In: "Avvenimenti - Ultime Notizie, giornale dell'Altritalia" n.115 11-05-99

DUE DONNE, LA GRECIA IN GUERRA

Socrate, Platone, Aristotele, chi non conosce i pilastri della filosofia occidentale? Ogni uomo per motivi di studio, lavoro o semplice curiosità è entrato in contatto con le opere dei grandi pensatori dell'antica Grecia, così come con le rappresentazioni teatrali dei teatri di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, capaci di entusiasmare ancora oggi le platee di tutto il mondo. Anche senza entrare nello specialistico, la civiltà ellenica costituisce a distanza di millenni una parte integrante della nostra cultura, della lingua - ricca di lessico di origine greca -, all'arte, dalla filosofia all'estetica, dall'organizzazione socio-politica al modo tutto occidentale di concepire la vita, che superbamente si gloria di tali nobili origini. Ma se Saffo e Pindaro sono ancora letti e tradotti in tutto il mondo, meno diffusa è invece la letteratura greca moderna, rimasta, per motivi storico-politici, isolata, lontana dalle altre letteratura europee, di cui traduce i testi, senza essere a sua volta tradotta.

Pavlos Màtesis, scrittore greco contemporaneo, appartiene alla cosiddetta "generazione degli anni '60", che segnò una svolta nel teatro neogreco post bellico, segnato dalla trasformazione sociale e dalla nascita della piccola borghesia metropolitana, circostanze riprese e sviluppate in seguito da un'altra scuola di intellettuali che comparve sulla scena negli anni '70. Màtesis, autore di numerose opere teatrali (La cerimonia, Delitto piccolo borghese, Il grido), oltre che traduttore di numerosi classici, tra cui Shakespeare, Molière, Ibsen, Brecht, esordì in campo letterario nel 1967, un anno dopo aver vinto il Premio Nazionale di Teatro. Si distinse come narratore con Racconti nel 1977, Afrodite nel 1987 e, soprattutto, con Madre di cane nel 1990, che rappresenta uno dei maggiori successi editoriali della Grecia moderna, grazie anche alle recenti traduzioni in varie lingue, tra cui quella italiana di Alberto Gabrieli, per conto di Crocetti Editore di Milano.

Il romanzo di Màtesis, ambientato durate la II guerra mondiale, segue la storia di una famiglia, vittima e protagonista allo stesso tempo delle vicissitudini belliche che imperversano nella Grecia degli anni '40, allontanando gli uomini dalle loro famiglie e gettando nello sconforto le donne, abbandonate ad un desolante destino. La narratrice protagonista del libro racconta a distanza di molti anni l'esperienza dell'occupazione nazi-fascista in Grecia, rivivendo la triste esperienza sua e della madre, una donna-statua, che con un silenzio impenetrabile aveva cercato di mascherare e punire i peccati commessi per sfuggire alla miseria e ai dispiaceri della guerra. Raraù, questo è lo pseudonimo della protagonista, contrariamente alla madre, è portata a lottare sempre per raggiungere i suoi obiettivi di donna libera, esuberante ed ambiziosa. Usa gli uomini a suo piacimento, per punire forse gli stupratori della madre o la mancanza della figura paterna, pratica il sesso con la passione e l'apparente ingenuità di una ventenne pur utilizzando il proprio corpo come mezzo per realizzare i suoi desideri. In tal modo riesce ad approdare al teatro, sogno vagheggiato a lungo, sin dall'infanzia, trascorsa nel piccolo paese di Belcastro, da dove le due donne fuggono alla fine della guerra.

Nella narrazione cruda e realistica emerge tutto lo squallore del conflitto mondiale, visto non con gli occhi dei soldati al fronte, né con il terrore dei sopravvissuti di Auschwitz, ma attraverso le miserie quotidiane della povera gente, attraverso le lotte per ottenere un piccolo sussidio, attraverso i gesti e le parole di una madre che, messa alle strette, decide di vendere se stessa per assicurare il cibo ai suoi figli. Nemmeno la fine della guerra lenirà il dolore e la miseria, poiché per le protagoniste "le cose adesso andavano peggio che durante la cosiddetta Occupazione (...) Nostra madre restava sempre in casa, e non aprivamo neanche le imposte perché ci avevano tirato di nuovo i sassi e gridavano brutta puttana di una collaborazionista" (p. 122). Ad assistere questa donna umiliata ed immobile c'è la figlia Rubina che, in segno di rivolta contro tutte le ingiustizie subite, muta il proprio nome in Raraù e si rifugia con la madre nella capitale, vivendo per molto tempo ai margini della società civile, con i proventi delle elemosine raccolti con brevi improvvisazioni attoriali. A metà tra la tragedia e la commedia, la vita di Raraù si confonde con le sue recite, mutevole e varia come la scenografia di un palcoscenico, mantiene costante solamente la sete di libertà, che la porterà alla fine ad abbandonare persino il libro, troppo limitato e vincolante per poter contenere un'indole così sfaccettata e poliedrica. Lo stesso autore sembra perderla di vista, prima nello studio di una psicoanalista che non comprende la vera natura della paziente e dopo per le vie di Atene, dove Raraù si aggira raminga durante la notte, cercando di allontanare la solitudine ed i fantasmi del passato.

Nel romanzo non ci sono ideali politici, né speranze di vittoria, ma soltanto interessi soggettivi di singoli individui alle prese con la loro quotidianità e la desolata realtà di un Paese devastato dalla guerra. La bandiera greca sarà utilizzata dalla madre di Raraù per ricavare tre paia di mutande; i partigiani, uomini simpatici, ma pericolosi; la Liberazione una gran delusione, solo incendi e tanta confusione per le strade. "Tutta qui la Liberazione? Noi eravamo ancora bambini, non capivamo (...) comunque quello che è certo è che ci sentimmo un po' presi in giro quel primo giorno" (p. 121). E la guerra? Ha avuto un unico grande vantaggio: garantire a Raraù la pensione del padre, ufficialmente deceduto come valoroso combattente in Albania, ma, si scopre alla fine, disertore che vive sotto altro nome con una nuova famiglia. Unica soluzione per Raraù sarà fingere pirandellianamente di non conoscere la verità. Solo così potrà continuare a ricevere la pensione di orfana di guerra e sopravvivere dignitosamente.