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Accattoli - Barrera - Del Riccio - Garelli - Ripamonti - Scarpitti
IL PATTO ASSOCIATIVO: UN'IDEA IN MOVIMENTO

 

 

Nuova Editrice Fiordaliso
Roma 1989
cm. 15 x 21 pagine 189

collana: quaderni Agesci Sussidi

 


INDICE
Il Patto Associativo AGESCI Mozione al Consiglio Generale 1988 La scelta scout - L. Barrera La questione educativa nelle associazioni: modelli e mutamenti - E. Ripamonti La scelta cristiana - R. Del Riccio Mutamenti dell’atteggiamento giovanile nei confronti della fede in questi anni - F. Garelli La scelta politica - P. Scarpitti Associazioni cattoliche: a quali interrogativi hanno dovuto rispondere di fronte ai mutamenti della politica – L. Accattoli Appendice Documenti del Consiglio Generale 1988: Impegno politico Educazione alla fede Documento di sintesi


PREMESSA
Il vero vantaggio di aver vissuto un periodo della storia associativa abbastanza remoto nel tempo è che si può raccontarlo con il senno di poi, come nel nostro ricordo è andata e senza una eccessiva preoccupazione di fedeltà storica o di riportare i documenti. Lo dico subito prima di correre il rischio d’esser tacciato di scarso rigore, anche se credo di essere in grado di produrre i documenti eventualmente necessari. Certo nel mio breve racconto mancano tutti gli altri punti di vista, tutte le altre posizioni che lo storico vero saprebbe snidare dalle persone e dai documenti.

Alla fine degli anni 60 – più precisamente sul finire del ’68 – in Comitato Centrale si cominciò a discutere del come essere Associazione in quegli anni effervescenti, ma anche di confusione. Da cosa nasce cosa e la riflessione, che inizialmente era centrata sul significato dei regolamenti e sul rifiuto che questo termine risvegliava, si spostò sulla valutazione del termine stesso di Associazione. Da una parte sembrava importante mantenere la centralità della Associazione, dall’altra fare ricorso ad un legame meno formale ed esterno e più profondamente condiviso. Fu in quel dibattito che venne fuori – almeno nel mio ricordo – il termine belonging per indicare l’appartenenza come affermazione esplicita da parte della singola persona piuttosto che come insieme di regole oggettive che îdentificano qualcuno come facente o meno parte di un gruppo.

Da cosa nasce cosa. Fu in questo processo forse confuso che emerse l’idea del Patto Associativo cioè di una condivisione di idee e la convinzione che è proprio tale condivisione che determina chi è dentro e chi è fuori del gruppo, nel nostro caso della Associazione. Fu questo l’itinerario che portò a proporre al Consiglio Generale del ’69 un allegato alla relazione che appunto introduceva il termine Patto Associativo. Come sempre in questi casi il primo abbozzo di una idea può essere anche ampiamente diverso da come poi questa si svilupperà, ma in nuce c’era già tutta la sostanza del discorso.
Da tale impostazione (che oggi si potrebbe giudicare forse un po’ troppo ingenua, categorica e velleitaria) si trassero alcune conseguenze sul Regolamento che ebbero vita solo fino alla fusione: la Formazione Capi fu vista più come risposta ad una esigenza personale di comprendere cosa si viene facendo, che come competenza richiesta dall’esterno; la partecipazione alle assemblee fu più legata al servizio prestato che al possesso di un Brevetto; il Brevetto stesso era più indicazione di un iter completato che una patente di capacità. In un certo senso, forse non del tutto consapevole, l’idea del Patto Associativo e le regole che se ne trassero ricalcavano il taglio positivo della Legge scout quando dice che è scout colui che è leale, piuttosto che indicare un obbligo o un divieto.

Accettava l’idea che la comune cultura costituisse il nucleo unificante dei Capi della Associazione, restava il problema se e in che modo questo patrimonio andasse formalizzato in un testo scritto: la proposta del Centrale era di non formalizzarlo, il Consiglio Generale fu di altro avviso e si airivò a scrivere delle note per il Patto Associativo; già il titolo stesso indicava che si trattava comunque di un testo più indicativo che normativo.
Lo sviluppo ulteriore della vicenda è cosa nota. Un Patto Associativo ne chiama un altro e questa impostazione restò in piedi anche nell’AGESCI.

Negli anni di vita dell’AGESCI il testo del Patto Assaciativo è stato iitoccato una sola volta, anche se ogni tanto si afferma che il suo linguaggio e la sua formulazione sono datati; solo di recente il Consiglio Generale ha deciso che si debba procedere già una sua riformulazione.
Almeno per me non è semplice leggere questi anni di storia, non è semplice capire quanto sia rimasto in piedi della esigenza iniziale e quanto invece il Patto Associativo corra il rischio di ritornare ad essere una carta vissuta come esterna alla coscienza della persona o, peggio, come una definizione da manuale con la quale non ci sia richiesto di confrontarci, qualcosa di talmente immutabile sicuro ed eterno che non ha nulla da dire o domande da porre alla mia coscienza di Capo: potrebbe essere la vendetta delle regole che prima o poi cercano sempre di tornare in piedi se non sono affidate all’affetto dell’uomo.
G. B. Righetti
Presidente Comitato Centrale AGESCI