si ascolti prima di agire e fare in modo che ci sia all'interno dell'unità uno stile condiviso

Il capo deve fare tutte queste cose e necessita, per essere autorevole, di alcune capacità personali. Deve saper prestare attenzione al singo1o cogliendo anche ciò che il bambino non comunica, tenendo conto della globalità della proposta. Deve essere attento a stimolare la reciproca cononscerrza ed a contribuire a creare il clima di F.F. per poter limitare senza comandare.


ANCORA DUE PAROLE... E ADESSO TOCCA A TE!

In conclusione agli atti dell'incontro capi di branca 1995, la pattuglia regionale L/C ritiene che possa essere utile cercare di riorganizzare quello che è emerso dai lavori dei gruppi.

Non abbiamo voluto inserire novità, ma solamente riprendere quello che i capi e le capo presenti hanno messo in evidenza e riscriverlo utilizzando uno schema che uscisse dalla divisione per strumenti e invece sottolineasse la complementarità di tutte le riflessioni.


Riteniamo che possa essere utile in questa ultima parte fare qualche accenno alle basi che hanno sostenuto tutta la riflessione della P.d.l., che ci ha portato all'organizzazione di questo incontro.


Crediamo che queste poche righe possano aiutare, sia i capi presenti sia quelli assenti, a cogliere meglio gli stimoli emersi che ci chiamano ad una verifica del nostro modo di stare con i bambini e le bambine e del nostro modo di creare delle attività che pongano al centro il singolo lupetto e coccinella.


Dal documento steso dalla pattuglia di Fo.Ca. (giugno '92) in seguito all'approfondimento del tema "PEDAGOGIA DELL'INIZIAZIONE" (riflessione a partire dal convegno capi di Bergamo del 1990) emerge molto chiaramente il costante richiamo all'attenzione che i capi dovrebbero avere verso il bambino e la bambina, sapendo cogliere i "segnali" di aiuto, i bisogni.

Definiamo, per rinfrescare la memoria, ancora una volta la P.d.l., per vederla meglio riassunta nel rapporto capo-ragazzo. Facciamo riferimento, per questo, al quaderno di Agesci Lombardia sulla P.d.l. che tutti abbiamo ricevuto nell' ottobre del 1994. Qui leggiamo che "sono P.d.l. tutti gli approcci che sottolineano la fatica della prova e l'impegno della conquista, non annullano le distanze e non appianano le difficoltà, non regalano fin dall'inizio ma consegnano soltanto alla fine di lunghi processi di acquisizione e di meriti" [Agesci Lombardia 10/94 pag. 3].

La P.d.I. può essere vista come antitesi della PEDAGOGIA DELLA CRESCITA, sviluppo naturale e non guidato, rispetto dei tempi e fiducia delle risorse naturali dei ragazzi. La P.d.I. e la P.d.C. sono presenti in maniera molto forte nello scautismo che, come affermava a Bergamo il Prof. Scurati, è pieno di riferimenti alla iniziazione: è chiaro in questo senso a tutti i capi il significato di prova, conquista, impegno, passaggi, ruolo ed esempio dell'adulto.

Come poi sottolineava, nel settembre del '91, Ermanno Ripamonti, nello scautismo la P.d.I. è da intendere come il tentativo di realizzare in ogni singolo ragazzo, a tutti i livelli e in tutte le branche, la nostra proposta educativa, che è la proposta che viene chiamata "dell'uomo e della donna della partenza". Questa proposta si concretizza ogni giorno in prove, impegni, conquiste; parole che i capi e le capo hanno ritrovato e sulle quali hanno riflettuto nei lavori di gruppo dell'incontro capi del marzo 1995.

E' nell'equilibrio tra P.d.l. e P.d.C., cioè nell'equilibrio tra superamento di prove e rispetto dei tempi di ognuno, che si realizza la nostra proposta educativa. Sicuramente il rapporto capo-ragazzo è un tema fondamentale da analizzare nella ricerca di questo equilibrio.

Dall'incontro capi di branca L/C del marzo 1995 è emerso che rapportarsi con i bambini e le bambine è qualcosa di molto più ampio della sola relazione personale.

Il rapporto con il bambino, infatti, mette in gioco il linguaggio verbale, ma anche la gestualità, l'attenzione, gli sguardi, l'uso di una morale indiretta, la mediazione del rapporto stesso attraverso un clima di famiglia felice, la capacità di cogliere le richieste non esplicitamente formulate.

Tutto questo richiede il coinvolgimento totale dell'essere del capo e della capo nel rapporto con i bambini per poter dedicare loro tutte le attenzioni necessarie a soddisfare i bisogni, metterli al centro della azione educativa e permettere loro di essere protagonisti di quel pro-cesso educativo che prima abbiamo definito come P.d.l..

Si sono individuate delle attenzioni da suggerire ai capi così da aiutarli nel rapporto con i bambini e le bambine, sono "attenzioni" che coinvolgono la persona nella sua totalità, sono "caratteristiche" che il capo e la capo dovrebbero impegnarsi ad avere per vivere un equilibrato rapporto capo-ragazzo (ricordiamo l'equilibrio P.d.I. e P.d.C. di prima).


Capo capace di dire 'basta'
E' il capo in grado di favorire un clima di F.F., così da poter basare su questo tipo di clima anche i momenti di verifica, come il C.d.R. e C.G.Q. (F.F. GIOCO, RACCONTO); è il capo che aiuta il bambino e la bambina a selezionare qualitativamente le prede e le specialità (A.F.); che sa quando è il momento di fare festa con i bambini (CERIMONIE) e quando moderare la voglia di essere protagonisti (A.F.) e, infine, che sa usare sapientemente e nel modo corretto tutto quello che definiamo col termine "simbolismo" (CERIMONIE).

Capo capace di 'accogliere le richieste implicite'
E' il capo che nel momento della scelta delle prede e dei voli insieme al bambino/a, sa interpretare anche i bisogni inespressi oltre ai desideri espressi (A.F., F.F., CERIMONIE); fa emergere le caratteristiche vere del bambino (A.F.) e quindi stabilisce con lui obbiettivi concreti, raggiungibili e verificabili (GIOCO, CERIMONIE). E' il capo che comunica stima, riconoscenza; valorizza la conquista di una preda, costruisce le cacce e i voli sulla base dei bisogni dei bambini (A.F.); utilizza giochi a loro misura (GIOCO).

Sa comunicare con il linguaggio dei bambini, ma è in grado di leggere i messaggi non verbali (GIOCO, A.F.), mettendo tutti a proprio agio (F.F.). Rispetta i tempi di crescita e i momenti della P.P. (CERIMONIE).

Infine è il capo che, nel momento dell'avvicinarsi del passaggio in reparto, sa cogliere le richieste e rispondere ai bisogni nei modi più adatti al singolo bambino/bambina.

Capo capace di 'ritirarsi'
E' il capo che è in grado di lasciare il giusto spazio di autonomia per permettere ai bambini di raccontarsi (durante la siesta come esempio) (RACCONTO), che riesce a non programmare le cacce e i voli nei minimi particolari (A.F.) Dà fisicamente spazio e voce al bambino, mettendolo veramente al centro, sa trattenersi da una facile morale diretta (RACCONTO, A.F.).

E' il capo che ad esempio durante il C.d.R./C.G.Q. dà la parola ai bambini e alle bambine per parlare e verificare con gli altri fratellini e sorelline (A.F.). E' il capo che permette al singolo bambino di conoscere i passaggi della cerimonia e il proprio ruolo all'interno di essa (CERIMONIE). Favorisce la conoscenza e il contatto tra i bambini, incoraggiando anche in questo modo l'aiuto dei grandi ai più piccoli (CERIMONIE, GIOCO).

E' un capo che gioca e si diverte con i bambini e le bambine, ma permette che siano loro i protagonisti (GIOCO), affida ad ognuno un incarico, stimolando anche in questo modo (GIOCO) il senso di responsabilità e l'impegno.

Capo capace di 'responsabilizzare'
E' il capo attento alla P.P. di ognuno, sa far nascere il desiderio di imparare e migliorare (RACCONTO, GIOCO, A.F.). Affida degli incarichi che riguardano la comunità di B/C (GIOCO, A.F.). E' un capo che presta molta attenzione al momento in cui si stabiliscono e si verificano le prede e i voli (A.F.). In particolare sa chiedere la giusta responsabilità al singolo e sa valorizzarla durante le cerimonie (CERIMONIE).

Riconosce che la cerimonia stessa è punto di arrivo e contemporaneamente punto di partenza. Sa infondere nei bambini la capacità di accettare le sconfitte e di affrontare la competizione in modo positivo (F.F.).

Capo capace di 'vivere il proprio ruolo'
E' il capo che sa tramandare ad altri (RACCONTO), è competente e sa stimolare il bambino, prestando attenzione alla globalità della proposta (GIOCO). Sa creare un clima di F.F. e sa inserirsi in questo in modo discreto, coinvolgente, sereno; un adulto di esempio che gioca con i bambini testimoniando uno stile (F.F., GIOCO).

Sa incanalare le potenzialità e le energie del bambino e della bambina e sa gestire il proprio rapporto con la "morale indiretta" (A.F.).

Calibra le sue parole in un C.d.R./C.G.Q. e usa sapientemente il Grande urlo (A.F.). Evita quelle relazioni particolari di eccessivo affiatamento (F.F.).

Infine il capo sa solennizzare una cerimonia, valorizza le conquiste del bambino e della bambina facendo capire che il momento è loro. (CERIMONIE).

Vorremmo sottolineare solo alcuni aspetti che ci sembrano interessanti e sui quali invitiamo tutti a riflettere.

Anche lavorando su uno strumento per volta (come si è fatto durante l'incontro), vediamo ancora una volta come sia importante utilizzare tutto il metodo in modo da poter offrire ai nostri ragazzi una proposta completa che stimoli globalmente.


Il ruolo del capo è quello di offrire esperienze in cui i singoli bambini possano sperimentarsi ed esprimersi e proporre loro delle occasioni per verificare le esperienze vissute. Per far sì che i lupetti e le coccinelle vivano veramente delle esperienze che mettano alla prova, le attività devono essere progettate in rnodo tale da offrire un reale ruolo da protagonista ai bambini, perché possano vivere le loro cacce e i loro voli come autori e non come spettatori o comparse.

Il primo aspetto del metodo, e forse anche il più fondamentale che il bambino e la bambina devono avere veramente in "mano", è la progressione personale. Al singolo dobbiamo chiedere impegno, costanza, fatica ... ma soprattutto un ruolo attivo; sarà lo stesso bambino ad assumersi l'impegno cercando di portarli a termine. E' proprio in questo percorso che noi educatori gli offriamo un' occasione di crescita e di superamento di sè.

Se noi capi terremo presenti questi aspetti già nel momento della progettazione delle attività e in quella sede porremo attenzione al nostro ruolo (di facilitatori) e al ruolo del singolo bambino (autore), sicuramente riusciremo a costruire delle esperienze che permettano ai singoli di esprimersi e di far emergere maggiormente ciò che sono. Questo richiederà ai capi una maggior disponibilità a modificare le attività rispetto al loro programma per assecondare in primo luogo ciò che i bambini stanno "costruendo" e vivendo.
Sicuramente questo materiale, pur non contenendo novità particolari e stravolgenti, offre numerosi stimoli per una verifica del nostro modo di stare con i bambini e le bambine.
Perché non utilizzarlo per una verifica in staff? Chiediamoci quale tipo di relazione abbiamo con i nostri bambini e quale ruolo attribuiamo loro durante le cacce e i voli!

Crediamo che questa sia una occasione che l'associazione si è data per cercare di fare un piccolo passo in avanti, per cercare di svolgere sempre un miglior servizio.

Come ultimissima cosa vorremmo ringraziare tutti i capi e le capo che hanno partecipato all'incontro, e anticipatamente tutti i capi che utilizzeranno questo materiale per una verifica di staff. Ringraziamo le persone che hanno collaborato, i conduttori e le conduttrici dei gruppi, la pattuglia regionale ed in particolare Laura Sella per il suo prezioso e basilare contributo.

Gli incaricati regionali alla branca L/C
Monica Manzini, Federico Mazzallo, don Andrea Lotterio




AGESCI REGIONE LOMBARDIA


Branca E/G


GLI STOMACI DELLE VACCHE SONO QUATTRO.
E le vacche di digestione se ne intendono.

Prima digestio fit in ore, dicevano gli antichi. La prima digestione comincia dalla bocca, da come si mastica e forse anche da come ci si predispone a mangiare.

Infatti, una cosa è andare in un fast-food, ingollare rapidamente un hamburger altro è sedersi con gli amici al desco. Non è solo una questione di cibo, ma di abito mentale. Predisposizione..

Incredibile ma stiamo parlando dell'Incontro Regionale Capi della Branca E/G, tenutosi in tempi ormai remoti - cadevano i giorni 18 e 19 marzo - nel "ridente" Oratorio della Pace di Brescia.

Il parallelo con la digestione non è casuale: l'Incontro era infatti pensato per servire un piatto nuovo a chi aveva digerito bene la pietanza precedente, renderlo ancora sazio e invitarlo alla più tradizionale delle pennichelle del dopo pasto, il vero luogo del riposo per la riflessione.

Quello che doveva essere un piatto ben digerito, in un Incontro di questo tipo, era il Metodo della Branca, la sola base di partenza realmente comune che abbiamo e sulla quale poter iniziare qualsiasi discussione. Sappiamo bene che - parlando di Metodo - spesso si determinano delle incomprensioni di linguaggio, legate alle singole tradizioni locali e di gruppo. Il minimo comune denominatore relativamente al linguaggio è il testo del Regolamento che uniforma proprio questi aspetti e si lascia leggere da tutti.

Prendere coscienza della nostra comprensione del Metodo è stata la base essenziale per lanciare - o rilanciare - con un linguaggio più semplice e vicino alle nostre problematiche quotidiane la somma dei problemi che ruotano intorno al Rapporto Capo-Ragazzo, cercando appunto di rileggerli nel quadro della Pedagogia della Iniziazione, la pietanza nuova.

Antipasto: i saluti iniziali e inizio del sentiero.
Salatini a cura del Reverendo. Lancio del sentiero di catechesi dell'incontro, con la difficoltà di Mosè, i suoi fallimenti come educatore. Le difficoltà nelle relazioni. Un buon inizio per noi, soprattutto se ci mettiamo dalla parte di Mosé con l'attenzione rivolta all'atteggiamento educativo di Dio. (Esodo 2,11-15)

L'aperitivo è stato servito dal grandioso Lino Lacagnina, che fra i calcinacci del fatiscente cinema parrocchiale ha rifocalizzato nel ragazzo il centro della azione educativa, rammentando come spesso il rapporto "difficile" debba portare il capo ad interrogarsi sulla propria azione. La relazione - per essere tale - deve cambiare entrambi i soggetti in gioco. La dinamica fra educatore ed educando non ha -quindi - un solo insegnante e un solo discepolo.

Intervento ben calibrato e inerente. Per potersi ripensare occorre avere dei parametri certi di analisi e, forse, in questi anni la "cultura associativa" e quella della Branca non hanno trovato gli esatti canali di trasmissione. E allora perchè non intraprendere a viso aperto un bel viaggio di riappropriazione di questa cultura? In tal senso, partendo da alcuni articoli emblematici del Regolamento di Branca, abbiano tentato di mettere a fuoco gli aspetti problematici, cercando di evidenziare le difficoltà a tradurre i contenuti richiamati dagli articoli nella realtà quotidiana dei nostri reparti e nel sentiero dei nostri ragazzi.

Ma ricordiamoci che una accurata analisi dei problemi evidenziati ha bisogno di stomaci grandi... (Iº pausa digestiva. Alka Seltzer).

Il primo: l'intervento di don Andrea e la messa. Due momenti distinti ma profondamente uniti nello spirito e nella sostanza. In particolare, dell'intervento di Andrea (riportato interamente nell'appendice intitolata, guardate il caso, L'Intervento di Andrea) occorre meditare a fondo quanto "uscire dal guado" dipenda principalmente dalla nostra competenza e voglia di giocarci. (pausa digestiva. Limonata calda)

La Messa - nella splendida cornice del teatro - è stata pensata come una occasione di ascolto.

La Parola ha evidenziato relazioni che cambiano. Paradigmatiche. La chiamata alla conversione (Esodo, 3, 1-8.a.13-15) è solo il momento iniziale e sempre da verificare nel rapporto continuo con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (I Cor. 10, 1-6.10-12); la qualità del rapporto (Lc 13, 1-9) cresce proprio nella relazione dove anche il

Il Padre sa ascoltare con attenzione il figlio che gli parla

Di particolare interesse gli squarci forniti nel corso dell'omelia da Giovanni e Maria Grazia.

Il roveto ardente è la parola di Dio che chiama il suo popolo alla liberazione dalla schiavitù. Il processo di liberazione è quindi un cammino personale e collettivo che si deve realizzare nella storia. La storia è il luogo delle contraddizioni e dei fallimenti ma senza la storia non è possibile avere alcun processo. La storia diventa quindi anche il luogo attraverso cui si può realizzare il cammino di liberazione, che è cammino nella costruzione del Regno.

In quanto cristiani il roveto ci interroga.

In quanto Capi siamo stimolati a pensare al carattere della nostra proposta educativa: se essa è integratrice, volta cioè a riprodurre i modelli dominanti di individuo e società, o liberatrice, volta cioè a creare i presupposti per la costruzione di una persona e di una organizzazione sociale nuove

Il roveto ci indica con forza la seconda ipotesi. (pausa digestiva. Antonetto lo puoi prendere anche in tram)

I cuochi lavorano anche di notte. La notte talvolta porta consiglio (coniglio?). Illuminati più che dalle nostre menti annebbiate da una fioca luce artificiale, si è svolta la riunione della staff organizzativa: i nodi problematici emersi dai gruppi di studio sono stati organizzati in ambiti tematici congruenti (i famosi capitoli) e si è potuto istruire il lavoro degli stages della mattina successiva, che hanno avuto i seguenti temi:

1. educazione alla fede (il rapporto con il Dio Trinitario come modello di relazione);
2. vita all'aperto (il rapporto con la natura in sintonia con il creato);
3. abilità manuale (competenza nelle relazioni. Sfida al superamento di sè);
4. osservazione e deduzione (analizzare per progettare. Verifica della relazione);
5. strutture di reparto (una trama di relazioni).


Il sorbetto: preghiera del mattino Cammina, cammina... Dal ribadire la questione personale (Salmo 5), al rammentarci la responsabilità collettiva dell'essere Chiesa nella storia, in una prospettiva di liberazione dell'uomo come realizzazione piena del compito missionario affidato a ciascuno di noi.

Lo Spirito è la guida. perchè dallo Spirito riceviamo la capacità di discernere i segni dei tempi (preghiera eucaristica di S.Ireneo)

Il secondo: il lavoro negli stages. Dall' analisi dei problemi alle possibili soluzioni utilizzando il metodo nel sistema delle relazioni: sfida dura, ma possibile, visto che i gruppi di lavoro avevano una mattinata intera per confrontarsi. Tale scelta era necessaria per approfondire in modo adeguato i problemi emersi, comprendendone se possibile le cause per poter agire con saggezza nel proprio quotidiano e con i propri ragazzi. Ma un esempio di pranzo, non è di per sè un libro di ricette (4º pausa digestiva. Petrus).

La griglia di lavoro è stata concepita in modo da cogliere subito il problema nel quadro delle relazioni e per successivi passaggi.


GRIGLIA DI LAVORO PER I GRUPPI REDAZIONALI
Gruppo:

IL PROBLEMA:
In relazione allo strumento Funziona se il ragazzo fa Funziona se il capo fa Funziona se la modalità della relazione è
       
Squadriglia      
Impresa      
Consiglio della Legge      
Consiglio Capi      
Sentiero      
Gioco      
Tale metodo è stato recepito con difficoltà o punto recepito. Su questo dobbiamo riflettere tutti, non tanto per lo strumento in sè, quanto perchè forse manca quella capacità di connettere con fantasia e rapidità strumenti del metodo a problemi degli E/G o delle Unità. Ci sono comunque spunti interessanti, ma occorre continuare a ruminare... (5º pausa digestiva. Citrosodina).

Siamo alla frutta: mandato e saluto.
Mosè muore prima di entrare nella terra promessa. La vede e muore, anche se «la sua vista era ancora molto buona ed egli era ancora nel pieno del suo vigore».

È il nostro destino come capi. Non dobbiamo avere la presunzione di percorrere il sentiero INVECE e non A FIANCO dei nostri E/G e la

loro crescita non è il NOSTRO obiettivo, ma il LORO obiettivo. A noi la responsabilità di accompagnarli come fratelli maggiori, a loro quella di entrare nella loro terra promessa (6º pausa digestiva. Bicarbonato. Con limone).

Il mandato... Non ci sono state risposte definitive? Avete imparato pochi bans o danze da usare con i ragazzi? Avete avuto sicuramente delle buone ricette in caso di dolori di panza. Ma ricordatevi della mucca. Tutte le cose devono essere digerite molte volte prima di essere assimilate. Occorre pazienza e occorre dedicare tempo.

Meditate, gente, meditate e nella 7º pausa digestiva fatevi una bella birretta.

La grigliata mista: una sintesi improbabile. Questo è in qualche maniera il piatto forte e si tratta di una sintesi dei lavori di gruppo realizzata a partire dalle verifiche dei loro animatori e della Pattuglia Regionale. In una prima ipotesi si era pensato di restituire le gliglie compilate dai gruppi di lavoro esattamente come erano state prodotte.

Tale ipotesi si è rivelata scarsamente praticabile, in quanto le griglie nude e perdonate il bisticcio crude non restituiscono nulla della sostanza del lavoro. Ci assumiamo pertanto la responsabilità e il compito ingrato della sintesi finale, fermo restando che il punto di partenza (le griglie "originali" ) sono a disposizione per qualsiasi consultazione presso la Segreteria Regionale.

Una prima importante osservazione riguarda la difficoltà di utilizzo dello strumento: la griglia era volutamente vincolante, nel senso che solo attraverso una qualche oggettività predefinita è possibile una sintesi di respiro ampio.

Alcuni gruppi hanno usato griglie proprie, altri non sono stati in grado di andare oltre ad un livello iniziale di traduzione dal problema allo strumento.

In generale il lavoro dell'Incontro Capi vale pertanto, più che per il risultato, per la metodologia proposta, che va interiorizzata (digerita) essendo comunque sempre valido lo schema:

- parto da un problema;
- analizzo le sue implicazioni;
- cerco una soluzione;
- decido lo strumento del metodo adatto alla soluzione;
- realizzo con i ragazzi la soluzione;
- verifico con i ragazzi e in staff.


Questa griglia si inserisce - nel contesto sopra descritto - nei passi di ricerca della soluzione e della scelta dello strumento opportuno, fermo restanto che nel modello di lavoro dell'Incontro i problemi erano tutti da connettere all'ambito della relazione Capo-Ragazzo.

Dal punto di vista dei contenuti, l'uscita di marzo ha evidenziato con chiarezza una difficoltà dei capi nel coinvolgere gli E/G nella vita del Reparto.

Al ragazzo di solito i Capi hanno chiesto una disponibilità generica a partecipare e al fare, lamentando per contro una assenza di protagonismo e una appartenenza al gruppo (Squadriglia, Reparto) molto fredda.

Questa situazione di disagio è riportata da tutti i gruppi di lavoro e si giunge fino ad affermare che lo strumento META funziona se il ragazzo ha delle aspettative (pur non essendo specificato in che ambito).

Per contro i gruppi di lavoro hanno delineato abbastanza precisamente il ruolo del Capo orientandolo verso la attenzione alla relazione e alla trama delle relazioni.

Il Capo è colui che conosce ogni singolo E/G del reparto, ha con ciascuno relazioni continuative e significative, agisce in modo non impositivo, sa coniugare la Progressione Personale al Sentiero (aiutando ad esempio l'E/G nella scelta delle mete) garantendo che all'interno ciascuno abbia un posto dove vivere il suo protagonismo e una positiva relazione con gli altri.

Ai Capi presenti è stata anche il più delle volte chiara la tipologia della relazione opportuna per risolvere i problemi evidenziati.

Risulta a questo punto complesso, per chi deve realizzare la sintesi finale, riuscire a rispondere con quanto emerso nel corso dell'Incontro alla domanda che sorge spontanea: come è possibile, data la chiarezza del ruolo del Capo e della relazione che deve impostare con ogni E/G che si determini un così profondo problema proprio sulle motivazioni del Ragazzo/a a partecipare? È sempre e solo colpa della società complessa?


In altri termini quello che abbiamo detto sul Capo è quello che facciamo per davvero o che dovremmo fare e non facciamo?

Vi diamo del materiale per rispondere....

Abbiamo provato a mettere in fila quanto i capi hanno detto a proposito del loro ruolo (funziona se il capo fa).

Senza nessuna pretesa di dare una sistemazione a questo materiale, solo qualche correzione formale e l'eliminazione di qualche ripetizione, ma non troppe, ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Il capo: osserva, è spontaneo e rispettoso, aiuta a verificare, si informa, difende la libertà di parola, crea un clima sereno, conosce i precedenti passi della verifica, non impone nulla, è sereno di fronte all'insuccesso, conosce la realtà che sta alle spalle del ragazzo, è competente ad indicare il cammino per età, vede e pro-pone il passo in più, sa inserire il percorso personale nel cammino comunitario, è attento a cogliere i talenti, si mostra a tutti gli interessi dei ragazzi, è aperto all'acquisizione di competenze, usa lo strumento di maestro di specialità, sa dare importanza e progettualità al cammino di competenza, vive la lealtà, ha occhio oltre le regole, è capace di essere intenzionale nella proposta gioco, propone avventura, sa vedere l'utilità, sa dare gli stimoli, è competente, è coerente, ha sensibilità e attenzione, è costante nelle attività, trasmette la globalità della natura, intravede le potenzialità del ragazzo, è attento al percorso più che al risultato, fa che il Consiglio Capi sia elettivamente un organo decisionale, sa capire il valore dei singoli ruoli nella Sq., utilizza il Cons. Capi periodicamente ed è effettivamente funzionante, calibra le mete, è esempio di atteggiamento, coerenza, conosce esigenze esterne (es. solidarietà), sensibilizza all'attenzione al territorio, non ha paura di fare delle proposte, stimola il confronto, fa intravedere la meta senza dare soluzioni, dà fiducia, stimola l'approfondimento, valorizza le posizioni del capo Sq., crea un ambiente piacevole, aiuta a proporre un metodo, conosce bene i singoli, ha fantasia, è competente, propone verifiche continue e concrete, conosce il ragazzo, pone interrogativi, sa essere garante, è di stimolo, ascolta, collabora, rende protagonisti del ruolo, coordina, né troppo rompi né troppo superficiale, fa il gioco avventuroso e gioca, lavora insieme (ponendo le basi), infonde motivazioni quando propone e verifica, sa creare occasioni, sa leggere, costruisce un ambiente sereno, valorizza la voglia di essere grandi, rispetta la verticalità, non interviene durante, verifica, sfrutta le competenze, fa partecipare, verifica il sentiero, insegna a conoscere i suoi ragazzi al capo Sq., è sereno ed esprime la sua posizione.

A ciascuno di voi spetta questa conclusione semiseria dell'incontro Capi di Brescia.

Una conclusione semiseria che potrebbe essere giocata rispondendo ci sono/non ci sono ad ognuna delle voci sopra elencate.
E tu che leggi, se alla fine risulta che ci sei poco o niente prova a chiederti "che capo sono?"

Gli Incaricati Regionali alla Branca E/G Graziella Bisin, Riccardo Camuffo, donAndrea Meregalli


APPENDICE


L'intervento di Andrea:

CAPIRE DOVE SIAMO E CAPIRE DOVE ANDIAMO

Parola dell'uomo dall'occhio penetrante

Il compito dei profeti è quello di aprire gli occhi del popolo su un futuro che ancora appare nascosto. Il profeta dà voce a quello che sta avanti, anticipandolo a chi non è ancora in grado di scrutarlo.
Questo intervento lo abbiamo chiamato profetico proprio perché vogliamo che abbia questo carattere: anticipare, far intravedere quello che potrebbe essere l'esito faticoso di un cammino che stiamo facendo in questi due giorni.

Il profeta è creduto quando le sue non appaiono come le parole di un visionario, ma come le parole di un saggio che sa anticipare l'esito di un processo dinamico mostrando i fili che lo legano al presente, alla realtà in cui il profeta e il popolo sono immersi.

Paradossalmente il profeta, i grandi profeti della tradizione biblica e cristiana a cui noi ci ispiriamo soprattutto, è un uomo della tradizione. La sua sapienza gli viene dalla capacità di rileggere il passato per trovarne le indicazioni che sappiano rinnovare il presente e orientar-lo verso un futuro buono, verso la felicità piuttosto che verso il fallimento e l'annientamento.

Noi ora vorremmo tentare un intervento che abbia questo carattere profetico: una parola che anticipa la visione del futuro, di un futuro buono salvaguardato dal fallimento, che prenda le mosse dal presente e qui, nel presente, manifesti le ragioni della sua credibilità, che sia profondamente legato alla tradizione, perché non sia una fuga nel futuro, ma la crescita nella continuità e nella innovazione.

Noi adesso ci troviamo a metà del guado, abbiamo cercato di leggere la realtà scorgendone i nodi problematici, adesso siamo nel mezzo del guazzabuglio che cercheremo di sciogliere.
L'intervento di un profeta può essere solo quello che ci fa intravedere la direzione per cui uscirne.

Le parole del profeta, che guardano verso l'ignoto, devono essere saldamente ancorate al presente.

Richiamiamo allora il punto in cui siamo. Come siamo finiti in mezzo a questi nodi? cosa ci ha portato nel mezzo di queste questioni? perché abbiamo ingarbugliato di più ancora le cose?

Ci ha portato qui la voglia di guardare dentro il rapporto capo-ragazzo, di guardare dentro questo rapporto cercando di scorgere qui dentro la ragione delle nostre fatiche, di tante nostre stanchezze, di tante nostre rassegnate rinunce.

La voglia di cercare dentro il rapporto capo-ragazzo le ragione dell'incubo di essere capo, incubo che ci fa testimoni anche di tante rinunce, che ci fa vivere la costante tentazione di mollare il servizio.

Se tutto fosse semplice, se le difficoltà fossero sempre superabili, se fare il capo fosse una avventura dall'esito sempre scontato, se non vedessimo tanti mollare, se non ci sentissimo anche noi continuamente provati da una sfida, non ci saremmo cacciati qui dentro.

Se vedessimo sempre i nostri ragazzi entusiasti di quello che proponiamo, pronti a reagire ad ogni nostra proposta, coinvolti e protagonisti, saziati e non solo soddisfatti delle attività, pronti a lanciarsi verso il nuovo e non timorosi, capaci di intraprendere da soli il sen-tiero e non bisognosi di essere continuamente accompagnati, non ci saremmo trovati in mezzo a questo guazzabuglio.

Ma adesso ci siamo e scopriamo che sortirne non è così semplice.

Quello che noi abbiamo tentato per gioco di creare attorno a noi è la fatica del lavoro di anni in Associazione.
Ora il frutto di questo lavoro noi vogliamo farlo ricadere su di noi, ma non come la facile somministrazione di magici medicamenti, ma come una conquista che richiede impegno, che non appiana le difficoltà e non annulla le distanze, che non regala niente, ma consegna soltanto alla fine di lunghi processi di acquisizione la soluzione dei problemi.

Il passaggio da essere un capo che si sente perso a essere un capo che se venirne fuori non sarà un gratuito regalo di questo evento ma un guadagno conquistato, un passaggio superato da noi che avremo vinto una distanza che nessuno ci avrà tolto di mezzo. A noi è stata consegnata una ricchezza: il metodo. Sappiamo che fare educazione non è una avventura da adontare senza un orientamento, senza delle indicazioni, senza un insegnamento, senza un patrimonio a cui attingere.

Il metodo ci fa abili nell'arte dell'educare
Ma la ripetizione automatica della tradizione, la rigidità ripetitiva che annulla l'originalità del capo rende insufficiente questa risorsa, la rende arida e non incisiva. La difficoltà ci spinge a tentare la strada dell'avventuriero che non fa più scautismo, ma fa altro, anche se cerca si mantenerne il colore. Non basta la frammentaria permanenza di qualche elemento della esperienza scout, qualche tradizione, un riferimento vago allo stile, un certo tradizionale modo di fare.

Ma anche usare il metodo come un pacchetto chiuso, trapassato da una generazione all'altra di capi, da salvaguardare inalterato per riconsegnarlo a chi verrà dopo di noi non basta per dire che stiamo facendo scautismo.

Il metodo che ci è stato consegnato è un metodo empirico, non è nato a tavolino, ma sperimentando un rapporto, provando strumenti, creando occasioni. Ne è uscito un sapere che ha formato generazioni di educatori.

A ognuno di noi è stato consegnato non un sapere che ogni volta deve essere ri-sperimentatoda capo.

E questa è la sfida nella quale ci siamo buttati: provare a smontare e rimontare da capo quello che gia sapevamo, quello che già facevamo, quello che sempre abbiamo saputo e che sempre abbiamo fatto. Ma per rimontare occorre sapere, bisogna trovare una chiave che ci faccia navigare nella complessità, riconoscendone la figura.

Bisogna trovare il semplice che ci fa padroni della complessità.

Una volta che abbiamo tra mano i pezzi del metodo noi vogliamo imparare l'arte di rimetterli insieme, ma di rimetterli insieme secondo un disegno.

Rimetterli insieme ritrovando quello che abbiamo perso, ma non

come prima, ma come la cosa nuova che ci fa dire di aver vinto la sfida, di aver ritrovato quello che pensavamo di aver perso. La chiave che ci manca per rimettere insieme i pezzi che abbiamo: gli elementi del metodo, la relazione capo-ragazzo, i valori che viviamo e che vogliamo trasmettere è lo stile di fare cose

Questo stile noi l'avevamo smarrito, avevamo smarrito uno stile che fosse capace di farei rimettere insieme i pezzi ricostruendone la forza che li teneva insieme.

Abbiamo cercato di percorrere strade nuove, ma non riuscivamo a sortirne.

Fin tanto che ascoltare ci ha fatto scoprire che avevamo un punto da cui guardare le cose che svelasse l'arcano.

Hanno evocato la Pdl, ci hanno detto che lì stava il segreto di tutto.

Ma la soluzione non sta in una formuletta da applicare ormai in ogni occasione.

La soluzione sta nell'imparare che il passaggio dal vecchio al nuovo è da conquistare e noi lo dobbiamo conquistare e noi dobbiamo insegnare a conquistarlo.

Noi per primi siamo caduti nella tentazione di cercare qualcuno che ci prendesse per mano e ci accompagnasse nell'arte del capo. Abbiamo rinunciato a sperimentare e abbiamo incominciato a cercare da dove copiare.

Non abbiamo più puntato la meta e cercato di superare la distanza che dalla meta ci separava.

Quando avremo riguadagnato il gusto di affrontare la sfida, di vivere la prova di guadagnare a fatica il successo, di vivere l'avventura, di non essere accompagnati ma buttati nel varco; quando saremo convinti che capi non si nasce e che capo non si diventa soltanto perché si è arrivati alla fine di un tratto di percorso, che non basta prendere quello che ci è stato lasciato e rifarlo senza lo sforzo di metterci del nostro, senza poter dire dopo esercizio e tirocinio che sono diventato padrone dell'arte; quando avremo riguadagnato il gusto di questo, avremo ritrovato la chiave di volta che sa rimettere insieme ridandogli la loro forza i pezzi che abbiamo tra mano, allora avremo imparato a non regalare, ma ad avviare sul sentiero della conquista, di una conquista faticosa che richiede di mettersi alla prova per superare e per superarsi, a padroneggiare la coppia possibile/impossibile.

Allora avremo imparato ad accettare la sfida della selezione, a non rimanere prigionieri della paura di perdere qualcuno che ci spinge ad accettare tutto, ma avremo tenuto alto il tiro per riconquistarli tutti.
Allora avremo imparato ad imporre le regole del gioco, ma per dare a tutti la libertà di superarle.

Allora avremo imparato che personalizzare non vuoi mai dire livellare verso il basso.

Allora avremo imparato ad essere capi autorevoli, ad essere quel serio burlone che non si fa amicone, ma rimane un punto lontano cui il ragazzo deve guardare e puntare, verso cui va deciso, passo dopo passo, aallora saremo la palestra della crescita dei ragazzi e non il girello che li sorregge nella loro debolezza.

Dobbiamo riappropriarci di un'arte, dobbiamo, dobbiamo riappropriarci della voglia di pensare e di capire, perché si è capi prima nella testa che nel fare.

Ma dobbiamo farlo imparando che la testa non cresce se non rifacendo da capo quello che abbiamo fatto e credevamo di saper fare fino a prima.

don Andrea Meregalli



AGESCI REGIONE LOMBARDIA

Branca R/S

I capi della Branca R-S di Lombardia si sono incontrati, in parte a Como ed in parte a Cremona, per approfondire, in parallelo con Capi delle altre branche, il tema del rapporto capo-ragazzo.

L'esperienza recente della Pattuglia regionale di branca contava di una valutazione dell'esperienza "Challenge", svolta nel periodo '93/'94, fondata sui principi della "pedagogia dell'iniziazione" e che perciò aveva toccato, nello specifico di quello strumento metodologico, diversi aspetti del rapporto tra Capo e Ragazzo. Il titolo della riflessione è "Challenge come esperienza di passaggio". In base a questa esperienza di analisi, abbiamo creduto opportuno estendere un modo di affrontare i problemi ad altre attività e momenti dell'esperienza comune delle nostre comunità R-S, nonchè allargare il cerchio delle persone chiamate a confrontarsi, dai quadri ai capi.

In pratica, nei momenti di lavoro specifico sul rapporto capo-ragazzo (l'incontro capi ha avuto anche altri momenti, come da articolo sul numero precedente di Agesci Lombardia), i capi hanno sempre lavorato per gruppi stabili, identificati da una attività/strumento di metodo, su uno schema comune, questo:

A. individuazione delle aspettative espresse dagli R-S verso l'attività;

B. individuazione delle aspettative dei Capi che propongono/"mandano" i loro ragazzi;

C. meccanismi che portano individuo o comunità alla specifica attività;

D. analisi "tecnica" dell'utilizzo effettivo, sperimentato, dello strumento. Ricerca dei punti critici (perché problematici) e ricerca dei punti critici (perché nodali);

E. individuazione di domande degli R-S, di sfide educative aperte, che emergono dall'esperienza;

F. considerazione per possibili nuove angolazioni rispetto allo strumento, per alternative, per attenzioni particolari nell'uso dello strumento;

G. rilettura dell'intero percorso fatto, a cura dell'animatore del gruppo, con sottolineatura degli aspetti di Pdl; il ruolo degli animatori di gruppo e la loro disponibilità a prepararsi all'incontro è stato un aspetto determinante netto riuscire a raggiungere due semplici obiettivi:

Il primo si riferisce all'effettiva analisi dello strumento metodologico, in modo che fosse il più possibile ricco ed utile ai partecipanti del gruppo.

Il secondo è l'emergenza della centralità del rapporto capo-ragazzo, a prescindere dallo strumento metodologico utilizzato, e l'indicazione ad utilizzare prova, identità, autorevolezza, passaggi, simboli come elementi che caratterizzano positivamente questo rapporto.

Qui di seguito ci sono le schede dei lavori di gruppo. In tre casi i titoli si ripetono perchè lo stesso tema è stato affrontato in due gruppi diversi.

Le lettere indicano la corrispondenza con le fasi del lavoro dello schema indicato, anche se in alcuni casi ci sono delle differenziazioni nel flusso della discussione. Quanto è scritto è frutto del lavoro dei presenti: non può essere considerato come punto di arrivo di una riflessione metodologica completa, ma piuttosto un inizio di lavoro che ognuno nella propria Co.Ca., insieme ai capi del gruppo, potrà, volendo, portare avanti.

Alcuni spunti forse saranno utili per un discorso di cammino verso i valori della Partenza, in un futuro incontro regionale capi.

CARTA di CLAN/FUOCO

A.
Nella visione che hanno i ragazzi della Carta di C/F ci sono tutti questi elementi:

- Aspetto di premio, di tappa raggiunta, analogamente a quanto avviene in reparto.
- Senso di appartenenza, legame con la propria realtà.
- Scriverla, verificarla, modificarla, da il senso del gruppo, consente di esprimere la propria idea e fa avere un documento di identità vissuto da tutti ed appartenente a tutti.
- Ci si aspetta come risultato un documento che sia strumento scritto con chiarezza e di facile comprensione.
- Occasione per riparlare di: strada, comunità, servizio, fede, politica... e per riconfrontarsi con se stessi.
- Legame con le attività pratiche, concrete.
- Modo di avere regole all'interno della comunità
- Documento che pone dei "binari" al proprio progetto personale, che è strumento di confronto
- Novità: non si accettano Carte di Clan che esprimono rea1tà superate, ma quanto meno si aggiornano
- A volte pesantezza, incubo, soprattutto nella riscrittura, rifacimento.
- Documento di garanzia del Clan/Fuoco.

B.
Per i Capi lo strumento Carta di C/F viene visto come occasione per:

- elaborare un documento che sia una presentazione della comunità di Clan/Fuoco.
- Elaborare un documento che sia strumento vivace e ben presente, un modello di riferimento per i ragazzi sul quale i capi possano pronunciarsi
- Elaborare una Carta che risponda alle domande del tipo: "Chi siamo noi, come comunità?", "Dove vogliamo andare?".
- Proporre una sintesi, espressione di ciò che si ha "conquistato" nel passato e di ciò che si progetta per il futuro.
- Sperimentare uno strumento democratico di gestione del C/F.
- Avere uno strumento che nei momenti di crisi sia un riferimento per tutti e nel rapporto tra Capo e Ragazzo
- Sviluppare qualche cosa a giusta misura dei ragazzi, stimolante e non demagogica.

C.
- C'è la necessità di avere uno strumento proprio, sia da parte dei ragazzi che dei capi.
- Necessità di mettersi in discussione come comunità e di verificarsi.
- L'aspetto di presentare la Carta di C/F ai novizi, fa spesso rendere conto del bisogno della rielaborazione.
- La lettura frequente porta a rivedere di continuo il documento.
- Il confronto con R-S di altre comunità stimola il bisogno di una Carta di C/F o la necessità di rinnovare la propria.

D.
Sono emerse nel gruppo di lavoro alcune modalità diffuse di Carta di C/F:

- l'essere divisa in due parti: una più generale e modificata a lunga scadenza che attiene a valori e che viene presentata ad altri (es. ai novizi); un'altra si riferisce a cose più pratiche, concrete.
- ll firmarla al primo anno di C/F.
- Il proporre a chi sale al C/F la Carta all'inizio dell'anno, lasciando tempo per 'adesione nel corso dell'anno, ad esempio alla Route di Pasqua o al 25 Aprile.
- Il rifarla completamente ogni 3/5 anni.
- Il modo di redazione della nuova Carta si sviluppa in lavori di gruppo sui vari aspetti di contenuto.

E.
Si valuta che la Carta di C/F si presti ad un'utilizzo orientato a queste attenzioni:
- lettura al positivo.
- "Carta di identità" del gruppo, che va portata sempre con sè.
- Rendere ufficiale, solenne la Carta, come qualche cosa che si è orgogliosi di avere.
- Attenzione a che consideri obiettivi misurati alla realtà effettiva delle persone e della comunità e raggiungibili. Considerazione per i valori, ma anche della concretezza, magari con una redazione in due parti.
- Cercare una forma redazionale originale ( es. lettera).
- Confronto con altre Carte di C/F.
- Considerarla una fonte cui attingere spunti di riflessione, verifica, rilancio...
- Legarla a cerimonie e simboli (es. piantare un albero a stesura ultimata).

Rimane un interrogativo aperto: i Capi R-S sottoscrivono o non la Carta?

Sono poi stati individuati una serie di aggettivi a definire una CdC "ideale": presente, provocante, chiara, quotidiana, distruttiva, appas-sionante, stimolante, indispensabile, critica, trasparente, essenziale, coinvolgente, gioiosa.

CHALLENGE

A.
Le aspettative dipendono molto dalle modalità con cui gli R-S vengono a conoscenza, ovvero da una presentazione dei capi piuttosto che dalle "leggende" raccontate dai rover e dalle scolte del Clan. Si attendono comunque un'attività con caratteristiche di "gara", fati-cosa (e quindi inutile), con prove tecniche. Soprattutto per i novizi (di sesso maschile) è una occasione di incontro; viceversa le novizie hanno a volte una certa preoccupazione al partecipare al Challenge.

B.
Per i capi il challenge è una prova, una sfida dei ragazzi con se stessi per conoscere i propri limiti, un momento di incontro/confronto (con l'altro della coppia con cui si partecipa). E' una avventura, vissuta nella natura, in spirito di essenzialità, presentata come strada, cioè in modo nuovo e diverso rispetto all'avventura nella branca E-G.

C.
I novizi in genere sanno qualche cosa prima del Challenge dagli R/S del Clan/Fuoco che lo hanno vissuto: si tratta spesso di racconti "mitici ". Il Capo normalmente fa una presentazione dell'attività al Noviziato; i novizi decideranno o meno di partecipare in base al loro entusiasmo (e per emulazione dei più grandi che lo hanno fatto) e in relazione a quanto la proposta dei loro capi sarà stata convincente, cioè motivata. Questo processo di discussione e decisione si svolge collettivamente, come momento della Comunità di Noviziato. Ci sono situazioni in cui si prevede invece una cerimonia in cui il Clan/Fuoco "manda" i novizi al challenge.

D.
Le situazioni che creano problemi sono soprattutto di tipo organizzativo: troppi partecipanti, scarso coinvolgimento dei capi nella preparazione, organizzazione problematica dei percorsi (per esempio con scelte infelici per il pernottamento).

Ma c'è anche poca preparazione per i novizi che partecipano (magari iscrivendosi all'ultimo minuto), prove non adeguate, sistemi di valutazione altrettanto non adeguati, che non possono quindi dare un "giusto" riconoscimento immediato delle proprie capacità e impegno. Il tutto si rende evidente con una mancanza di stile diffusa nell'attività. Manca un trapasso dell'esperienza tra gli organizzatori dei challenge, di anno in anno e di Zona in Zona.

E.
Si verifica normalmente che se l'esperienza è gestita correttamente, i novizi tornano entusiasti dal challenge, rinfrancati dal fatto di avere affrontato difficoltà che sembravano superiori alle proprie capacità, con avventure o disavventure da raccontare. E' molto importante, a questo punto, la verifica personale, in comunità di Noviziato (o in relazione con il resto del Clan/Fuoco ove i C/F ha espresso un mandato) dell'esperienza. Anche in caso di esperienza non propriamente positiva, la verifica ben condotta consente di recuperare gli aspetti validi.

F.
Il challenge, come strumento del Metodo, viene considerato, dai presenti, valido, purché correttamente preparato e gestito dai capi, sia presenti all'evento, sia nella preparazione del Noviziato all'esperienza. Si valutano utili:
- esperienze di challenge meno di massa, ma su base di Zona, intergruppo.
- Sistemi di "autovalutazione" per i partecipanti.
- Prove con una utilità per qualcuno (piccoli servizi).
- Assenza di momenti di ritrovo tutti insieme tra partenza ed arrivo (es. pernottamento).
- Documentazione in Zona o in Regione a supporto di chi organizza o di chi prepara i ragazzi alla partecipazione.

G.
Il rapporto capo/ragazzo si gioca soprattutto sull'autorevolezza del capo al momento della proposta. E' il capo che calibra la proposta dell'esperienza challenge a seconda del livello raggiunto nella progressione personale di ciascuno. C'è spazio di agire in modo concreto (es. formazione delle coppie, scelta del livello di difficoltà del percorso, preparazione tec-nica e materiale...). Il challenge è di per sè una prova, ben caratterizzata e "simbolica", può assumere il carattere di situazione di "passaggio" per l'accesso al Clan/Fuoco.

EVENTI DI ZONA PER R-S

In base ai partecipanti al gruppo si censiscono queste attività nelle zone: route delle tendine (due giorni): legata al tempo di Pentecoste; incontri sul tema politica (serate); incontri fra Clan/Fuochi; Non tutte le Zone propongono momenti ai ragazzi, tranne worksho- ps e challenge.

A.
I ragazzi si aspettano che un incontro organizzato dalla Zona:

- sia un momento di confronto e conoscenza con altri R/S.
- Lasci "cose forti", che rimangano.
- Che non sia un momento "paccoso", pesante.
- Coinvolga emotivamente, affascini. L'elemento emotività è forte, con la voglia di uscire dalla propria comunità per incontrare gli altri.
- Sia un momento intenso, ma che si esaurisca nel tempo in cui lo si vive, senza implicazioni future.


B.
I Capi tengono a che:
- l'evento venga progettato, come momento di un percorso definito.
- Dia il senso della dimensione di Associazione, come per gli eventi delle altre Branche (Festa di primavera L-C, S.Giorgio E-G).
- Sia strumento di confronto.
- Sia strumento di confronto personale e della Comunità.
- Sia esperienza concreta, non passiva per i ragazzi.
- Sia un punto su cui ritornare, lavorando su domande suscitate, riflessioni.


C.
Spesso l'evento è previsto da un calendario di Zona, per tradizione ed i capi lavorano sui contenuti dell'attività di quell'anno. Non c'è una particolare richiesta dei ragazzi; lo stimolo e la proposta concreta vengono fatte dal capo. I capi della Zona tengono presente il Progetto della Zona, leggere le esigenze dei ragazzi, sapere partire dai bisogni espressi da loro per andare oltre questi, coinvolgere i ragazzi nella preparazione, lanciare in modo coinvolgente l'attività.

D.
E' difficile proporre un evento che sia risposta alle esigenze di ognuno. Altro problema è non calare la proposta dall'alto, ma che sia, per tutti, parte di un cammino e coinvolga i ragazzi a partire dalla preparazione (o ideazione?), in modo che siano chiamati a mettersi in discussione, a giocarsi nel confronto con rover e scolte di altre comunità, a porsi domande. C'è un rilevante aspetto di stile R-S con cui si vive l'esperienza, che implica anche il rischio di degenerazione e scadimento della proposta. Tale rischio cresce al crescere del numero dei partecipanti. Come mai?
E' utile porsi il problema della fluidità dell'evento: più persone sono coinvolte e più i contenuti e le modalità devono essere fluidi. Va cercata anche la completezza dell'evento, nel senso di una attività che abbia il più possibile riferimenti alla globalità dell'esperienza scout, rispetto a situazioni eccessivamente monotòne.

E.
E' necessario rivalutare l'importanza degli eventi di Zona, perchè sono strumenti ricchi, anche se non "codificati" e in poco sperimentati. I capi devono però chiarirsi le motivazioni e gli obiettivi che indendono perseguire: solo in questo modo si potrà fare una proposta chiara, semplice e arricchente e non solo una tradizione. E' necessario evitare il rischio di sbilanciarsi con le risorse sul fatto tecnico/organizzativo.
E' opportuno non eccedere in contenuti e valorizzare la grande opportunità offerta dalla voglia di incontrarsi e di confrontarsi.
Un evento in Zona ha elementi di sorpresa che non vanno trascurati ed annullati dalla voglia di controllare pianificando tutto. Vanno invece suscitate e coltivate le aspettative e le possibilità di inserimento dei ragazzi nella preparazione.
Rimane la domanda: quanto sono liberi gli R-S di aderire alle iniziative?

F.
Va provata l'idea di una attività parallela per ragazzi e per capi R/S: varrebbe come momento di confronto e soprattutto di testimonianza. E' necessario sviluppare i momenti specificamente rivolti a situazioni precise, per chi si prepara alla Partenza come confronto sulle scelte, e per i Noviziati.

G.
Il confrontarsi con altri, estranei alla propria comunità, su temi rilevanti, se porta a effettivo coinvolgimento personale è esperienza di prova.
Lo stile con cui si vive l'attività, in condizioni non standard, dà indicazioni sull'identità, il senso di appartenenza.


HIKE

A.
Le attese dei ragazzi sono molteplici ed alcune di esse sono vissute in modo differente, a seconda dell'età e de11'esperienza acquisita. Emergono:
- senso dell'avventura (predominante nei novizi e negli R/S dei primi due anni);
- dimensione trasgressiva, in cui prevale il piacere dell'assenza dei Capi e dei genitori, per cui sembra non ci siano più regole (limitata a pochissimi casi);
- dimensione personale, di verifica di sè e della propria vita; momento di meditazione (più sentito nel 3º/4º anno);
- dimensione spirituale (anche questa prevalente nel 3º e 4º anno);
- incontro-confronto con altri membri della comunità, con l'implicazione di un meditazione (più sentito nel 3 /4º anno);
- timore e fatica dello stare soli con se stessi per parecchio tempo
- dimensione dell'autonomia;
- senso di responsabilità, sentito dai più grandi nei confronti dei più giovani

B.
I Capi Si attendono Che hike possa aiutare i ragazzi a scoprire i propri limiti, per rendersi conto di quali sono le loro potenzialità. Si desidera che diventi un momento di forte crescita personale e di riflessione (sia su se stessi e sulla propria fede, sia su temi specifici affrontati dalla comunità), durante i quali i ragazzi siano portati alla definizione dei propri valori e degli obiettivi per raggiungerli.
Da un punto di vista pratico, ci si aspetta che gli R/S vivano questa esperienza in stile scout e che abbiano fiducia nel lavoro di preparazione svolto dai capi.

C.
Raramente una scolta o un rover richiedono ai capi di preparare loro un hike (ma succede); qualche volta è la comunità a richiederlo, magari in momenti particolari dell'anno (Pasqua, route estiva); generalmente sono i capi a proporlo. In alcuni gruppi l'hike è diventato un appuntamento fisso all'interno dell'anno a scandire momenti quali la fine dell'esperienza di Noviziato, la salita al Clan-Fuoco, la route estiva o di Pasqua, in preparazione alla Partenza o subito dopo

D.
Gli hike vengono proposti a singoli o coppie, a seconda delle particolari situazioni della comunità e degli individui. Ci sono casi di hike per pattuglia, in caso di Salita al Clan-Fuoco dal Noviziato.
E' ritenuta fondamentale la conoscenza dei percorsi da parte dei capi e, nei limiti del possibile, la preparazione dell'evento misurata ad ogni persona: per ciascuno vanno dosati strada, spunti di riflessione ed ogni altro ingrediente in funzione alle sue capacità e necessità del momento.
Precarietà ed essenzialità sono ritenuti valori importanti ma non sempre indispensabili in un hike.
Il lancio è quasi sempre un momento solenne, magari dopo un momento di preghiera o la celebrazione della S.Messa; ci sono esperienze di hike lanciati in momenti inattesi (durante il pranzo, nel mezzo di un'altra attività, di notte, ecc.) per dare maggior valore all' "essere pronti" in qualsiasi momento.
Ruolo molto importante riveste la verifica come momento di confronto di esperienze diverse ma comuni, di ridefinizione di mete nuove di fronte a tutto il Clan-Fuoco e comunque di messa in comune delle riflessioni fatte in hike. Difficoltà si riscontrano nella fase di preparazione dell'attività, quando si ha il timore di dosare gli ingredienti in maniera non equilibrata e di non saper valutare correttamente i limiti di una persona; questi errori possono poi portare il ragazzo a vivere male l'hike ed a far sì che l'esperienza sia significativa nella rilettura personale. Un problema è legato all'esperienza di hike in coppia: l'assortimento delle coppie può rivelarsi come elemento fortemente condizionante l'esperienza personale, di uno o di entrambi. L'eventuale decisione di far vivere un hike a coppie è cosa che va assunta deliberatamente dai capi, non deve essere il ripiego 'tecnico' in caso di Clan numerosi e di pochi percorsi disponibili. Se si dà particolare importanza ad una esperienza insieme ad un altro allora può essere utile il fare partecipi gli R/S degli accoppiamenti.

E
Rispetto all'esperienza del challenge, che è unica nella vita, l'hike non va presentato come esperienza eccezionale e rara, ma deve avere una relazione con la quotidianità dei ragazzi. E' emerso il desiderio e il bisogno di calare nella quotidianità i diver-si elementi dell'hike; di far comprendere ai ragazzi la necessità di saper misurare i propri limiti di ritagliarsi spazi di riflessione personale nella vita di tutti i giorni. Molta importanza va posta nel verificare preventivamente se tutti gli elementi che si ritengono per abitudine indispensabili, lo siano effet-tivamente quando sono proposti a quel ragazzo e a 'quella ragazza', di conseguenza si deve sempre cercare di personalizzare la proposta, combinando gli elementi in modo diverso, in base alla condizione di ciascuno.

F
Va sviluppata l'idea di una attività che preveda, durante una giornata normale di studio, lavoro, momenti paralleli di riflessione, di preghiera, di impegno concreto vissuti personalmente, coordinati da spunti e tracce comuni e con una comunicazione finale, come succede di ritorno da un hike.


SERVIZIO INDIVIDUALE

A
Le aspettative dei ragazzi sono diverse a seconda che si tratti di persone del primo anno di Clan/Fuoco piuttosto che degliultimi anni:

- i primi in genere non hanno grosse aspettative perché "non sanno bene perché farlo". E' visto come un obbligo. Si aspettano soprattutto soddisfazione, gratificazione risultati tangibili, tornaconti personali ("io sono stato utile"), il sentirsi cercato, la popolarità,
- gli altri si aspettano di sentirsi utili, di trovare un proprio posto, di mettersi alla prova, misurarsi, di sapersi progettare; cercano possibilità per sperimentare possibili scelte di vita. Maggiore è la disponibilità ed il desiderio di mettersi a disposizione.

In generale tutti gli R-S:
- nutrono aspettative diverse tra servizio associativo ed extra-asso-ciativo. Il servizio associativo viene considerato di serie A rispetto agli altri. Si aspettano da questo maggiori responsabilità, maggiori occasioni di crescita personale e di avere rapporti adulti. Sembrano maggiori anche il coinvolgimento, l'investimento personale e l'entusiasmo, rispetto ai servizi extra. Si sentono parte della struttura dell'unità in cui svolgono servizi.
- Ricercano una struttura organizzativa rassicurante e fortemente definita, coinvolgente, mentre alcuni servizi extra sono meno strut-turati e sono da questo punto di vista un'incognita. Si aspettano di sentirsi seguiti e temono di sentirsi mandati allo sbaraglio.
- Ricercano un ruolo chiaro e preciso: devono "vedersi" in quel servizio.
- Ricercano il confronto con gli adulti legati alla realtà in cui sono inseriti e di potere partecipare ai processi decisionali.
- Vogliono spendere il meno tempo possibile.

B
I capi si aspettano di educare i ragazzi a:
- l'apertura al sociale, alla realtà, di aprire loro gli occhi, sviluppare l'nttenzione verso il territorio per poter intervenire attivamente (apertura e partecipazione);
- la disponibilità all'altro, in particolare al più povero, attraverso il confronto con persone adulte, al fine di interiorizzare "modelli" e stili di vita", intesa anche come testimonianza cristiana di risposta alla Chiamata; la gioia e la felicità nel fare la felicità degli altri;
- l'apprendimento di una modalità più matura di progettazione e maturazione di sè: far sì che i ragazzi siano più disponibili in termini di tempo, che siano più costanti, che sviluppino una coscienza critica, che diventino più flessibili e tolleranti e sappiano mettersi in discussione, che sviluppino doti quali la tenacia e la perseveranza. Considerano il servizio come palestra per la crescita.
C.
Pur nella diversità, i capi presenti danno una prima presentazione di tutti i servizi del Clan, facendo riferimento ai valori contenuti nella Carta di Clan. In genere la presentazione è a tutto il Clan/Fuoco. In un caso la proposta è fatta dal capo al ragazzo, personalmente.
La presentazione che il capo ritiene di dover fare ha implicito il fatto che il rover e la scolta di primo anno di Clan (a volte anche al secondo) non svolgano un servizio associativo. Questo dato ha il carattere dell'ovvietà, della indiscutibilità. L'approfondimento delle ragioni, nel gruppo di lavoro, ha indicato ragioni legate al fatto che c'è poca differenza di età fra R/S ed i ragazzi delle unità e che esperienze individuali precedenti siano propedeutiche ad un ruolo di servizio in una struttura educativa. I ragazzi lo accettano.
L'abbinamento tra R/S e specifico servizio avviene all'interno del percorso di P.P. del ragazzo. La modalità è il colloquio personale tra capo e ragazzo. In genere è il capo che cerca il ragazzo: fuori dall' "attività", a cena..., a volte chiedendo, a volte con una lettera.
Si è individuata una distinzione nella proposta (lancio) dei servizi associativi ed extra: per i servizi extra (quindi quelli mediamente dei primi anni di C/F), in genere si ricorre meno al colloquio, ma i ragazzi scelgono in base ai servizi presentati in sede di riunione; per i ruoli "associativi", c'è più spesso una manifestazione di specifica disponibilità da parte del ragazzo ed un conseguente colloquio con i propri capi.
In alcuni casi l'accesso al servizio individuale è specificamente più curato proprio al primo anno di Clan.
La verifica del servizio è svolta un paio di volte all'anno e messa in programma dai capi.

D.
I punti di diffìcoltà e di dubbio, che perciò varrà la pena di approfondire sono:
- le modalità del lancio dei servizi:
del nostro Clan"), interrogandosi poco sia sull'effettivo messaggio che si vuole comunicare, sia sulle modalità adeguate a quel messaggio. Si rischia di agire senza riflettere sulle conseguenze degli atteggiamenti di capo. Va valutato come possano essere i capi stessi, nella loro proposta, a creare l'impressione di differenza di valore tra una esperienza di servizio e l'altra, per esempio enfatizzando le "necessità della CO.CA." di R/S in servizio associativo. Il servizio fuori dal gruppo rischia così di essere considerato dai più giovani come rodaggio per esperienze future.
- Scelta degli ambiti di servizio:
occorre riflettere sull'equilibrio tra P.P. e risposta alle esigenze del territorio.
- mancanza di tempo dei capi:
avere i colloqui di progressione personale, le verifiche connesse, la preparazione e la presenza all'attività, l'individuazione dei servizi vengono vissute dal capo spesso con l'ottica del "fare". Diminuisce il tempo per pensare e si può dimenticare il perché del fare e cedere alla "doverosità" delle cose, del gesto (moralismo).
Può avere senso la figura di un capo "referente per i servizi extra-associativi"?
In questo modo ci sono risposte alla esigenza dei ragazzi di chiarezza e stimolo, di coordinamento ed organizzazione. Ma il rapporto capo-ragazzo, la progressione personale non rischiano di venire modificati, falsati dalla presenza di un altro interlocutore? Il ruolo è tecnico o educativo? Il suo servizio è ai ragazzi, alla Co.Ca. o ai capi Clan-Fuoco?

E.
Di conseguenza vengono valutati positivamente quegli atteggiamenti di capo che favoriscano:
- la rottura degli automatismi, dei passaggi tra un servizio e l'altro visti come promozione;
- la rispondenza alle aspettative dei ragazzi per concretezza e per la tangibilità dei risultati, anche sacrificando alte aspettative per servizi che si confanno più ad esperienze adulte che a persone in crescita, alla ricerca di valori;
- la cura di organizzazione e coordinamento dei servizi che si propongono.

F.
Ci sono impegni che occorre che i capi R/S si assumano e sono:
- la ricerca di formazione permanente del capo;
- la cura della propria autorevolezza: come testimone che si espone sempre in prima persona e trasmette uno stile di vita,
- stile nell'azione, basato sulla intenzionalità educativa: l'azione non è neutra ma sempre portatrice di stile, valori e conseguenze. Occorre analizzare quello che succede. La consapevolezza e l'intenzionalità non devono limitarsi al rapporto diretto con i ragazzi, ma anche nel supporto alle loro situazioni concrete di servizio. E' necessario riflettere sulle strategie e mettere in discussione tradizioni e schemi consolidati. Gli ambiti sono le staff e le Co.Ca.;
- l'apertura alla città ed al mondo.


VEGLIA

La specificità della Veglia rover ha portato ad un flusso particolare del lavoro di gruppo, che è stato un momento di sperimentazione concreta delle dinamiche della Veglia.
Alla fine sono emerse le considerazioni che seguono:
- la veglia R-S è particolare rispetto ad altre attività espressive, più tipicamente L-C o E-G, quali le veglie alle stelle, le veglie di preghiera e le rappresentazioni espressive di vario genere (così dette "scenette");
- caratteristica della Veglia è il coinvolgimento totale di tutti i partecipanti che, essendo al tempo stesso attori e spettatori, sono chiamati ad una comunicazione intima, spontanea e creativa, basata in modo privilegiato su una espressione non verbale;
- la finalità della Veglia non è costituita dalla realizzazione materiale di una attività tecnica, bensì dallo scambio di riflessioni, esperienze, dall'approfondimento di valori vissuti o scoperti in altre attività, che vengono comunicati e confrontati con gli altri attraverso una comunicazione simbolica, carica di emotività, condotta ad un livello più profondo di quanto possa essere la rappresentazione "teatrata", ad un livello non meramente intellettuale;
- c'è una forte capacità di interiorizzazione dei messaggi che vengono scambiati nella Veglia e l'opportunità offerta ai ragazzi, che normalmente evitano il coinvolgimento in attività gestite sul piano verbale/intellettuale, di mettersi in gioco esprimendo liberamente i propri sentimenti con modalità meno discriminanti che non nel confronto "parlato"; attraverso la Veglia si possono rafforzare i legami comunitari, superare ostacoli alla comprensione ad all'ascolto, presenti spesso nelle riunioni e conclusioni personali e comunitarie di attività come l'Inchiesta ed il Capitolo, sviluppate in periodi precedenti;
- la realizzazione di una Veglia, esigendo la conoscenza di tecniche espressive nonché una regia capace di definire i contenuti ed i tempi, diventa anche occasione di apprendimento o di approfondi-mento di capacità tecniche e manuali;
- l'utilizzo dello strumento Veglia quale mezzo di verifica di attività precedentemente svolte trova un preciso limite quando la verifica è fondata sull'analisi di dati certi, oggettivi.

HIKE

A Aspettative R/S
Avventura,
Timore per l'ignoto
Trasgressione
Tradizione
Mettere alla prova
Precarietà
Solitudine
Ripetere un'esperienza fatta
Conoscenza con il compagno di coppia
Autonomia dal capo
Esigenza di un giusto equilibrio tra strada, riflessioni...
Incontro
Momento di passaggio, per se stessi

B. Aspettative capi
Momento di riflessione
Farsi capire
Prendere coscienza
Metafora strada-vita - Aspetto del "pellegrino"
Dimensione personale della preghiera
Trasformazione
Fiducia in se stesso e negli altri
Sentirsi comunità (al rientro)
Rispetto dello stile
Credere nella provvidenza (senso di ottimismo)
Scoperta di nuove risorse dentro se stessi
Gioia degli incontri

C. Meccanismi
Tradizione
Il capo "spinge"
Esigenze dalla Carta di Clan
Momento della Partenza
Alternativa in contemporanea ad altra uscita
Per tutti? Quale relazione con l'autonomia?

D. Analisi tecnica
Finalità:
Contenitore di messaggi
Stop & Zoom (osservatorio della p.p.)
Mettere alla prova (fiducia in se stessi, negli altri, nella vita)

45

Ottenere un cambiamento
Responsabilizzazione
Contenuti: Momento di riflessione
Preghiera
Avventura-Imprevisto
Servizio
Spiritualità della strada
Povertà
Spirito del "pellegrino"
Vivere in "perfetta letizia"
Punti nodali:
Zaino
Bibbia
Strada ( km - fatica)
Percorso
Traccia di riflessione
SOS- Busta chiusa
Accoglienza al rientro
Condivisione
Verifica
(? Cerimonie)

Ruolo del capo:
Dare impronta
Non barare fare proposte chiare
Calibrare l'evento
Decisione coppie singoli
Rapporto con i genitori

Punti problematici:
Contratto con i genitori
Cordone ombelicale
Non episodico
Aggancio con cammino di fede

E Sfide educative aperte
Accoglienza e interiorizzazione della proposta
Abilità di rinnovare-ricalibrare l'esperienza
Acquisizione punti saldi per un cambiamento
Approfondimento rapporto capo-ragazzo

F Nuove prospettive ed attenzioni
Da usare - se lo conosci lo eviti 46 La rarità è ricchezza


Arrivare preparati
Elemento sorpresa
Gioia della Comunità
Strumento per:

II SERVIZIO INDIVIDUALE

A AspettativeR/S
Gratificazione
Possibilità di condivisione
Senso della concretezza
Possibilità di avere strumenti in più
Desiderio di crescere
Modificare la realtà
Aiutare gli altri
Poter risolvere ogni problema
Misurarsi con gli altri
Entusiasmarsi per dare un senso alla vita

B Aspettative capi
Far conoscere la realtà
Educazione al dono
Servizio come stile di vita
Valorizzazione dell'essere delle persone
Occasione per conoscere se stessi
Scelta politica
Educazione alla responsabilità
Importanza della preparazione

C Meccanismi
Sollecitazione dei capi
Ricerca della scoperta della realtà senza mediazioni Ricerca della responsabilità diretta del proprio agire L'entusiasmo che crea l'aspettativa di servire Necessità di confrontarsi con altre persone e situazioni

D Analisi
punti critici
Desiderio di gratificazione
Comprensione del valore cristiano del servizio
Eccessivo coinvolgimento
punti nodali
Appartenenza al territorio
Sviluppo di competenze

47

48

Disponibilità quotidiana
Senso evangelico
Diversità di occasioni e metodologie dal servizio comunitario
Possibilità di dare una risposta concreta ad un bisogno

E Sfide educative aperte
Non caricare gli R/S di troppe responsabilità
Sviluppo delle caratteristiche proprie del ragazzo
Ruolo della Co.Ca.
Il servizio tra fede e solidarietà

F Nuove prospettive ed attenzioni
Il volontariato non è un toccasana: occorre coinvolgere e richiamare
alle loro responsabilità le autorità competenti.
L'attività politica in senso stretto (il rapporto con le istituzioni)
Schierarsi dalla parte del povero

III CARTA DI CLAN

A Aspettative R/S Approfondimento Ricerca di identità Paura
Verifica

B Aspettative capi Punto di partenza
Verifica, confronto Progettualità

C Meccanismi
CHI: Proposta dal capo per alzare il tiro
Proposta dagli R/S più vecchi
Quando: Dopo una discussione che fa riflettere particolarmente
Durante la Route
COME: Richiarnandola e utilizzandola spesso nasce l'esigenza
di rivisitarla

Continuità nell'utilizzo
Aggiornamento continuo
Lavoro di stesura troppo lungo e faticoso
Non adesione dei nuovi entrati (strumento selettivo)
Tempi di firma: si firma a valori condivisi o per aver intrapreso un
cammino verso?
Carta del clan o del capo?

punti nodali
Utilizzo della C.d.C. come schema di confronto e supporto alla vita
di clan
Continuità nel l'utilizzo
Mete concrete che superano le precedenti
Punto di partenza per le verifiche importanti
Presentazione della C.d.C in Noviziato
Parte progettuale
Firma = revisione personale+ impegno personale
Simbolismo della cerimonia

E Sfide educative aperte
Cerimonia: difficile viverla come nuova ogni volta da tutti, peso dei
simboli, preparazione alla firma
Coerenza
Comunità: senso di appartenenza, del "bene comune", vita di comu-
nità,

F Nuove prospettive ed attenzioni
Valorizzazione dei conflitti per esaltarne la ricchezza potenziale
Consapevolezza che la vita di clan è una prova
Investire sulla comunità
Evidenziazione valenza politica dello strumento
Rispetto delle minoranze in C/F
Mezzo per affrontare i problemi che gli R/S si pongono
C.d.C. per il bene di tutti o è un cammino fatto insieme per raggiungere una meta?
Lo strumento è in mano al capo che decide come utilizzarlo
Al centro c'è l'individuo che sceglie

D Analisi tecnica
punti problematici
Può diventare totalizzante
Far sì che gli R/S vi si riconoscano
Farla passare attraverso le esperienze concretamente vissute
Genericità